Ai festival di Locarno e di Sarajevo - tenutisi di recente - tra le opere dei Balcani il film rivelazione è stato “Sigurno mjesto - Safe Place”, del regista croato Juraj Lerotić
È il croato “Sigurno mjesto - Safe Place ” di Juraj Lerotić il film balcanico rivelazione dei festival dell’estate. L’opera prima ha fatto incetta di premi sia al Film Festival di Locarno, dove è stato presentato in prima mondiale, sia al Sarajevo Film Festival. A Locarno la pellicola era inserita nel concorso Cineasti del presente, riservato alle opere prime e seconde, che affianca il Concorso internazionale che assegna il Pardo d’oro (andato un po’ a sorpresa al brasiliano “Regra 34 – Regola 34” di Julia Murat, con Gran premio della giuria a “Gigi la legge” del friulano Alessandro Comodin), dove avrebbe meritato di stare. Due diverse giurie gli hanno attribuito il premio per la migliore opera prima, il Pardo d’oro per i Cineasti del presente e il premio per la migliore interpretazione maschile a Goran Marković (scoperto in “Sole alto”).
Doppio premio in questa sezione anche per l’ucraino “Yak tam Katia? - How Is Katia? ” di Christina Tynkevych, premio speciale della giuria e migliore interprete femminile Anastasia Karpenko.
Pochi giorni più tardi “Sigurno mjesto” ha ricevuto in Bosnia il premio Cuore di Sarajevo per il miglior film e per migliore attore allo stesso Lerotić. Come miglior regista è stata premiata l’ucraina Maryina Er Gorbach per “Klondike” , migliore attrice Vicky Krieps (“Il filo nascosto”) per “Corsage”. Da segnalare il premio di miglior documentario al serbo “Museum of Revolution” di Srđan Keča, già presentato al Trieste Film Festival.
“Sigurno mjesto” di Juraj Lerotić è uno spiazzante dramma familiare che si svolge nell’arco di circa 24 ore. Bruno (Lerotić) lavora in televisione a Zagabria e ospita in casa il fratello minore Damir (Marković), arrivato da poco da Spalato in cerca di un’occupazione. Il film inizia con Bruno nel suo appartamento che chiama il fratello finché si accorge che ha tentato il suicidio in bagno, lo soccorre e chiama l’ambulanza. L’intervento dei sanitari è tempestivo ed efficace, così il paziente si ritrova presto fuori pericolo, mentre iniziano gli interrogativi sulle ragioni del gesto. Il familiare assicura che l’aspirante suicida non ha mai dato segnali particolari, ma i medici considerano Damir schizofenico. Subito arriva dalla Dalmazia la madre dei due, vedova da un paio d’anni, che si presenta immediatamente come una donna invadente e decisionista che non si fida dei medici e delle loro valutazioni. Da parte sua Damir è chiuso, non si esprime né con le parole né con il volto, è imperscrutabile e imprevedibile.
Improvvisamente il giovane scappa dall’ospedale raggiungendo i familiari nell’appartamento: dopo un attimo di indecisione, decidono di nasconderlo e poi di partire tutti insieme verso Spalato. Giunti nella città natale, l’aspirante suicida fa perdere le tracce e non lo trovano. Il film è tutto girato in inquadrature molto strette sui personaggi principali, quasi sempre in piani sequenza, con un grande lavoro del direttore della fotografia sloveno Marco Brdar. È il ritratto di una famiglia apparentemente come tante e disturbata in maniera evidente: la madre cerca di imporre le proprie volontà, Bruno non si rende conto (o non vuole accettare) delle condizioni del fratello, insieme cercano di salvarlo. Un film molto interessante sulla malattia mentale e le sue ripercussioni, ricco di non detti e di sfumature. Molto bravi gli interpreti, non a caso premiati, in particolare Goran Marković per il suo personaggio impenetrabile, sfuggente e ingestibile.
Bello anche “Yak tam Katia?” che ha per protagonista Anna, medico delle ambulanze del soccorso di Kyiv. Madre single della studentessa Katia, sta investendo nell’acquisto di un nuovo appartamento, in un edificio in costruzione. La speranza iniziale nel futuro (la visita alla casa nuova è l’unica scena leggera e luminosa) precipita quando la ragazza è investita sulle strisce pedonali mentre va a scuola. Alla guida del mezzo c’è la diciottenne Marina, figlia di un’ambiziosa candidata sindaco. Si instaura quasi un duello tra le due madri, una per ottenere il riconoscimento dell’incidente e la copertura assicurativa, l’altra per insabbiare tutto, coprire la neopatentata e soprattutto non compromettere la propria carriera politica. Il punto di vista è quello della vittima (ribalta la prospettiva rispetto al bel romeno “Il caso Kerenes” di pochi anni fa che raccontava una vicenda simile), che va a scontarsi un sistema di corruzione difficile da intaccare. Un buon film che è una dura critica alla società ucraina a tutti i livelli, dalla sanità alla politica.
Del tutto fuori dai premi è rimasto “Skazka – Fairytale” di Aleksander Sokurov , che era nel concorso principale. Un film diverse spanne sopra gli altri e una nuova profonda e complessa riflessione sulla storia europea da parte del grande cineasta russo, già Pardo alla carriera nel 2006 e Leone d’oro per “Faust”.
Ha ricevuto una menzione speciale del Pardo Verde Wwf (una novità di quest’anno, assegnato al documentario austriaco sul ciclo dei rifiuti “Matter out of Place” di Nikolaus Geyrhalter) “Baliqlara xütbə - Sermon to the Fish” dell’azero Hilal Baydarov. Un regista che che parecchi film sia di finzione sia documentari (tra questi “Hills without Names”, “Mother and Son”, “In Between Dying”) realizzati in pochi anni si è fatto apprezzare nel panorama festivaliero come uno dei nomi emergenti più interessanti. E' ambientato in uno scenario post-guerra: tutto è distrutto e imputridito, sono tutti morti o malati, la terra è desolata e l’unica cosa attiva e funzionante sono i campi petroliferi. Anche i pesci, che erano l’ultimo cibo, galleggiano oppure sono secchi e marci sulle rive. Davud è un soldato che torna al villaggio dal conflitto e trova solo la sorella, una giovane senza nome (e non può avere nome, come affermerà più tardi) che ha da poco seppellito la madre. L’uomo risente le voci dei compagni d’arme, è tormentato dagli incubi, la vittoria non è servita a nulla. L’acqua è inquinata, il paesaggio è marrone, la sorella deperisce a sua volta, tutto sembra destinato a una fine vicina e forse non resta che murarsi in casa dal di dentro. Un film rarefatto, evocativo, che si prende i suoi tempi, radicalmente pessimista che interroga sulla differenza tra vivere e sopravvivere. Un’opera tragicamente attuale nel panorama dell’ex Urss.