Sarajevo (foto di Gabriel Hess)

Sarajevo (foto di Gabriel Hess )

Le autorità locali di Sarajevo hanno dato al nuovo palazzetto dello sport, nel quartiere di Grbavica, il nome banale di “Novo Sarajevo” (Sarajevo Nuova) per evitare di intitolarlo a Goran Čengić. Ma è proprio così che la città muore

29/12/2017 -  Azra Nuhefendić

Goran Čengić era un ragazzo del posto, un raja come si direbbe tra amici a Sarajevo, e un eccellente sportivo ai tempi della Jugoslavia. Giocava a pallamano e faceva parte della squadra nazionale. Ma non era questo a contraddistinguerlo. Era il coraggio che Goran, durante la guerra, aveva mostrato per difendere un vicino e che gli costò la vita.

Il quartiere di Grbavica era stato occupato dai nazionalisti serbi. Gli abitanti musulmani e cattolici furono malmenati, uccisi, derubati, violentati e cacciati dalle proprie case.

A Grbavica operava Veselin Vlahović Batko, conosciuto come “il mostro di Grbavica”. Maltrattava e uccideva la gente, spesso per puro piacere. Era temuto anche dai serbi stessi. Dopo la guerra Batko fu processato e condannato a 45 anni di carcere per crimini di guerra e contro l’umanità.

Un giorno Batko prelevò da una casa un uomo anziano e ammalato. Lo maltrattava nel cortile, la gente sentiva la supplichevole voce del vecchio, qualcuno sbirciava da dietro la finestra, ma nessuno osava intervenire. Tranne Goran Čengić. Egli si oppose a Batko e cercò di difendere il vicino. Ma fu lui, alla fine, ad essere ucciso. I suoi resti sono stati trovati dopo la guerra.

Per anni gli abitanti di Grbavica hanno raccolto firme, hanno fatto petizioni, hanno mandato proposte alle autorità comunali affinché una via, una scuola o una gara sportiva venisse dedicata a Goran Čengić. Volevano rendere onore a Goran, una persona che doveva essere l’orgoglio di tutti i sarajevesi che, durante la guerra degli anni Novanta, disarmati e sotto assedio, erano sopravvissuti anche grazie all’eroismo di individui come lui. Tutto invano. Le autorità della municipalità di Novo Sarajevo, dove la maggioranza è costituita da membri del partito SDA (nazionalista bosgnacco), nascondendosi dietro “la volontà del popolo”, hanno preferito dare al palazzetto dello sport un qualsiasi altro nome purché non fosse quello di Goran.

“Non è dei nostri”. Per le autorità di Sarajevo Goran non è uno di loro. La sua era una famiglia mista, la madre era montenegrina e il padre bosniaco, inoltre entrambi i genitori erano antifascisti e partigiani. Un nome quindi problematico per un partito politico, l’SDA, che nega l’eredità antifascista e che attraverso il revisionismo storico cerca di promuovere il contrario.

Sarajevo muore anche quando nel centro della città, nel quartiere di Marijin Dvor, le autorità comunali decidono di smantellare l’unico parco della zona (Hastahana) per costruire un nuovo centro commerciale. Hastahana è una parola turca che significa “ospedale”. Ai tempi degli Ottomani, infatti, lì si trovava il primo ospedale pubblico per i poveri.

Il parco è molto amato e frequentato dai giovani, specialmente dagli appassionati di skateboard che possono anche usufruire dell’unica pista da skate in città. Accanto al parco, secondo un progetto che esiste ormai da sette anni, doveva essere costruito il Museo dell’Assedio. Il progetto è stato ideato e proposto da un gruppo di artisti e intellettuali che ha realizzato "FAMA Collection", un Museo virtuale contenente tutto il materiale raccolto in vent’anni (video, testimonianze scritte e registrate, documenti e reperti di ogni genere) relativo al periodo dell’assedio.

Ma la municipalità di Sarajevo Centro, dove la maggioranza di governo è sempre del partito SDA, ha deciso che lo spazio è troppo prezioso per essere lasciato a un parco o a un museo, e che sarebbe meglio edificarvi un altro centro commerciale.

Muore la città quando le autorità consentono che l’edificazione selvaggia distrugga due terzi del sito archeologico di Butmir, a sud-ovest di Sarajevo. La cultura neolitica di Butmir è caratterizzata dalla sua particolare ceramica. I reperti trovati risalgono a un periodo compreso tra il 5100 e il 4500 a.C., e sono i meglio conservati in Europa.

Il sito archeologico di Butmir è un monumento nazionale essendo il più antico e più importante sito in Bosnia con i resti di insediamenti umani della tarda età della pietra. Ma il sindaco del comune di Ilidža, Senaid Memić (del partito SDA), non ci vede nulla di importante da salvaguardare, e ha pianificato di vendere il terreno per costruire un complesso residenziale. A tal fine il comune ha chiesto alla Commissione per la conservazione dei monumenti nazionali della Bosnia Erzegovina la rimozione di gran parte dell’insediamento preistorico di Butmir dall’elenco dei monumenti nazionali!

Sarajevo perde un pezzo di sé quando al generale Jovo Divjak, dopo la morte della moglie, nessuno dei vicini va a porgere le condoglianze. È inimmaginabile per i sarajevesi. Partecipare al dolore dei vicini fa parte non solo della buona educazione, ma è anche doveroso secondo il concetto di buon vicinato, l’insieme di norme che regolano la convivenza tra vicini.

Il concetto di “buon vicinato” è una sorta di guida alla solidarietà locale secondo la quale - per secoli - si è regolata la vita e la morte della città e spesso ha determinato anche la sopravvivenza dei cittadini stessi. Compresa l’ultima guerra.

Nel novembre 1992 arrivai nella Sarajevo assediata, insieme allo scrittore americano Wiesel. Mi sarei fermata lì solo un paio di ore, e mia sorella, per potermi incontrare, si era fatta accompagnare dal suo vicino di casa Slobodan Krajišnik. Girare per le strade sotto il tiro dei cecchini e le bombe era pericoloso per tutti, ma Slobodan, da buon vicino, non si era tirato indietro, non si era inventato qualche scusa: aveva accettato di rischiare la vita per accompagnare mia sorella in centro città.

Il concetto di buon vicinato è cosi importante da essere proverbiale. Negli annunci di vendita può capitare di leggere che una casa in pessime condizioni venga sovrastimata e costi come o più di una casa nuova perché ha “un buon vicinato”.

Sarajevo muore quando a una via viene tolto il nome dell’eroe che durante la Seconda guerra mondiale aveva perso la vita combattendo contro gli occupanti, per intitolarla ad un collaboratore e ardente sostenitore dei nazisti e nazionalisti croati ustascia, nonché convinto antisemita: Mustafa Busuladić. E come se non bastasse, e a dispetto delle proteste degli oppositori e delle organizzazioni internazionali, a Sarajevo hanno dato il suo nome anche a una scuola elementare!

Sarajevo muore quando “ignoti” distruggono le lapidi nel cimitero dei serbi ortodossi; muore quando dopo 25 anni non si trova la forza per segnare il luogo dove, durante la guerra, furono uccisi i suoi innocenti vicini/concittadini, solo perché serbi; muore la città quando aprono bar e ristoranti dove non si serve alcol, e supermercati dove non si vende carne di maiale.

Muore la città dove gli studenti sono sfrattati, costretti a studiare nei corridoi dei centri commerciali, al caldo, perché le aule delle facoltà non sono riscaldate; muore la città che per anni subisce la restrizione di acqua perché il sistema idrico non funziona, quando nelle aree protette permettono ai nuovi ricchi e potenti la costruzione di case di villeggiatura, cosicché dai tubi fuoriesce acqua (quando c’è) già inquinata.

Muore la città quando si costruiscono le moschee per marcare il territorio, con il pretesto che “lo fanno anche gli altri”; muore la città quando dimettono dall’ospedale quasi duecento malati di cancro per risparmiare sulle spese sanitarie, e quando i giovani se ne vanno perché non vedono un futuro…

Muore la città che è sopravvissuta a 1.320 giorni d’assedio.