Economia

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18/06/2001 -  Anonymous User

L'8 giugno, mentre a Valona si stava svolgendo una conferenza importante con un nome altrettanto significativo, "Valona, la porta dei Balcani", organizzata dall'Associazione degli imprenditori italiani in Albania, dalla magistratura italiana viene emesso un ordine internazionale d'arresto per la presidentessa di questa associazione, Cristina Busi. La Busi, oltre ad avere questo incarico, e' anche la principale azionista di Coca Cola Bottling Enterprise Tirana, uno dei primi investimenti stranieri in Albania. Lei viene accusata di evasione fiscale tramite l'emissione di fatture false di un valore estimabile in circa 40 miliardi di lire, fatta ad aziende di Catania. Alla conferenza partecipava tra gli altri anche l'Ambasciatore italiano in Albania, Mario Bova. Dopo essere stati informati sull'ordine d'arresto, l'Ambasciatore e i rappresentanti della Guardia di Finanza Italiana in Albania si sono allontanati dalla Conferenza. L'imprenditrice Busi ha rilasciato una dichiarazione pubblica, nella quale affermava che si sarebbe presentata al tribunale di Catania il giorno dopo. Invece e' stata arrestata l'indomani dalla polizia Albanese mentre stava cercando di andare in Montenegro.
Se questo avvenimento sta creando notevoli problemi ai latitanti italiani che non vedono più l'Albania come un rifugio sicuro, andando quindi a spostare le proprie basi verso il Montenegro, c'e' anche il rovescio della medaglia, ovvero il fatto che 3 milioni di albanesi hanno visto crollare davanti ai loro occhi il mito della Coca Cola e quello dell'imprenditoria italiana. Ora c'e' quindi il rischio che, con Cristina Busi, si impersonifichino tutti gli investitori stranieri che intervengono in Albania e tra gli albanesi tira aria di sfiducia. Questo sconforto e' stato accelerato anche dal fatto che nello stesso tempo della notizia dell'arresto, il nuovo vice premier italiano, Gianfranco Fini, ha dichiarato che se non viene fermato il flusso degli scafisti, l'Italia bloccherà i rapporti diplomatici con l'Albania, e che solo due giorni dopo sono stati espulsi 60 immigranti clandestini albanesi residenti in Italia. E' risaputo che le rimesse degli emigranti e purtroppo anche i traffici illeciti sono le maggiori voci di entrata dell'economia nazionale, per cui gli albanesi vivono con una certa apprensione il nuovo corso delle vicende italiane.

Ordinaria globalizzazione

16/06/2001 -  Michele Nardelli

C'è un luogo dove le dinamiche della globalizzazione si esprimono in forme anticipatorie tanto da farne uno snodo emblematico di indagine sulla post modernità. E che si tende ad ignorare, un po' perché la rimozione è il tratto caratteristico del nostro rapporto con questa parte d'Europa tanto diversa e ricca di civiltà e intrecci culturali, un po' perché non rientra negli schemi semplificati ai quali ci ha abituato il '900.

La lettura degli avvenimenti balcanici degli ultimi dieci anni come il prodotto di arcaici risentimenti nazionali ed etnici, quanto meno superficiale, ha contribuito a non far cogliere appieno il segno di questa moderna tragedia nel cuore dell'Europa. Certo, dieci anni di guerre non si spiegano senza una base ampia di consenso ed il richiamo nazionalistico ha avuto esattamente questa funzione. Così il disegno di una nomenklatura che decide di succedere a se stessa, può anche essere considerato il colpo di coda nell'agonia dei vecchi regimi, ma questa semplificazione non aiuta certo a capire.

C'è qualcosa di terribilmente moderno nelle vicende che hanno segnato i Balcani degli anni '90, che ha a che vedere con le dinamiche della globalizzazione nella crisi degli stati, nel prevalere della dimensione finanziaria dell'economia, nel controllo dei corridoi strategici fra l'Europa, il Caucaso e l'Oriente, nella sperimentazione dei più sofisticati sistemi d'arma e nell'intreccio fra deregolazione e neoliberismo. Uno scenario nel quale non possiamo non rispecchiarci.

Anche le maschere di questo tragico giuoco, che hanno interpretato al meglio il ruolo loro assegnato di croupier di un'immensa area off shore dove l'unica regola è la corruzione, assomigliano in maniera inquietante a certe maschere di casa nostra. Come dovrebbe far riflettere che a certe cancellerie occidentali personaggi come Milosevic fossero più funzionali di Kostunica, Karadzic di Dodik o di Ivanic, Tudjman di Racan, e così via.

È come se con la fine del bipolarismo si fosse aperta un'enorme voragine in grado di funzionare come fattore di attrazione di illimitati traffici ed affari, dove allocare i santuari dell'accumulazione finanziaria. Il che dovrebbe far riflettere sulla natura di chi ha vinto la partita del secolo scorso, come del resto sull'annebbiamento delle coscienze lasciato in eredità dai regimi.

Non è affatto casuale che gli industriali del nord est si riuniscano non a Treviso ma a Timisoara, in Romania, laddove 7203 imprese italiane imperversano nello sfruttamento di manodopera a costo zero, nell'assenza di regole né ambientali, né tanto meno sociali. O che i Balcani siano diventati lo snodo dei traffici più criminali, armi, droga, sigarette, per non parlare del traffiking di donne e bambini, del riciclaggio del denaro sporco, in un intreccio fra economia legale ed illegale dai contorni sempre più sfumati.

Così come non è per nulla casuale che i paesi dell'est europeo stiano diventando la pattumiera di un modello di sviluppo immorale, dissipativo ed insostenibile. All'eclatante decisione del parlamento russo di trasformare la Siberia in un'immensa discarica nucleare, corrispondono i mille episodi, solo in minima parte conosciuti, di trasformazione dei vecchi siti minerari di quella che un tempo era la Jugoslavia in altrettanti depositi di scorie tossiche e radioattive provenienti da ogni parte del mondo.

Deregolazione e povertà, poteri mafiosi e corruzione, sono gli ingredienti attraverso i quali l'altra metà dell'Europa viene inclusa ed esclusa al tempo stesso. Un immenso casinò, dove si gioca sul presente e sul futuro di un'umanità annichilita dalle macerie del comunismo e delle guerre, comprese quelle "umanitarie", compreso il "circo umanitario" che spesso le segue, altrettanto invasivo ed insostenibile. Pensare che non ci ricada addosso è solamente irresponsabile.
La globalizzazione non è un'astrazione ideologica, è il nostro presente. Capirne gli effetti è importante quanto contestarne le rappresentazioni.

UniCredito e Allianz rinunciano a Zagrebacka

15/06/2001 -  Anonymous User

Ivo Jakovljevic (Novi list, 7.6) commenta la decisione di UniCredito italiano e Allianz tedesca di rinunciare a una delle banche più importanti della Croazia - la Zagrebacka Banka - dopo che tre settimane fa i due colossi finanziari avevano annunciato di voler comprare il 75% delle azioni dell'istituto bancario di Zagabria. Secondo Jakovljevic la decisione sarebbe motivata non soltanto dalla contestazione dei monopoli levatasi in ambito governativo croato (manifestata tra gli altri dal vicepresidente del governo Slavko Linic e dal governatore della Banca centrale Zeljko Rohatinski), ma in primo luogo dall'immagine negativa che una vendita di questo tipo produrrebbe nei medi croati. La verità però è che UniCredito e Allianz intenderebbero comprare la Zagrebacka nel prossimo autunno, e l'operazione avverrebbe per conto della Deutsche Bank che già controlla la maggior parte degli istituti finanziari dell'Italia settentrionale.

Il governo decide la sorte di cinque grandi aziende

14/06/2001 -  Anonymous User

Il governo macedone si e' riunito il 12 giugno per decidere i destini di cinque grandi aziende del paese oberate dai debiti (si veda Notizie Est #443 del 3 giugno 2001). L'esecutivo ha deciso che tali aziende verranno liquidate, ma, di fronte alla minaccia, da parte dei sindacati, di proteste di massa accompagnate da blocchi delle principali vie di comunicazione, ha deciso di congelare la loro situazione fino al termine della crisi militare nel paese. La chiusura di tali aziende lascera' senza lavoro piu' di 7.000 persone, in un paese in cui la disoccupazione e' gia' al 45%.

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13/06/2001 -  Anonymous User

Anche nei prossimi mesi la Bosnia Erzegovina
rischia di restare senza gas combustibile. I rappresentanti dell'impresa
bosniaca Energoinvest, infatti, non sono riusciti ad
accordarsi con i loro fornitori russi della Gas Export.

Pur essendo stati avvertiti per tempo dei problemi
economici, in particolare dell'insolvenza della fabbrica
Birac di Zvornik, i russi chiedono il pagamento di tutti debiti bosniaci, che
ammontano a ben 6,2 milioni dollari.
Dunque il gas non arriverà in Bosnia se il debito non sarà ripagato entro
il settembre prossimo.
Ricordiamo che già da un paio di mesi la Gas Export non
distribuisce il gas in Bosnia, e nel frattempo è stato consumato il gas presente nelle riserve.

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13/06/2001 -  Anonymous User

E' cominciato il risanamento del famoso Stari Most- il Ponte vecchio
di Mostar. E di questa notizia si è
parlato molto in Bosnia in questi giorni. Il 7 giugno
è stata anche festeggiata ufficialmente l'apertura
dei lavori sulle fondamenta del Ponte. C'erano
tantissimi ospiti importanti: politici locali,
rappresentanti della comunità internazionale ma pochi
mostarini.

Perché? Perché questa è forse già la sesta
inaugurazione del Ponte, e la ricostruzione è
cominciata già un paio di mesi fa. Questa è stata
solo una presentazione ad uso dei politici, per poter
organizzare un altro cocktail e dissertare di come il Ponte sia
un simbolo di questa bella città.

Ma la realtà di Mostar in questi giorni è un po'
diversa, e poca gente si interessa della
ricostruzione del Ponte.

L'evento mostarino di cui più si parla è invece lo sciopero degli
insegnati nelle scuole superiori. Come molte altre cose in questa città,
anche la fine dell'anno scolastico non sarà normale. Al momento non
si prevede ancora quando si concluderanno le lezioni, e sono sospesi pure gli esami di
maturità. Da quasi quattro mesi i professori non
ricevono lo stipendio, e le trattative aperte col governo
cantonale - competente per l'istruzione - hanno portato finora solo belle promesse cui i
professori non credono più. Per loro, come per tanti altri mostarini, sarebbe meglio inaugurare una nuova piccola fabbrica anziché i lavori sul Ponte vecchio. La guerra è finita
da diversi anni, ma in questa città le attività produttive non sono
ancora riprese.

Sarebbe bello rivedere il famoso Ponte
sulla Neretva perché - dicono i politici - questo è il vero simbolo della città
unita. Ma per realizzare una vera unità, ogni famiglia deve poter tornare nella sua casa:
non sarà il Ponte a riunire la città, ma la gente. Oggi però la Mostar
di una volta non c'è più, e la sua popolazione è molto cambiata.
I "nuovi venuti" non tornano nelle campagne da dove sono arrivati
dieci anni fa, e allo stesso tempo molti mostarini non
vogliono rientrare da Svezia, Norvegia e America. Non si vive di
nostalgia, ma di lavoro.

Infine, una cosa viene sempre dimenticata: la ricostruzione del
Ponte costerà circa 15 miliardi di lire. Ne mancano
ancora sette, e quasi la metà della somma sarà raccolta con mutui.
Quindi non sarà il mondo umanitario a ricostruire il ponte; saranno infatti gli stessi mostarini a pagare la ricostruzione. Ma come, con quali soldi se
in questa città non si produce ancora niente, se la
gente rimane senza stipendio per tre o quattro mesi?
Per la ricostruzione del Ponte, tra l'altro, pare non bastino le pietre
originarie raccolte nel fiume. Quindi neppure il
materiale del nuovo Ponte sarà quello originale...

In molti ricordano lo Stari Most, il Vecchio
Ponte, con nostalgia. Ma, lo abbiamo detto,
di nostalgia non si vive.

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12/06/2001 -  Anonymous User

L'Osservatorio sui Balcani pubblica oggi due approfondimenti sulle malversazioni nei Balcani. Si tratta di un'inchiesta di Lino Veljak, corrispondente da Zagabria per l'Osservatorio, nel quale viene focalizzata la polemica scatenata dal settimanale di Zagabria "Nacional" circa le collusioni da parte del presidente montenegrino Milo Djukanovic e la malavita balcanica. La conclusione critica di Velijak mira infine a porre l'accento sul futuro degli interi Balcani e sui giochi internazionali. L'altro approfondimento è, invece, un lungo articolo del ricercatore Emilio Cocco, riguardante la gestione delle privatizzazioni in Croazia. In particolare, viene fatto cenno al più che probabile acquisto della Zagrebacka Banka da parte del consorzio italo-tedesco Unicredito-Allianz, inoltre, e più estesamente, vengono analizzate le dubbie operazioni dei magnati dell'economia croata durante il processo di privatizzazione in relazione alle difficoltà della coalizione di centro sinistra, attualmente al governo, nel gestire la difficile eredità della gestione di Tudjman e del suo partito (HDZ).

» Approfondimento: © Il caso "Nacional"

» Approfondimento: © "La rapina del secolo"

Inchiesta speciale: il caso Nacional

11/06/2001 -  Anonymous User

Stanko Subotic Cane nel 1995 era un noleggiatore di barche per turisti a Milocer, località di mare del Montenegro. Ora è un uomo d'affari che vive a Ginevra, e pare possieda più di 500 milioni di dollari guadagnati nel commercio utilizzando basi in Montenegro, Cipro e Svizzera. Subotic proviene dalla Serbia, ma nel 1999 ha ricevuto la cittadinanza dalla Croazia ed ora è perfino deputato in parlamento, eletto con l'HDZ nel collegio elettorale dei cittadini residenti all'estero. Oggi attorno a Stanko Subotic Cane si sta sollevando un caso politico-giudiziario esplosivo, che coinvolge nomi pesanti in Montenegro, in Serbia, in Macedonia e nella stessa Croazia. E anche il mondo finanziario internazionale, con in prima fila le multinazionali del tabacco. Ne ha fatta di strada, il noleggiatore di barche per turisti...
La vicenda di Subotic rientra nell'inchiesta del settimanale di Zagabria "Nacional", che si basa su fonti croate, serbe e montenegrine soltanto in parte rese pubbliche. L'inchiesta ha preso il via proprio investigando sul rilascio della cittadinanza croata all'uomo d'affari, che sentitosi preso di mira pochi giorni fa ha anche dichiarato di rinunciarvi formalmente. Jasna Babic ha identificato nell'ex-generale Ljubo Cesic Rojs - allontanato dall'esercito croato dallo stesso Presidente Mesic - il personaggio influente che nel 1999 propose al Ministro degli interni di allora Ivan Penic di regalare un passaporto croato a Subotic.
Dov'è lo scandalo? Il settimanale definisce Subotic come "il re del contrabbando di sigarette nei Balcani", incluse le rotte tra Montenegro, Albania e Puglia. E negli articoli successivi - alcuni firmati dallo stesso direttore Ivo Pukanic, noto amico dell'ambasciatore statunitense William Montgomery prima di stanza a Zagabria e ora a Belgrado - si tirano in ballo altri nomi eccellenti: dal presidente montenegrino Milo Djukanovic, accusato di essere "socio in affari" di Subotic, al primo ministro serbo Zoran Djindjic che sarebbe stato da questi corrotto.
A carico del primo "Nacional" ha pubblicato la confessione-accusa di Srecko Kestner, altro personaggio noto negli ambienti mafiosi montenegrini, che ricevette la cittadinanza croata assieme a Subotic. La confessione di Kestner è stata rilasciata - com'è tipico per un pentito - poco prima del suo arresto a Zagabria, arresto non ancora ufficialmente confermato perché parte di un'indagine riservata dei servizi di sicurezza croati in collaborazione con quelli USA. Kestner accusa Djukanovic di aver fatto uccidere Goran Zugic, suo Consigliere per la sicurezza di stato. Sia Zugic sia Djukanovic sarebbero stati inoltre nel libro paga di Subotic, con un appannaggio mensile di 100.000 marchi tedeschi. Ma non basta: tra i personaggi sospettati di essere stati corrotti da Subotic ci sarebbe anche il Primo ministro macedone - Ljupco Georgijevski.

Subotic ha subito avviato una causa contro "Nacional" e pure contro il quotidiano montenegrino "Dan", giornale controllato dai sostenitori di Slobodan Milosevic, che riprende regolarmente gli articoli di "Nacional" sul caso. Anche Djukanovic, a titolo personale, ha intentato causa, e lo stesso Subotic da Ginevra ha smentito qualsiasi coinvolgimento del presidente monenegrino. Passando anzi al contrattacco, l'affarista "serbo-croato" ha accusato l'ex-rappresentante commerciale montenegrino a Washington - Ratko Knezevic - di essere il vero autore degli articoli apparsi su "Nacional". Knezevic tra l'altro è amico molto intimo di Pukanic, direttore del settimanale, ed il rapporto è confermato da entrambi.
L'accusa è stata ripresa anche da Blagota Baja Sekulic, altro personaggio appartenente agli ambienti della malavita del sud dell'Adriatico. In un'intervista rilasciata al settimanale indipendente montenegrino "Monitor" , Sekulic ha confermato che dietro alla campagna avviata da Nacional ci sarebbe Knezevic, cui Subotic non vorrebbe pagare 1,6 milioni di marchi tedeschi di "pizzo". Poche ore dopo aver rilasciato l'intervista, Sekulic è stato ucciso da parte di sconosciuti nel centro di Budva. Ma con un'intervista rilasciata al settimanale belgradese "Novi telegraf", Knezevic ha smentito tutte le accuse e ha dichiarato di voler a sua volta intentare causa contro Subotic. Non ha smentito invece il fatto che sua moglie sia dipendente della Sicurezza di stato montenegrina, ma ha escluso ogni collegamento tra questo ed il caso in discussione. E' difficile comprendere quale sia la verità in questa intricata vicenda; un fatto che appare chiaro tuttavia è il coinvolgimento dei servizi segreti di molti paesi. E gli interessi sono più che evidenti, dati i legami del caso con il mercato nero delle sigarette in cui Subotic e molti altri sono invischiati.

Nessuno però ha parlato finora del ruolo di Dejan Kosutic, nipote dell'ex-presidente croato Tudjman, che pare commerci ancora sigarette con il Montenegro e la Serbia. Qui, prima della svolta politica, aveva come referente Marko Milosevic, figlio di Slobodan. Tuttora la maggior parte delle sigarette che si trovano sul mercato serbo sono prodotte nell'Industria di tabacchi di Rovigno (TDR) acquistata all'inizio delle privatizzazioni, con lo stretto controllo di Tudjman, da una ditta anonima ma evidentemente vicina alla destra radicale croata. Questa stessa è riuscita a impedire alla multinazionale British-American Tobacco (BAT) l'acquisto dell'industria tabacchiera di Zara, eliminando così ogni concorrenza sul territorio nazionale e inter-regionale. E' bene ricordare che proprio a causa di questo "gioco" l'industria di tabacco di Zara, non avendo fondi per la ristrutturazione, ha dovuto chiudere i battenti.
Sempre la British-American Tobacco aveva in progetto di costruire una fabbrica di tabacco a Kragujevac, in Serbia, e per questo aveva cercato l'appoggio del Primo ministro Zoran Djindjic e del Vicepresidente del Governo serbo Vuk Obradovic. Ma l'operazione è fallita, perché non ha trovato il consenso nel resto della coalizione governativa serba. L'appoggio di Djindjic alla concorrenza, che andava quindi a colpire gli interessi della TDR croata, (o forse di un'altra multinazionale, la R. R. Reynolds) potrebbe spiegare come mai anch'egli sia entrato nella lista degli accusati. D'altra parte in questo momento Djindjic rappresenta l'ostacolo maggiore al conservatorismo ultranazionalista serbo, che si raccoglie intorno al partito del presidente federale Kostunica - DSS.
L'attacco a Djukanovic invece si potrebbe spiegare anche come un risultato della politica americana, contraria all'indipendenza montenegrina. O forse, più in generale, per richiamare il vertice montenegrino agli interessi delle multinazionali. Si parla, ma non ci sono prove al riguardo, di un ruolo importante avuto nella vicenda dall'ambasciatore americano Montgomery.
La verità? Riguardo a questa vicenda per il momento la verità è oscura. Dovrebbe essere chiaro però che in ballo c'è la lotta per il futuro dei Balcani: è in gioco, tra le altre cose, il controllo dei mercati e del potere politico nei singoli paesi. Le forze conservatrici in occidente vogliono compromettere ed emarginare il centro sinistra nella regione - specialmente in Serbia e Montenegro - per mantenere il controllo americano e togliere all'Unione Europea la possibilità di avere un a sua influenza sull'area. O forse si tratta soltanto degli interessi di alcune multinazionali - o di reti di contrabbando concorrenti - che vedono nei Balcani un mercato molto interessante?
Per tutti questi interessi risulta strategico intensificare la guerra in Macedonia, rafforzare la destra radicale in Croazia, tollerare e anche appoggiare le destre serba e croata in Bosnia Erzegovina, indebolire le forze civiche in Serbia e Montenegro... produrre un caos per cui risulti poi assolutamente necessaria la presenza, se non il controllo politico ed economico quasi assoluto, delle forze militari occidentali?

Queste sono tutte domande che, per il momento, non hanno ancora una risposta...

La rapina del secolo. Breve storia delle privatizzazioni in Croazia

11/06/2001 -  Anonymous User

Alla vigilia dell'acquisto del pacchetto di maggioranza della Zagrebacka Banka, primo istituto di credito croato, da parte del consorzio italo-tedesco Unicredito-Allianz, si ripropone all'ordine del giorno la questione della regolarità del processo di privatizzazione in Croazia. Il 3 maggio, poco prima delle elezioni amministrative, il governo di centro sinistra ha varato in parlamento la legge sulla revisione della privatizzazione che costituiva una delle principali promesse elettorali dell'attuale coalizione di governo.
Articolo di Emilio Cocco, dottorando presso l'Università di Trieste.

Oslobodjenje in sciopero: sospesa l'uscita del giornale

21/05/2001 -  Anonymous User

Il giornale bosniaco Oslobodjenje, conosciuto per aver continuato a stampare anche durante il duro assedio di Sarajevo dall'Aprile del 1992 al dicembre del 1995, non esce in edicola da venerdì scorso per uno sciopero indetto da redattori e dipendenti del giornale. I lavoratori di Oslobodjenje hanno deciso la protesta affinché una volta per tutte vengano ascoltate e soddisfatte le loro richieste, avanzate ormai da mesi. Tra queste il pagamento degli stipendi arretrati, la sostituzione del direttore generale, del vicedirettore e del caporedattore.

Come dichiarato dal Sindacato (Habena, 21 maggio), le trattative continueranno nel pomeriggio di domani, giorno in cui si prevede l'arrivo e la partecipazione dei rappresentanti dei partner sloveni proprietari del pacchetto di controllo del giornale.

Durante l'assedio alla città di Sarajevo, Zlatko Dizdarevic - allora direttore di Oslobodjenje - lanciò moltissimi appelli affinché si sostenesse l'uscita del giornale anche in condizioni così dure e al limite della sopravvivenza. Alcune tra le realtà italiane che raccolsero l'appello furono l'Associazione per la Pace e l'ICS, che tramite la campagna "Sarajevo cuore d'Europa" riuscirono a fornire - tra il 1993 e il 1994 - supporto finanziario e materiale al giornale. Forse vale la pena ricordare che già nei primi mesi di assedio il palazzo venne pesantemente bombardato dall'esercito serbo-bosniaco, e i giornalisti dovettero tutti concentrarsi a lavorare nei piani inferiori e nei sotterranei del palazzo. Oggi l'edificio è ancora così come si è presentato alla fine di quattro anni di assedio (foto). La decisione delle varie forze politiche che in questi sei anni si sono alternate nell'amministrazione della città è sempre stata unanime: il palazzo non verrà ricostruito e rimarrà a ricordo, si spera deterrente, di ciò che è accaduto a Sarajevo.

Finanza:la partita dei balcani parte da Unicredito

19/05/2001 -  Anonymous User

Unicredito, la seconda banca d'Italia, non perde tempo e, in vista dell'allargamento dell'Ue, rafforza la propria presenza nell'Europa dell'Est, dove nell'ultimo biennio ha investito quasi 4.000 miliardi. Mentre infatti la Croazia muove i primi passi verso l'integrazione con l'Unione europea, concludendo il processo negoziale con i Quindici con la firma dell'Accordo di associazione e stabilizzazione, l'istituto di credito di Piazza Cordusio acquista la prima banca croata Zagrebacka con un'Offerta pubblica di acquisto e scambio lanciata insieme con Allianz. Un programma di apertura che comprenderebbe non solo Croazia, ma Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Serbia, Romania e Ucraina, Albania e Turchia.

Niente pensioni per i mostarini

12/05/2001 -  Anonymous User

Il fondo per le pensioni di Mostar è vuoto, dice il suo direttore Ivan Bender (BHTV 24.04.2001), e la colpa è tutta della Hercegovacka Banka. Quando si troverà il denaro per riempire il grande buco che si è creato, avremo le condizioni per versare le pensioni.

La storia della banca erzegovese ha cambiato il volto dell'intera regione. Di questa banca non si serviva solo l'intera area della cosiddetta Herceg-Bosna (la zona a maggioranza croata della Bosnia) ma anche molte istituzioni della parte bosniaca di Mostar. Così tutti gli impiegati delle scuole, delle istituzioni culturali e degli ospedali di Mostar est (la parte a maggioranza musulmano-bosniaca) sono rimasti senza stipendio, perché era sempre stata l'Hercegovacka Banka a coordinare il sistema di pagamento nella zona. In ogni caso, la vicenda di questa banca sembra stia giungendo al termine.

Dopo il primo tentativo - fallito - di metterla sotto controllo,
Wolfgang Petrisch ha organizzato un'altra operazione, questa volta riuscita. Nella notte del 17 aprile scorso le unità speciali della polizia militare britannica (SAS) sono entrate nel palazzo
della banca con l'intento di sequestrarne i documenti segreti. Per aprire la cassaforte i militari hanno dovuto utilizzare addirittura della dinamite. L'Hercegovacka Banka, dicono nella sede di Sarajevo dell`Alto Rappresentante della Comunità Internazionale, è stata un ottimo luogo di riciclaggio del denaro sporco (Dani, 20.04.2001).

Ora dunque la vicenda è terminata, e saranno nuove banche a seguire il sistema dei pagamenti in Erzegovina.

'L'Europa senza frontiere ha una nuova linea Maginot'

05/05/2001 -  Anonymous User

L'entrata nella Unione Europea non sarà la panacea per tutti i mali, ma potrà costituire una piattaforma su cui rilanciare la pace, la convivenza civile e lo sviluppo locale nei Balcani. I tempi sono ormai maturi per fissare date, scadenze e parametri che guidino questo percorso. E' questo il messaggio chiaro che viene dall'incontro "Di-Segnare l'Europa. I Balcani tra integrazione e disintegrazione", promosso oggi nell'ambito del World Social Forum (Padova, 4-6 maggio) dall'ICS - il Consorzio Italiano di Solidarietà che raggruppa oltre cento associazioni e gruppi locali italiani impegnati da anni nel sostegno e nella ricostruzione dell'Europa sud orientale - e dall'Osservatorio sui Balcani.
"L'attenzione materna dell'Europa democratica è necessaria", conferma il sindaco di Sarajevo, Muhidin Hamamdzic, parlando di "supervisione opportuna e bene accetta", fino a quando le cose non cambieranno, assumendo un corso normale, logico, maturo e quotidiano. Hamamdzic spiega i conflitti e le incomprensioni con la comunità internazionale come "il risultato della nostra impazienza e del nostro desiderio di accelerare il processo che condurrà la Bosnia al luogo a cui essa da sempre appartiene: l'Europa". Ma, accusa il sindaco di Sarajevo, l'Europa per ora si rivela matrigna: "Dopo la caduta del muro di Berlino, l'Europa sta costruendo nuovi muri verso l'Est! I paesi in transizione sono letteralmente 'tagliati fuori' dall'Occidente. L'Europa senza frontiere ha una nuova linea Maginot, un 'corridoio sanitario' tra se stessa e i paesi in transizione, e, oso dire, in particolare verso la Bosnia. Il visto Schengen è un nuovo male e un nuovo Muro di Berlino. La città di Sarajevo e il mio intero paese sono immensamente riconoscenti alla Comunità Internazionale per avere fermato la guerra in Bosnia. Ma, saremmo molto più felici se poteste impedire altri potenziali conflitti. L'Europa, con il sistema di Schengen, si comporta come una brava donna di casa che cerca di nascondere le immondizie sotto il tappeto, ma senza risolvere nulla. La differenza tra poveri e ricchi è sempre più grande e sempre più profonda".
Nella parte ricca dell'Europa, confermano gli altri relatori, da Kiro Gligorov, ex-Presidente della Repubblica di Macedonia, a Gabriele Martignago (Patto di Stabilità per il sud est Europa) a Jovan Teokarevic (Istituto per gli Studi Europei, Belgrado) e Diana Çuli (Forum delle donne albanesi, Tirana), si continua a non riflettere sulle dinamiche retrostanti alle tragedie degli anni '90 e si pensa ancora ai paesi balcanici solo come ad un terreno di incursione, rischiando di perseverare nella mera ricerca di proprie aree di influenza nazionale senza sviluppare un approccio d'area complessivo."Le transizioni post-coloniali - osserva Rada Ivekovic (Università di Parigi-8) - assomigliano alle transizioni post-comuniste, o comunque che le difficoltà di sviluppo del Terzo Mondo assomigliano sempre di più a ciò che noi vediamo in alcuni paesi dei Balcani e dell'Europa dell'Est, se non in tutti i paesi dell'Europa centro-orientale. Possiamo allora imparare qualcosa da quell'esperienza".
Il futuro economico del sud est Europa, avvertono con accenti diversi i relatori dal palco del World Social Forum, non può essere garantito né dalle chimere degli investimenti occidentali di rapina, né tantomeno dal perdurare dell'assistenzialismo umanitario. Occorre immaginare invece un percorso economico inedito, conclude Giulio Marcon (Ics) tirando le fila del convegno, bisogna costruire un disegno di sviluppo integrato del territorio, sul quale far convergere le risorse locali e gli aiuti internazionali, puntare sull'autogoverno delle comunità, costruire società civile.