La vecchia piazza di Sarajevo con i piccioni in volo  (© RossHelen/Shutterstock)

Sarajevo (© RossHelen/Shutterstock)

L'esito delle elezioni amministrative in Bosnia Erzegovina del 15 novembre scorso ridisegna in parte il potere politico delle principali città, come Sarajevo e Banja Luka, e apre le porte alla speranza che possa avvenire, finalmente, un cambiamento sostanziale

24/11/2020 -  Ahmed Burić Sarajevo

Partiamo dalla statistica, che è sostanzialmente una somma errata dei dati, anch’essi perlopiù errati, almeno per quanto riguarda la Bosnia Erzegovina. Dunque, alla vigilia delle elezioni amministrative tenutesi in Bosnia Erzegovina lo scorso 15 novembre nella lista elettorale risultavano iscritti 3.283.194 aventi diritto al voto. Questo è il primo dato privo di senso. Stando all’ultimo rapporto dell’Onu sulla popolazione mondiale, nel 2018 la Bosnia Erzegovina contava circa 3,3 milioni di abitanti. Anche questa cifra appare inverosimile, considerando la costante emorragia di bosniaco-erzegovesi che lasciano il paese. Già questi due numeri confermano le parole di quel fantasioso e longevo argentino che disse: “La democrazia è un abuso della statistica”. Se quei dati fossero veri significherebbe che quasi tutti i cittadini della Bosnia Erzegovina hanno diritto di voto. Uno scenario che quelli che vincono le elezioni probabilmente auspicano, ma che è di fatto impossibile.

Ne abbiamo già parlato su queste pagine e non vorremmo appesantirvi ulteriormente con altre brutte notizie, ma diciamo, per onor di cronaca, che alle elezioni amministrative dello scorso 15 novembre hanno votato poco più di 1,5 milioni di cittadini bosniaco-erzegovesi, quindi meno del 50% degli aventi diritto formalmente iscritti nelle liste elettorali. Se tuttavia prendiamo in considerazione dati più realistici – stando ai quali oggi la Bosnia Erzegovina ha meno di 2,5 milioni di abitanti – , risulta che alle elezioni dello scorso 15 novembre l’affluenza alle urne non è stata poi così bassa. Ma la pubblicazione dei “veri” numeri non giova a nessuno.

In primo luogo non giova alla Commissione elettorale, fondata con il sostegno delle istituzioni europee per poi essere lasciata a cavarsela da sola. Se le liste elettorali non sono aggiornate è colpa della Commissione elettorale che si è assunta il compito di organizzare e gestire le consultazioni elettorali, ignorando completamente la situazione in cui si svolgono le elezioni e le loro conseguenze.

Ma non è tutta colpa della Commissione elettorale, schiacciata tra gli interessi dei “grandi” partiti che cercano in ogni modo di ottenere il miglior risultato elettorale possibile. Le elezioni in Bosnia Erzegovina sono spesso state segnate da varie malversazioni, frodi, distruzione delle schede elettorali, iscrizione delle persone morte nelle liste elettorali e, di conseguenza, l’affluenza alle urne di solito risultava bassa, mentre i partiti nazionalisti – in primis il principale partito bosgnacco (Partito di azione democratica, SDA), quello serbo (Unione dei socialdemocratici indipendenti, SNSD) e quello croato (Unione democratica croata della Bosnia Erzegovina, HDZ BIH) – si aggiudicavano il maggior numero di voti.

La sconfitta dell’SNSD a Banja Luka

Questa volta però l’epilogo potrebbe essere diverso. Lo scorso 15 novembre, subito dopo la chiusura dei seggi, è diventato chiaro che ci sarebbe stato un cambio ai vertici delle quattro “principali” municipalità di Sarajevo (Stari Grad, Centar, Novo Sarajevo e Ilidža) e che il candidato dell’SNSD alla carica di sindaco di Banja Luka sarebbe stato battuto dal giovane candidato di opposizione Draško Stanivuković che ha solo 27 anni. Fatto che ha mandato su tutte le furie il leader dell’SNSD Milorad Dodik che – proprio ora che si sta apprestando ad assumere l’incarico di presidente della Presidenza tripartita del paese – si è anche autoproclamato presidente del comitato dell’SNSD di Banja Luka. Una mossa per nulla sorprendente, dato il clima politico che regna in Bosnia Erzegovina. Dodik non può permettersi di perdere il più grande bilancio comunale in Republika Srpska, quello appunto del comune di Banja Luka, perché ciò potrebbe danneggiare seriamente il suo potere assoluto.

In questo fase della sua carriera politica Dodik sta cercando di copiare la strategia del presidente serbo Aleksandar Vučić: zittire completamente l’opposizione e conquistare tutte le posizioni dirigenziali. Dodik però sembra aver dimenticato di non avere così tanto spazio di manovra come Vučić, a causa del complesso sistema politico della Bosnia Erzegovina. Il presidente serbo è riuscito a creare un clima quasi perfetto che gli consente di determinare le condizioni di vita in Serbia. A quanto pare, all’ex presidente della Republika Srpska manca ancora qualcosa per portare a termine una simile impresa.

Alle elezioni dello scorso 15 novembre l’SNSD ha ottenuto il maggior numero di voti in Republika Srpska ma, oltre a Banja Luka, ha perso anche a Bijeljina, la seconda città più grande della Republika Srpska e una delle prime città in cui negli anni Novanta le formazioni paramilitari serbe e l’Esercito popolare jugoslavo diedero inizio alle operazioni belliche. Proprio a Bijeljina le truppe guidate da Željko Ražnatović Arkan compirono un massacro contro civili inermi.

Una svolta a Sarajevo

Quindi, ci troviamo di fronte a cambiamenti democratici destinati a verificarsi là dove si sarebbero dovuti verificare molto tempo fa ma erano stati ostacolati con forza? A giudicare dall’esito del voto a Sarajevo, la risposta è affermativa. La più grande notizia legata alle elezioni amministrative a Sarajevo è che Bogić Bogićević ha accettato l’incarico di sindaco della capitale (che non viene eletto direttamente dai cittadini, bensì viene nominato dal partito o dalla coalizione che ottiene il maggior numero di voti). Nel 1991 Bogić Bogićević, all’epoca membro della presidenza della SFRJ, si era rifiutato di votare per l’introduzione dello stato di emergenza, che avrebbe permesso ai vertici militari di salire al governo mentre la parte “civile” del potere sarebbe stata rappresentata da Slobodan Milošević. A quel punto tutte le maschere erano cadute, ma il serbo bosniaco Bogićević decise di non mettersi al servizio della nazione, bensì dei cittadini, rappresentando i loro interessi. Questo gesto fu interpretato come un tradimento della serbità, tanto più perché Bogićević durante la guerra appoggiò la parte bosniaca, facendo così guadagnare tempo alla Croazia e alla Slovenia per prepararsi meglio per la difesa.

Oggi, a distanza di quasi trent’anni da quel gesto umano, Bogić Bogićević approda alla guida della città che divenne uno dei principali bersagli della guerra che Bogićević aveva cercato di impedire. Oltre ad avere una forte dimensione simbolica, la sua nomina a sindaco di Sarajevo potrebbe segnare l’inizio del ripristino della fiducia nella possibilità che i politici compiano gesti umani e del ritorno sulla scena politica di persone di un certo spessore. Tuttavia, affinché si apra la strada per l’arrivo dei nuovi volti, è necessario che quelli “vecchi” se ne vadano. E questi ultimi sono l’SNSD che alle elezioni dello scorso 15 novembre ha ottenuto 45 sindaci e presidenti di municipalità (di cui 42 in Republika Srpska) e l’SDA che si è aggiudicato 28 sindaci e presidenti di municipalità (tutti nella Federazione BiH). Ah, la matematica.

Nella municipalità di Stari Grad l’SDA ha ottenuto il 4% di voti in meno rispetto alle elezioni precedenti, mentre nella municipalità di Centar, dove tradizionalmente vince la sinistra o i centristi, hanno perso circa il 10% dei voti e nelle nuove municipalità di Sarajevo tra il 12 e il 13%. Visti questi risultati, l’SDA prima delle prossime elezioni politiche, previste per il 2022, potrebbe cambiare completamente la sua strategia (in realtà inesistente) o cambiare i vertici del partito. Si tratta di una vecchia struttura politica, compromessa da comportamenti arroganti dei suoi membri, compreso il leader del partito Bakir Izetbegović e sua moglie Sebija, direttrice del Centro clinico di sarajevo. Un argomento di cui abbiamo già parlato su queste pagine.

Nonostante l’SDA per il momento resti alla guida di molti comuni, è molto importante, nell’ottica della continuità democratica, che abbia perso il potere almeno a Sarajevo.

Perché l’SDA ha trasformato Sarajevo in una città desolante, quasi invivibile. E questo è uno dei motivi alla base del successo del partito Popolo e giustizia (NP), il grande vincitore delle elezioni dello scorso 15 novembre, nato dalla scissione dell’SDA. In questo momento l'NP è la principale voce di malcontento all’interno della comunità bosgnacca, chiedendo che alcuni di quei “patrioti” che si sono arricchiti illegalmente vengano finalmente portati sul banco degli imputati. Il malcontento nei confronti dei vecchi partiti politici ha portato alla nascita di una nuova forza, che non sembra preoccuparsi del fatto di non avere alcuna tradizione. Il NP è un partito conservatore di centro destra che nei prossimi due anni sicuramente cercherà di inficiare la posizione dominante dell’SDA. È ora che il partito di Izetbegović esca di scena, ma non se ne andrà senza lottare.

Tuttavia, il primato politico non può essere raggiunto, almeno in Bosnia Erzegovina, senza l’appoggio del clero, e questa dinamica incide direttamente sulla capacità della Bosnia Erzegovina di progredire. La Bosnia Erzegovina progredirà nella misura in cui i leader dei gruppi etno-nazionali, nascosti dietro alla retorica clerical-patriottica, saranno impossibilitati a decidere del destino politico del paese.

I dignitari ecclesiastici non fanno altro che acuire le paure, tenendo le forze politiche imprigionate in una sorta di abbraccio mortale.

La liberazione – lo auspichiamo – è iniziata. Speriamo che questo trend possa proseguire già il prossimo 20 dicembre, quando, per la prima volta dopo 12 anni, dovrebbero tenersi le elezioni amministrative a Mostar. Un’occasione per uscire dall’oscurità e porre fine all’abuso della statistica.

Quel fantasioso pensatore argentino che ci ha insegnato qualcosa sugli abusi della statistica si chiama ovviamente Jorge Luis Borges. Quando aveva finalmente capito che, con l’ascesa al potere di Peron, la sua patria sarebbe stata diversa da quella che lui auspicava, aveva deciso di andarsene. Come si dimostrerà in seguito, per sempre.

Così come oltre 1,5 milioni di bosniaco-erzegovesi hanno deciso di lasciare il loro paese. È ora di interrompere questo trend negativo.