Recensione de "La signorina" un'opera di Andrić rimasta all'ombra dei suoi romanzi più famosi, recentemente pubblicata nella collana "Estensioni" dalla casa editrice Bottega Errante
Credo che i lettori, almeno quei pochi che continuano a ritornare ai classici della letteratura europea, ricordino quella parte del romanzo di Balzac Eugénie Grandet in cui il padre della protagonista – un uomo che persino giacendo a letto morente rimane sopraffatto dall’avarizia e dall’ossessione per il risparmio – minaccia la figlia dicendole che dovrà rendergli conto anche nell’aldilà. Mi prendo volentieri il rischio di affermare che nessuno scrittore è mai riuscito ad affrontare il tema dell’accumulo di denaro, ossia dell’avarizia, sullo stesso piano semantico e artistico raggiunto da Balzac come ha fatto Andrić nel suo romanzo Gospođica [La signorina]. Nessuno, nemmeno Gogol’ con il suo Sobakevic, protagonista de Le anime morte. Ancora oggi chi va a teatro ride guardando gli immortali personaggi avari: Arpagone di Molière, Aulularia di Plauto oppure, nella periferia sud-est d’Europa, Kir Janja di Sterija e Dundo Maroje di Držić. Risate che, in un certo senso, hanno anche un effetto educativo. I personaggi di Balzac e Andrić, invece, non fanno ridere.
La signorina recentemente uscita per i tipi dell’editore Bottega Errante è la terza edizione italiana di questo romanzo di Andrić. La prima edizione fu pubblicata nel lontano 1962 da Mondadori, nella traduzione di Bruno Meriggi. Dovette passare molto tempo, quasi mezzo secolo, prima che vedesse la luce una seconda edizione, nella traduzione di Dunja Badnjević e Manuela Orazi, pubblicata nel 2008 da Orlando Edizioni, quindi da una piccola casa editrice, per fortuna una delle tante “piccole” case editrici che salvano l’onore anche dei “colossi” editoriali in Italia e nel resto d’Europa. Quest'anno ricorrono i centotrenta anni dalla nascita di Ivo Andrić, per cui l’editore Bottega Errante ha deciso di riproporre La signorina ai lettori italiani, sempre nella traduzione di Badnjević e Orazi. Con questa pubblicazione la casa editrice friulana ha confermato il suo interesse per il vincitore del premio Nobel le cui opere restano attuali anche nel XXI secolo.
Il romanzo?
La vita della protagonista, Rajka Radaković, si svolge tra Sarajevo e Belgrado prima, durante e dopo la Grande guerra. Quindi, durante il periodo di grandi svolte che hanno radicalmente cambiato la mappa politica dell’Europa, portando alla nascita di quattro grandi imperi e, nonostante la più grande tragedia bellica mai vista fino ad allora, aprendo una fase storica contrassegnata dalla fede nel progresso e dalla fiducia nella possibilità di creare un mondo diverso. Sappiamo com’era quel mondo e quale eredità ha lasciato al XXI secolo.
Da quel mondo caotico, in grande subbuglio, Andrić ha tratto ispirazione per creare un personaggio femminile, una donna che, sopraffatta dal fallimento finanziario di suo padre, rinomato commerciante nella Sarajevo asburgica, fin dalla prima giovinezza è rimasta segnata dal destino del padre. Temendo un destino simile, schiacciata sotto il peso del monito del padre – che, sul letto di morte le aveva chiesto di promettergli che avrebbe risparmiato – Rajka costruisce un proprio mondo concentrando tutti gli sforzi nel tentativo di garantirsi una vita sicura. Inseguita dal fantasma del fallimento del padre, non bada ai mezzi per raggiungere i propri scopi, finendo per diventare un’imprenditrice e usuraia senza scrupoli e senza alcun interesse per il mondo che la circonda, vedendo il senso della sua vita nel denaro, negli interessi, per poi comprendere, durante la Grande guerra, che il mondo è quello che è: un posto che non offre alcun rifugio ai deboli e agli oppressi, assecondando solo gli interessi dei potenti. E il potere sta nel denaro e, nel caso di Rajka Radaković, nel risparmio: un’ossessione estranea a qualsiasi empatia, a qualsiasi desiderio di comprendere la sofferenza altrui. Rajka non è una persona particolarmente istruita, ma sembra che fin da piccola abbia adottato la formula atavica homo homini lupus.
No, non ha senso che io vi racconti cosa accade in questo romanzo dove la trama resta in secondo piano, essendosi l’autore focalizzato sul ritratto psicologico di Rajka Radaković, un personaggio molto particolare nella ricca e complessa galleria dei personaggi femminili di Andrić.
Distanziata dal suo popolo – un popolo che, dopo l’attentato di Sarajevo, prova dolore e sofferenza, per poi essere perseguitato durante la guerra – Rajka, subito dopo la fine della guerra, si trova costretta ad abbandonare Sarajevo, trasferendosi a Belgrado dove, guidata dal forte desiderio di evitare la sorte degli oppressi, continua a seguire la logica della classe dominante, quella dei potenti uomini d’affari.
Tutto il resto lo troverete in questo romanzo, dalla propensione di Andrić a fare riferimento ai toponomi realmente esistenti alla sua tendenza a rievocare in modo molto dettagliato alcuni eventi storici cruciali e a costruire con maestria i cosiddetti personaggi secondari. Alcuni lettori potrebbero anche essere spinti a paragonare La signorina (come tutti chiamano la protagonista del romanzo) ad altri personaggi femminili creati da Andrić, soprattutto alle donne vittime di pregiudizi e di oppressione patriarcale. Aggiungo en passant che tra i personaggi femminili realizzati da Andrić ci sono molte donne che soffrono, e quelle che osano esprimere le proprie idee finiscono sempre in modo tragico. Basti ricordare alcuni personaggi costruiti con grande maestria, come la protagonista del romanzo I tempi di Anika e Fata Avdagina, uno dei personaggi del celebre romanzo Il ponte sulla Drina. Lascio ai lettori scoprire i motivi che rendono tragico il personaggio di Rajka Radaković.
Per molto tempo i critici letterari hanno considerato il romanzo La signorina – scritto nella Belgrado occupata (tra dicembre 1943 e ottobre 1944) e pubblicato nel 1945, subito dopo la liberazione – un’opera molto meno riuscita rispetto ad altri due libri di Andrić pubblicati nello stesso periodo, La cronaca di Travnik e Il ponte sulla Drina. (Alcuni avevano persino cercato di negare il valore letterario del romanzo e di screditare l’autore.) La critica più dura era arrivata da Petar Džadžić: “La signorina è una tela sparpagliata, lacerata, senza magia. Una luce fioca...”. Parole che avevano profondamente colpito Andrić. A differenza dei suoi critici, Andrić era convinto che La signorina fosse un’opera più riuscita di altri suoi libri dello stesso periodo, compresa La cronaca di Travnik, un romanzo basato su una molle di documenti dell’epoca.
Affrontando questo tema in alcune interviste, Andrić si è limitato a rimproverare implicitamente ai suoi critici il fatto di aver giudicato con superficialità la sua opera, preferendo concentrarsi sui motivi per cui aveva scelto di costruire un personaggio femminile ossessionato dall’avarizia. Ne ha parlato con Ljubo Jandrić: “In questo caso particolare, mi interessava capire quel vizio chiamato avarizia. Ho già incontrato questo problema, sia nella letteratura che nella vita. Ho letto Držić, Molière, Sterija e tanti altri scrittori che hanno affrontato questa questione. Poi un giorno, non so esattamente quando, qualcosa si è mosso dentro di me e mi sono posto la domanda: ‘Ma ad essere avari sono solo gli uomini?’. Per quanto ne sappia io, questo vizio può affliggere chiunque. E proprio in quel periodo ho deciso di introdurre nella letteratura un personaggio femminile dominato dal denaro. Ho verificato e indagato molto su questo argomento, anche se, ovunque si vada, è facile imbattersi in persone avare...”.
Negli anni Ottanta Danilo Kiš aveva scritto un saggio incluso nell’edizione francese de La signorina. Concludo questo articolo citando alcune parole di Kiš, rivelatesi profetiche, sul grande valore letterario del romanzo di Andrić: “Questa protagonista dell’opera di Andrić è sempre stata osservata assumendo un atteggiamento patronizzante e considerata inferiore ai frati, consoli e visir di Andrić. Ma anche se questo romanzo [...] probabilmente non è tra i libri più letti di Andrić, la forza letteraria de La signorina non è diminuita nemmeno dopo oltre mezzo secolo e non è per niente inferiore a quella di altre opere di Andrić...”.