Uno dei ragazzi assassinati frequentava il centro culturale interetnico "Zoom", aperto a Pec-Peja da una associazione italiana, il Tavolo Trentino con il Kosovo. Si chiamava Ivan Jovovic, 20 anni.
Contrariamente all'aria di normalità che la città di Pec - Peja dava di sé stessa, nei molti colloqui avuti nei giorni scorsi si avvertiva una tensione crescente. Nel Centro Culturale "Zoom", aperto da qualche mese grazie al finanziamento del volontariato trentino, unico luogo di frequentazione mista in un contesto di separazione etnica, si coglieva la difficoltà di proseguire nei progetti di dialogo e di elaborazione del conflitto: da una parte il rinchiudersi a riccio della comunità serba di Gorazdevac, villaggio di 880 anime circondato dal contingente italiano della KFOR e da quattro anni la loro prigione; dall'altra, l'incertezza per una comunità albanese rinchiusa a sua volta in un protettorato internazionale privo di prospettive.
Così nei bar del villaggio dove oggi si beve birra serba anziché quella prodotta nella vicina Pec - Peja, pagandola in dinari serbi quando tutto a Pec - Peja si commercia in Euro, nuovi risentimenti si accumulano sul rancore profondo per una pulizia etnica che, dopo quella organizzata da Milosevic durante i bombardamenti della NATO contro la popolazione albanese, quattro anni fa ha cacciato oltre 300 mila serbi dalla loro terra d'origine, una terra rivendicata come il fondamento della cultura serba testimoniata dalla presenza a Pec - Peja del Patriarcato della Chiesa Serba ortodossa.
Per altro verso, la crescente consapevolezza nella comunità albanese che l'indipendenza del Kossovo tende ad allontanarsi, lasciando il paese in un limbo che la presenza internazionale ha anestetizzato con livelli stratosferici di finanziamento ma che non hanno avuto ricadute positive sulla comunità nel suo insieme, favorendo al contrario assistenza, deresponsabilizzazione e criminalità economica organizzata.
Insomma, una situazione di tensione e incertezza rispetto alla quale i fatti di oggi, l'assassinio di due ragazzi serbi del villaggio di Gorazdevac, potranno avere l'effetto di un detonatore le cui conseguenze si ripercuoteranno non solo a Pec - Peja ma in tutto il Kossovo.
Sono un duro colpo anche al lavoro del Tavolo Trentino con il Kossovo che proprio sulle comunità di Gorazdevac e quelle dei villaggi albanesi limitrofi aveva scommesso in questi anni per ricostruire dialogo e convivenza. Piccoli ma significativi progetti di prossimità, costruiti con la pazienza di chi lavora senza far rumore, nel quale erano e sono coinvolti ragazzi albanesi, serbi e rom. Uno di questi, Ivan di 20 anni, che frequentava il corso di fotografia, una delle molte attività che si svolgono presso il Centro Zoom, oggi è rimasto vittima di un nazionalismo che i progetti di ricostruzione generalmente non indagano.
Non erano tanti i ragazzi serbi di Gorazdevac che avevano il coraggio di andare a Pec - Peja, ma bisognava pur rompere il ghiaccio. E i giovani l'avevano fatto, nelle gite domenicali, nelle settimane bianche, nelle arrampicate dei "Ragni della Val Rugova", nel lavoro teatrale, nei corsi di fotografia.
Il premeditato assassinio di oggi spezza due giovani vite, ma peserà come un macigno sul percorso di avvicinamento e di dialogo senza il quale non ci sarà futuro di pace per nessuno. Spenti i riflettori, la guerra lascia dietro di sé desolazione, morte e conflitti ancor più lacerati e laceranti. Non dimentichiamoli.
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