Tomislav Nikolic durante l'intervista alla tv bosniaca

Tomislav Nikolic durante l'intervista alla tv bosniaca

Il parlamento serbo vota a grande maggioranza l’appoggio all’accordo tra Belgrado e Pristina. Il presidente Nikolić si scusa pubblicamente per le vittime di Srebrenica. Le svolte epocali della politica serba nell’analisi del nostro corrispondente

29/04/2013 -  Dragan Janjić Belgrado

L’appoggio della maggioranza dei due terzi del parlamento serbo all’accordo tra Belgrado e Pristina, siglato a Bruxelles, rappresenta una grande vittoria della coalizione di governo guidata dal Partito progressista serbo (SNS) di Aleksandar Vučić. Ma questo appoggio non segna certo la fine anzi è l’inizio dei problemi per Vučić e i suoi partner di coalizione, tenendo presente che solo adesso inizia il lavoro più difficile, l’applicazione dell’accordo che, visto obiettivamente, è una brusca svolta rispetto alla politica che ha condotta finora la Serbia.

La posizione del blocco governativo è ulteriormente aggravata dal fatto che deve agire in un’ottica temporale molto ristretta per poter raggiungere uno degli obiettivi politici fondamentali, l’ottenimento della data di avvio dei negoziati con l’Unione europea (UE). Quindi, si deve agire velocemente, senza grandi calcoli e senza la possibilità che sia l’opinione pubblica che i partiti politici possano gradatamente, passo per passo, abituarsi al radicale cambiamento che presuppone il subordinare qualsiasi altro obiettivo al futuro europeo.

Attualmente il problema maggiore è rappresentato dalla frangia radicale dei serbi del nord del Kosovo che rifiutano di accettare l’accordo. La loro sopravvivenza dipende letteralmente dal sostegno finanziario del governo serbo, che però  esita nel ridurre gli aiuti per ricondurli all'ordine perché teme di perdere posizioni presso il proprio elettorato. Il timore è giustificato dal fatto che il cambio di politica rispetto al Kosovo non suscita agitazione solo tra i serbi del Kosovo ma anche tra gli elettori in Serbia.

Si tratta del fatto che l’SNS e il suo partner principale, il Partito socialista della Serbia (SPS) del premier Ivica Dačić, cercano di stare in equilibrio sulle rovine del patrimonio della politica serba che hanno contribuito in modo determinante a distruggere. A loro è capitato il compito non solo di riconoscere le sconfitte subite negli ultimi venti anni, ma anche di ricucire gli strappi nelle relazioni coi vicini. Il Kosovo da questo punto di vista è il tasto più dolente. Si tratta infatti di un territorio che all’inizio dei conflitti nella ex Jugoslavia si trovava formalmente sotto la Serbia e non sotto qualche altra repubblica ex jugoslava.

La svolta radicale e le scuse di Nikolić

Il terreno su cui iniziano a giocare SNS e SPS è, sia per questi partiti che per i rispettivi funzionari, completamente nuovo, se si tiene presente che fino ad un anno fa sostenevano una linea ferma sul Kosovo, mentre l’euro-integrazione era in secondo piano. L’SPS e Dačić si sono trovati nella posizione di negare apertamente la politica che hanno condotto negli anni Novanta, quando a capo del partito c’era Slobodan Milošević, e di chiedere di guardare in faccia alla realtà e riconoscere praticamente una serie di sconfitte che quella politica ha portato alla Serbia.

Messi di fronte ad una serie di compiti alquanto difficili, privi di adeguate esperienze e competenze i funzionari del blocco governativo non sono in grado di elaborare e di pianificare con attenzione le mosse importanti da compiere. Ecco quindi che il presidente della Serbia Tomislav Nikolić, fondatore dell’SNS, ha scelto di porgere le scuse per i crimini commessi a Srebrenica in un’intervista per la televisione bosniaca, e di far sapere chiaramente ai cittadini dell’entità serba della Bosnia Erzegovina che non li considera parte della Serbia, ritenendoli bosniaci.

Questo gesto politico, di indubbia importanza, non è stato adeguatamente preparato ed elaborato e non è seguito a contatti e accordi preparatori con il governo di Sarajevo. Si è avuta l’impressione che Nikolić nella sola frase dell’intervista in cui fa riferimento alle scuse, e in cui utilizza la parola “inginocchiarsi” di fronte alle vittime di Srebrenica, abbia parlato in reazione alla domanda della giornalista che lo intervistava. Tuttavia, la frase è stata detta e avrà sicuramente un’eco positiva e di lungo periodo negli equilibri delle relazioni regionali.

Leader attuali poco preparati per la nuova politica

La dichiarazione sui serbi di Bosnia come bosniaci suscita quanto meno reazioni controverse all’interno del corpus nazionale serbo. Infatti, i serbi in Bosnia, ossia nell’entità serba della Republika Srpska (RS), hanno deciso di rifiutare di essere trattati ufficialmente come bosniaci, e un atteggiamento simile lo sostengono i croati della BiH. Per la componente di maggioranza in Bosnia Erzegovina si usa il termine bosgnacchi, mentre bosniaci, come parola che si riferisce a tutti i cittadini della Bosnia Erzegovina, nelle comunicazioni politiche non è ancora così diffusa.

Nikolić, con il desiderio di dimostrare la prontezza nel distanziarsi dalla politica che ha rappresentato fino a quattro anni fa, quando era il secondo uomo dell’ultranazionalista Partito radicale serbo (SRS), partito che ha diffuso apertamente l’odio etnico, non si è comportato nel migliore dei modi. Detto brevemente, ha corso troppo e ha sollevato un ulteriore problema, che in questo momento non è da poco e che può rendere difficile il ruolo dell’SNS. Sarebbe stato, infatti, del tutto sufficiente che dicesse di ritenere che i serbi in Bosnia Erzegovina sono cittadini della Bosnia Erzegovina, lasciando intendere questo messaggio come un distanziarsi dai fautori dell’unificazione della Republika Srpska alla Serbia.

Ma a dispetto dell’evidente mancanza di esperienza e di sapere, lo scatto in avanti compiuto dal blocco di governo ha i tratti di una sorta di svolta epocale. Perché non si tratta solo di assumere un corso politico diverso rispetto al Kosovo, ma anche di essere pronti a migliorare le relazioni con gli stati confinanti. A questo proposito il precedente governo, guidato dall’ex presidente della Serbia Boris Tadić, ha fatto parecchio. L’attuale governo subito dopo le elezioni aveva messo in discussione quel risultato proprio grazie alle dichiarazioni di Nikolić sulle questioni delicate relative ai crimini di guerra. Oggi, a meno di un anno di distanza dalla vittoria alle presidenziali, Nikolić bruscamente corregge se stesso.

 

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