Nella Romania odierna l'episodio più preoccupante d’intromissione della politica nella libertà di stampa si è verificato nel febbraio 2017, quando il ministro degli Affari Interni Carmen Dan ha stilato e presentato una “lista nera” di giornalisti e politici appartenenti all'opposizione, che sarebbero stati “coinvolti” in proteste anti-governative.
Uno dei migliori strumenti per il monitoraggio dei media in Romania è il "FreeEx Report", un progetto ActiveWatch che è stato in vigore dal 1999 per affrontare sia il monitoraggio dei media rumeni sia i segnali allarmanti all'interno delle istituzioni e delle organizzazioni in grado di intervenire sul sistema mediatico. Secondo il rapporto del 2017, nell'ultimo anno la libertà di espressione è stata fortemente colpita dal discorso d’odio: ci sono stati numerosi tentativi di intimidazione sia all'interno della corporazione dei giornalisti che nell'ambiente politico.
“Se continui a fare domande scomode sarai licenziato”. Con queste parole il vice del partito di governo GERB Anton Todorov e il vice primo ministro Valeri Simeonov hanno minacciato un giornalista dell’emittente nazionale “Nova TV”.
I docenti di diverse università turche che nel gennaio 2016 firmarono la dichiarazione di pace “Non saremo parte di questo crimine” sono ora accusati di “propaganda terroristica” e rischiano più di 7 anni di carcere.
Oggi l’informazione è prevalentemente orientata su notizie che non hanno alcun impatto sulla qualità della vita delle persone; il bombardamento di annunci pubblicitari combinato alla pervasività della cronaca nera diffondono uno strano mix di diffidenza e paura. In Croazia il problema è quello dello scopo dell’informazione.
La Corte ha confermato la pena detentiva per l'insegnante Ayşe Çelik, condannata a 15 mesi di carcere per aver detto “non lasciate che i bambini muoiano” in diretta sul canale televisivo Kanal D. La partecipazione al programma televisivo “Beyaz Şov” era stata via telefono, e il riferimento agli scontri civili nella Turchia sudorientale verificatesi nell’estate del 2016.
Venticinque anni dopo la guerra, il corrispondente di guerra tedesco Erich Rathfelder continua a rimanere in Bosnia Erzegovina. Perché? Perché ci sono molti argomenti di cui sente il bisogno di riferire. Rathfelder scrive anche per Mediacentar: sulla sua esperienza come corrispondente, ma soprattutto su come le ideologie di oggi si confrontino con la politica, le scuole e i media.
Schermi neri contro le tenebre dei media nazionali: le testate giornalistiche che non sono sotto la diretta influenza del governo e numerosi portali e siti web di organizzazioni non governative hanno annerito i loro siti web per un'ora. Obiettivo: attirare l'attenzione del pubblico sullo stato in cui versa la libertà d’informazione in Serbia.
I media bosniaci concentrano la loro attenzione su quegli stati che sono considerati élite, sugli individui che sono accettati come i più importanti individui della nostra società e sugli eventi che riguardano queste persone e nazioni. Dall’altra parte, un gran numero di coloro che non sono grandi, ricchi e "importanti" sono lasciati dietro alle porte chiuse che conducono allo spazio dei media.