Rappresentazione di un uomo smarrito - © fran_kie/Shutterstock

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L’invasione russa dell’Ucraina e le sue conseguenze sugli equilibri politici e le dinamiche sociali in Bosnia Erzegovina e in Republika Srpska. Ne abbiamo parlato a Banja Luka con Srđan Puhalo, uno degli osservatori più attenti e irriverenti della realtà bosniaca

16/03/2023 -  Francesco Martino Banja Luka

Dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina ha notato dei cambiamenti sensibili nei Balcani occidentali e in particolare in Bosnia Erzegovina?

Innanzitutto, la Republika Srpska si è allineata alla politica della Serbia. In un certo senso c’era da aspettarselo, perché non solo la leadership politica, ma anche i cittadini della Republika Srpska hanno sempre mantenuto una posizione filorussa, guardando alla Russia come una potenza protettrice. Sia che si trattasse di questioni discusse in seno alle Nazioni Unite o di attuazione di determinate politiche, la Republika Srpska ha sempre potuto contare sull’appoggio di Mosca.

L’aspetto sorprendente, nuovo rispetto al passato è che Milorad Dodik ha iniziato ad esprimere la propria posizione filorussa in modo così palese. Questo atteggiamento ha mandato su tutte le furie Unione Europea e Stati Uniti, senza però portarli a reagire in modo drastico. Dodik è sì sottoposto a diverse sanzioni, ma non si tratta di misure drastiche, e il suo atteggiamento filorusso ad oggi non ha comportato alcuna conseguenza concreta né per lui né per il suo partito, né tanto meno per la Republika Srpska.

In che modo l’attuale posizione filorussa di Dodik è cambiata rispetto al passato?

Non è diversa, è solo più evidente. Dodik ha sempre visto la Russia come un alleato. In passato, alla vigilia di ogni tornata elettorale Dodik si è recato in Russia, si è incontrato e fotografato con Putin: questo veniva interpretato come un appoggio di Mosca nei confronti della RS. Alcuni aspetti dell’atteggiamento di Dodik, che prima magari sembravano irrilevanti, vista l’attuale situazione internazionale sono diventati molto provocatori, come un dito nell’occhio dell’UE e dell’occidente. La leadership della RS rifiuta di introdurre sanzioni contro Mosca, lo scorso 9 gennaio ha persino conferito un’onorificenza a Putin, e questa in un certo senso è una provocazione rivolta all’occidente.

La situazione interna della Republika Srpska ne ha risentito in qualche modo? Qualcosa è cambiato?

Tutto è rimasto uguale, la stessa retorica, gli stessi attori: solo che la Republika Srpska ha acquisito una nuova rilevanza, diventando una piccola isola filorussa che molti percepiscono come una possibile fonte di nuovi scontri o, volendo utilizzare termini più espliciti, come un attore che, pur di sostenere Putin e Mosca, è disposto ad aprire un nuovo fronte contro la Bosnia Erzegovina, l’UE e la Nato. Siamo arrivati al punto in cui si parla di un nuovo fronte, ossia della possibilità che scoppi una nuova guerra. Secondo me sono sciocchezze.

Non è nemmeno chiaro se Dodik utilizzi la Russia come mezzo per raggiungere i propri scopi o viceversa. A mio avviso, è un rapporto da cui entrambe le parti traggono vantaggio, ma non credo che Dodik sia talmente pazzo da portare ad un’escalation del conflitto che coinvolga la Bosnia Erzegovina, perché sicuramente ne usciremmo sconfitti: la Russia è lontana, la Serbia è debole e noi non abbiamo armi per combattere.

La Republika Srpska è come un’ulcera che non permette alla ferita di guarire, un’ulcera che continua a infettare la ferita, senza però rischiare di portare alla morte. Credo che tale ruolo della RS sia sufficiente per soddisfare gli interessi della Russia, che vorrebbe che la RS rimanesse il ventre molle dell’Europa per mantenere sempre viva la possibilità di un nuovo conflitto, senza che questo necessariamente si realizzi. Almeno io la vedo così.

Come sono invece i rapporti tra Republika Srpska e Serbia? Il presidente serbo Aleksandar Vučić, ha affermato che la Crimea e il Donbass appartengono all’Ucraina...

Se prestiamo attenzione alle dichiarazioni pubbliche dei politici, ci rendiamo conto che la Republika Srpska e la Serbia portano avanti discorsi molto simili, anche se in questo contesto la RS ha un atteggiamento molto più coerente rispetto a quello della Serbia e di Vučić. Bisogna però tenere a mente anche il fatto che la Serbia è sottoposta a pressioni molto più forti rispetto alla RS. In occasione del recente dibattito sul Kosovo nel parlamento di Belgrado, si sono potute sentire dichiarazioni secondo cui Banja Luka si sarebbe allineata a qualsiasi decisione politica di Belgrado. [La leadership della RS] non si è posta alcun dilemma, ha solo detto: “Qualsiasi cosa la Serbia decida, la appoggeremo”.

Vučić ha bisogno della Republika Srpska probabilmente a causa del Kosovo, per avere almeno un asso nella manica: se il Kosovo è uno stato, perché anche la RS non potrebbe esserlo a sua volta? Se la RS gode di una certa autonomia, perché anche in Kosovo non potrebbe essere creata un’associazione delle municipalità serbe? Il presidente serbo ha bisogno della Republika Srpska anche per poter ostentare il suo patriottismo, perché in Kosovo non lo può fare, Vučić non può nemmeno entrare in Kosovo senza passaporto...

Dall’altra parte, Dodik ha bisogno della Serbia per dimostrare di essere il secondo “uomo forte” dopo Vučić, se non addirittura di essere alla pari con il presidente serbo. Così facendo, Dodik sta rafforzando la propria posizione, soprattutto in Republika Srpska. Quindi, non vedo alcuno scontro tra i due. Certo, circolano voci secondo cui Dodik sarebbe un peso per Vučić e la politica di Dodik rappresenterebbe un problema per Vučić: osservando quanto sta accadendo nella sfera pubblica, si è però portati a pensare diversamente. Lo scorso 9 gennaio, ad esempio, il figlio di Vučić ha partecipato alle celebrazioni in occasione della Giornata della Republika Srpska, vi ha preso parte anche una delegazione serba, poi Dodik e Vučić spesso si incontrano a Belgrado, i politici serbi si recano a Banja Luka… Quindi, tutto sembra normale. Se c’è uno scontro, avviene lontano dagli occhi dell’opinione pubblica. Ciò che lega Dodik e Vučić sono gli interessi, ovvero i vantaggi reciproci, i benefici che Dodik trae dalla Serbia e Vučić dalla Republika Srpska.

Dodik gode di una posizione molto vantaggiosa in Republika Srpska. Se un domani la Serbia dovesse riconoscere l’indipendenza del Kosovo, Dodik direbbe: “Appoggiamo la posizione del governo della Repubblica di Serbia” e noi tutti annuiremmo, perché se va bene per la Serbia, va bene anche per noi, e non importa quanto detto e fatto in passato. Quindi, non ho notato alcun cambiamento rilevante, la Serbia non ha preso le distanze dalla Republika Srpska, né tanto meno quest’ultima ha adottato una politica diversa da quella portata avanti dalla Serbia.

In Republika Srpska esiste un dibattito interno sulla guerra in Ucraina oppure tutti la pensano allo stesso modo?

Qui non si dibatte mai su nulla, quindi nemmeno la guerra in Ucraina. I giochi sono ormai fatti. Il mondo accademico, la Chiesa e la leadership politica della Republika Srpska continuano a mostrare comprensione per la Russia. Questo atteggiamento non viene quasi mai messo in discussione, lo si giustifica con la presunta neutralità della RS: lì sta accadendo qualcosa, noi non vogliamo intrometterci, però sarebbe meglio se vincessero i russi. Quei pochi che la pensano diversamente non compaiono mai nei media mainstream. Intervengono su diversi portali e sui social media, ma non viene loro mai dato spazio nel servizio pubblico e nei grandi giornali, quindi nei media più seguiti.

In Republika Srpska nemmeno l’opposizione è antirussa. Forse non è filorussa, ma non è nemmeno antirussa. L’opposizione tace e cerca di mantenere un atteggiamento neutro per non far arrabbiare l’opinione pubblica, sapendo che quest’ultima è favorevole alla Russia. Quindi, non c’è alcun dibattito né scambio di opinioni. Se guardi i media in Serbia e in Republika Srpska, i russi stanno vincendo. Se invece guardi i media nella Federazione BiH, gli ucraini stanno vincendo, o almeno stanno combattendo molto bene. Ci sono due narrazioni parallele, narrazioni che coesistono, ma non hanno alcun punto in comune. Ognuno racconta la propria versione della storia al proprio pubblico.

Oggi in Bosnia c’è una sorta di immedesimazione con quanto sta accadendo in Ucraina? Si tende a fare paragoni, assimilando la guerra in Bosnia a quella in Ucraina?

Quando è scoppiata la guerra [in Ucraina] l’intera Bosnia ha letteralmente avuto un flashback. Però da tempo ormai ognuno ha scelto da che parte stare. I russi sono i nostri alleati, erano venuti in Bosnia per combattere a fianco dei serbi, molti vi persero la vita. Qui [in Republika Srpska] c’è anche un cimitero russo, vengono organizzate le cerimonie per commemorare le vittime russe. Dall’altra parte, i bosgnacchi si sono schierati al fianco degli ucraini. Quindi, nulla è cambiato rispetto agli anni Novanta.

Va però sottolineato che l’affetto che i serbi provano nei confronti della Russia non risale agli anni Novanta, affonda le sue radici nel periodo della Prima guerra mondiale, se non addirittura nell’epoca di Karađorđe, ed è un sentimento legato alla fede ortodossa, all’alfabeto cirillico, ma anche alla Seconda guerra mondiale e all’antifascismo. A differenza dei croati e bosgnacchi, i serbi hanno sempre provato un sentimento di vicinanza nei confronti della Russia.

Quindi, lo scoppio della guerra in Ucraina non ha portato all’insorgere di nuove divisioni in Bosnia Erzegovina. Però è curioso notare che solo pochi bosniaci siano andati a combattere a fianco dei russi. Per quanto i serbi appoggino i russi, in pochi sono disposti a combattere per la Russia. Tifiamo per la Russia, ma non siamo pronti a intraprendere azioni radicali. Come ho già detto, in Bosnia vi è una continuità nello scegliere da che parte stare: noi siamo a fianco dei russi, loro sono contro i russi. La guerra in Ucraina non ha portato alcuna sorpresa da questo punto di vista.

Poi vi è la questione dell’influenza russa. Qui tutti parlano solo dell’influenza russa, nonostante l’influenza esercitata dall’Unione europea e dall’occidente in generale sia molto più incisiva. Le organizzazioni filorusse presenti in Republika Srpska sono realtà marginali che contano pochi membri, eppure rivestono una certa rilevanza per il semplice fatto che la politica portata avanti dal padre padrone della RS, Milorad Dodik, è una politica filorussa. Anche nella Federazione BiH parlano sempre di una certa influenza russa, che però qui in Republika Srpska non è per nulla evidente, né tanto meno la leadership politica locale ne ha bisogno perché, ripeto, il terreno è stato preparato molto tempo fa: la fede ortodossa, l’alfabeto cirillico, le guerre…

Pensa che l’influenza russa sia semplicemente una questione storica? Com’è invece la situazione per quanto riguarda l’economia?

Qui era presente la banca russa Sberbank, ma ha chiuso i battenti dopo che l’UE ha introdotto sanzioni contro Mosca. C’è poi la raffineria di Modriča che è stata acquistata dai russi, ma non si capisce bene chi siano i veri proprietari, si parla di enormi perdite… C’è anche una biblioteca russa, però ci sono anche diversi centri culturali francesi e americani. Quindi, l’influenza russa non si contraddistingue da quella degli altri paesi. Semplicemente, i russi non vogliono spendere ingenti risorse in Republika Srpska: per loro è uno spreco. Non hanno alcun bisogno di investire nel settore non governativo e in vari progetti in RS perché l’élite politica locale è già filorussa.

Prima ha affermato che pochi cittadini della Bosnia Erzegovina sono andati a combattere in Ucraina. Ci sono alcune informazioni concrete al riguardo?

Ho sentito parlare di alcuni procedimenti penali. Secondo la legislazione bosniaco-erzegovese, combattere per un altro paese è un reato. La legge che affronta questa questione è stata adottata a causa della guerra in Siria, cioè a causa di quei combattenti, perlopiù bosgnacchi, che sono andati in Siria. Conosco solo un caso riguardante l’Ucraina, la vicenda di un uomo che è stato processato per essere andato a combattere in Donbass, ma alla fine è stato assolto. Quindi, non è un fenomeno diffuso. So che anche alcuni cittadini della Serbia sono andati a combattere in Ucraina, ma parliamo di poche persone. Ci sono molti più patrioti su Twitter che sui campi di battaglia. La Republika Srpska continua a tifare per la Russia, vorrebbe che i russi vincessero, ma non credo sia disposta a fare qualcosa di concreto per dare una mano ai fratelli russi.

Come vede il ruolo dell’UE in questo frangente storico? Crede che con lo scoppio della guerra in Ucraina l’UE abbia iniziato a prestare maggiore attenzione a quanto sta accadendo in Bosnia Erzegovina?

Circa cinque o sei anni fa l’interesse dell’occidente per la Bosnia Erzegovina si è affievolito e ne hanno approfittato non solo la Russia e la Cina, ma anche altri attori che sono riusciti a imporsi in quest’area, che è stata sostanzialmente abbandonata a se stessa. Quindi, oggi in BiH sono presenti la Cina, la Turchia, l’Iran – anche se, a dire il vero, questi ultimi due paesi sono presenti qui già dagli anni Novanta – e ovviamente la Russia, che ha rafforzato la propria presenza. Infine, ci sono l’UE e gli Stati Uniti. Anche loro stanno cercando di rafforzare la propria presenza in BiH, ma il problema è che non sono più le stesse potenze di 15-20 anni fa.

Qui ci rendiamo sempre più conto che anche l’Europa ha molti problemi e che nemmeno negli Stati Uniti la situazione è rosea, ossia che i valori promossi dall’occidente sono molto relativi, gli interessi prevalgono sui principi. Oggi l’UE e l’occidente sono molto meno attraenti di una volta, anche perché ora abbiamo un’alternativa: l’Eurasia e la Russia. Queste potenze si contendono le nostre anime, chi conquisterà prima i nostri cuori, poi le nostre menti (quanto alle nostre pance, quelle restano ancora rivolte verso l’occidente…). È una lotta continua.

Sembra paradossale, ma oggi anche i bosgnacchi sono sempre meno entusiasti dell’UE, delle politiche europee e di quelle statunitensi, chiedono la destituzione dell’Alto rappresentante, invocano riforme politiche e vedono nel nuovo governo bosniaco-erzegovese, quello centrale, un tradimento della BiH. Ci troviamo quindi in una situazione schizofrenica in cui sia i bosgnacchi che i serbi si oppongono all’Alto rappresentante e alla politica statunitense, ma per motivi diametralmente opposti. Ho l’impressione che stiamo vagando smarriti, non sappiamo cosa vogliamo, né dove andare, né in quale direzione guardare.

Cosa potrebbe fare l’UE, quale azione concreta potrebbe intraprendere per conquistare i cuori e le menti dei cittadini bosniaco-erzegovesi?

È una questione che riguarda innanzitutto i valori. Noi non vogliamo accettare i valori europei, o meglio: vogliamo che l’UE si adegui a noi e non viceversa. Poi non c’è alcun consenso nemmeno sull’UE: i serbi portano avanti un discorso, i croati un altro, i bosgnacchi un altro ancora… Mi sembra però che anche Bruxelles non sappia cosa farsene di noi. Ecco perché ci troviamo in questa situazione così complessa. L’UE ha iniziato a intraprendere diverse iniziative, che vedono coinvolti anche gli Stati Uniti, e questo non piace né ai serbi che si oppongono all’Alto rappresentante, né ai bosgnacchi che vogliono una politica diversa. E quando l’Unione ci abbandona, ne approfittano gli altri attori: Russia, Turchia, Cina… e uno scenario a cui abbiamo assistito più volte in passato.

Quindi, è difficile dire cosa dovrebbe fare l’UE. Forse potrebbe rendere più efficaci la magistratura e la procura della Bosnia Erzegovina in modo che i politici corrotti attualmente al potere vengano estromessi dalla vita politica, lasciando così spazio ad una nuova generazione di politici. L’attuale situazione in BiH è un terreno ideale per l’élite politica locale, un’élite che ha concentrato tutto il potere e le risorse nelle proprie mani, controlla tutto, senza assumersi alcuna responsabilità.

Poi non sarebbe male se l’UE provasse a proteggere la Bosnia Erzegovina dai suoi vicini, ossia dalla Serbia e dalla Croazia, e a porre fine alla tendenza di questi paesi a intromettersi nella politica della BiH, lasciando a noi il compito di cercare soluzioni ai nostri problemi. Perché mi sembra che la Serbia e la Croazia troppo spesso influenzino i processi politici in BiH.

Bruxelles potrebbe insistere su certe questioni, perché se vede in BiH un potenziale partner, non può limitarsi a darci soldi senza chiedere alla leadership della BiH di assumersi le proprie responsabilità. Se io ti do i soldi per costruire una nuova rete fognaria e idrica, le scuole e le strade, allora mi aspetto che tu cambi il tuo atteggiamento. Cosa vuol dire? Vuol dire che nessun aiuto concesso dall’UE dovrebbe essere gratuito, ogni aiuto dovrebbe essere ripagato attraverso un cambio del sistema di valori. Se io costruisco una rete fognaria in un comune, mi aspetto che quel comune assuma un atteggiamento positivo nei confronti dei ritornanti e delle minoranze, è così che si cambia il sistema di valori.

Noi comunque andremmo in Europa, se non come paese, allora ogni cittadino per conto proprio. Ho letto da qualche parte che negli ultimi sei anni 380mila persone hanno lasciato la Bosnia Erzegovina. Queste persone non sono andate in Russia, bensì in occidente. Quindi, noi vogliamo far parte dell’UE, ma i politici locali non ce lo permettono.

Mi sembra però che anche l’UE giochi ad un gioco molto strano. All’UE giova l’attuale situazione, perché le permette di avere sempre a disposizione una forza lavoro a basso costo composta da bosniaci, montenegrini, serbi, romeni, greci, albanesi. L’Europa preferisce noi rispetto a persone provenienti da Afghanistan, Siria, Iraq, Iran, forse perché pensa che ci assimiliamo più facilmente all’occidente rispetto agli extraeuropei…

È difficile trovare una formula che funzioni perfettamente: “l’UE dovrebbe fare questo e tutto andrà bene”. Però se alcuni politici bosniaco-erzegovesi venissero finalmente messi dietro le sbarre, si invierebbe un chiaro messaggio all’intera società, un messaggio che potrebbe incidere non solo sulla politica interna della BiH, ma anche sul suo percorso europeo, ponendo così fine all’attuale status quo che si protrae ormai da troppo tempo.

Pensa che la guerra in Ucraina abbia in qualche modo inciso sulle ultime elezioni in BiH? Anche se ha già detto che in BiH non c’è stato alcun dibattito su quanto sta accadendo in Ucraina…

Non è stata tanto la guerra quanto la politica russa a incidere sulle elezioni in BiH. Perché, come ha sempre fatto prima di ogni tornata elettorale, anche alla vigilia delle ultime elezioni Dodik si è incontrato con Putin, e il messaggio arrivato da Mosca è stato chiaro: sosteniamo Milorad Dodik.

Ritiene che ci sia il rischio che in Bosnia Erzegovina scoppi un nuovo conflitto? Come commenta il fatto che recentemente l’UE ha rafforzato la missione di pace Eufor in BiH? La vede come una decisione meramente simbolica?

È vero che la presenza della missione Eufor è stata rafforzata, probabilmente volendo così inviare un certo messaggio, ma non mi sembra una mossa particolarmente importante. L’attuale stato delle cose in BiH potrebbe rimanere invariato ancora per molti anni. L’evolvere della situazione non dipenderà tanto dai cittadini quanto dagli eventi in Ucraina e in Russia, dall’esito del conflitto in corso, ma anche dai rapporti di forza nell’UE, dal fatto che prevarranno i liberali o i conservatori. I serbi vogliono far parte dell’UE, ma solo di quella UE che vede protagoniste l’Ungheria, la Polonia, la Repubblica Ceca…

Quindi, vogliono un’Europa conservatrice?

Proprio così! Vi è anche l’Italia con il nuovo governo, anche in Austria governa la destra… L’evolvere della situazione in BiH dipende da molti fattori, però il punto è che noi vogliamo entrare nell’UE, a condizione che l’UE si adegui alle nostre regole e non viceversa. Non è quindi escluso che l’attuale situazione si protragga per molti anni ancora. L’unico problema è che le persone se ne stanno andando e stanno morendo, così la BiH rischia di diventare un enorme centro geriatrico, un luogo senza giovani. Arriveranno però altre persone, afghani, iracheni, cinesi… di certo non rimarrà uno spazio vuoto. Oggi noi siamo in un certo senso il confine dell’Europa, i Balcani sono il confine tra Oriente e Occidente. Chi un giorno abiterà questo confine? È una questione su cui l’Europa dovrebbe riflettere. Nel frattempo, la Bosnia Erzegovina si sta svuotando.

 

Questo materiale è pubblicato nel contesto del progetto “Serbia e Bosnia Erzegovina, la guerra in Ucraina e i nuovi scenari di rischio nei Balcani occidentali” cofinanziato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI). Il MAECI non è in alcun modo responsabile delle informazioni o dei punti di vista espressi nel quadro del progetto. La responsabilità sui contenuti è unicamente di OBC Transeuropa. Vai alla pagina del progetto