È morto un Maestro
30 september 2020
Goran Paskaljević fin dal suo esordio negli anni '70 è stato una delle colonne portanti del cinema jugoslavo, riconosciuto a livello internazionale e pluripremiato. È morto venerdì scorso. Osteggiato in Serbia per le sue posizioni contro Milošević e i governi successivi, è stato molto amato dal pubblico di tutti i Balcani.
Alla domanda se si poteva essere ottimisti, in Serbia, nel 2006 quando lo abbiamo intervistato, Goran Paskaljević rispose: “No, non credo. Solo i tycoon possono esserlo. E i politici, che distribuiscono ottimismo solo prima delle elezioni. Io sono tornato a Belgrado nel 2001 ed ero ottimista. Uno dei miei migliori amici era Zoran Đinđić, ma è stato ucciso nel marzo 2003 e lì sono finite le speranze”.
Una critica lucida. Che rispecchia ciò che il regista ha trattato nei suoi film intrecciando l’impronta neorealista di De Sica e Luchino Visconti - che ha amato fin dall’adolescenza - al surrealismo felliniano dallo stile malinconico, onirico e talvolta satirico: “Quando iniziai a fare cinema fu per causa e merito del neorealismo italiano, film come "Ladri di biciclette" e poi "Senso". A 16 anni lavoravo alla Cineteca di Belgrado a staccare i biglietti d'ingresso, così potevo vedere i film gratis. Per quei film ho scelto di fare cinema...”.
Regista di fama internazionale, ma anche sceneggiatore, Paskaljević è morto lo scorso 24 settembre a Parigi, all’età di 73 anni. In Italia lo abbiamo conosciuto, oltre che per “Bure Baruta” (La polveriera /Cabaret Balkan, 1998) dedicato alla dissoluzione jugoslava, per “Medeni mesec” (Honeymoon”, 2009) dedicato al dramma dell’emigrazione e girato in parte a Brindisi e prima produzione serbo-albanese su cui disse: “Con questo film dimostreremo che i serbi e gli albanesi sono in grado di darsi la mano e di collaborare. E' questo il messaggio che vogliamo dare". Un legame con l’Italia che si è mantenuto negli anni e che lo ha visto premiato nel 2017 al Bari International Film Festival (Bif&st) per la miglior regia con il film “Dev Bhoomi – Land of the Gods”, realizzato grazie ad una coproduzione serbo-indiana. Un riconoscimento che si è aggiunto alla lista di 33 premi vinti e 17 nomination a festival internazionali.
Nato a Belgrado nel 1947, a 20 anni parte per Praga dove studia alla celebre FAMU - Film and TV School of the Academy of Performing Arts, la quinta più antica scuola di cinema del mondo. Qui studia come tanti altri suoi conterranei e tornato in patria si dedica alla produzione di brevi film e documentari per la Tv. Nel 1976 esordisce con il lungometraggio “Čuvar plaže u zimskom periodu" (Il bagnino d’inverno), storia di un operaio che come secondo lavoro posa nudo per gli studenti dell’Accademia di Belle Arti: un successo di incassi e di critica, anche fuori dai confini della Federazione jugoslava.
Comincia da qui una produzione inarrestabile, con più di 30 documentari e 13 lungometraggi. Fino a metà anni ‘80, nonostante la crisi economica nella Federazione che gli rende sempre più difficile trovare finanziamenti, esce con "Pas koji je voleo vozove" (Il cane che amava i treni, 1977), "Zemaljski dani teku" (I giorni passano sulla terra, 1979), "Poseban tretman" (Trattamento speciale, 1980), "Varljivo leto ''68" (L’illusoria estate del ‘68, 1984).
I due film Vreme čuda” (Il tempo dei miracoli, 1989) e "Tango argentino" del 1992 segnano l’alba del suo esilio. Aperto oppositore di Milosević, decide di andare a vivere con la moglie a Parigi. Tenta poi il ritorno in Serbia, ma politicamente sgradito riparte di nuovo, come ci ha raccontato: “Dopo aver fatto "La polveriera" fui definito il più grande traditore della Serbia. Per questo la lasciai per tre anni". Prosegue poi a girare i suoi film all’estero tra i quali “Kako je Harry postao drvo” (Come Harry divenne un albero, 2001) e “Optimisti” (Ottimisti, 2006) nel quale tratteggia con tagliente satira la Serbia del post Milosević.
Nel 2007 il MoMa di New York gli dedica una retrospettiva: “È un grande onore ma mi fa sentire vecchio, perché di solito le dedicano a chi sta per morire!”. Invece prosegue a lungo, con sensibilità e sguardo critico verso le ingiustizie sociali, fino all’ultimo “Uprkos magli” (Nonostante la notte , 2019). Una coproduzione tra Italia, Serbia, Francia e Macedonia, girato tra Italia e Serbia con attori italiani, in cui tratta un tema molto attuale: il protagonista, proprietario di un ristorante di un paese della provincia di Roma, mentre torna a casa la sera sotto la pioggia, vede un bimbo rannicchiato al freddo e decide di portarlo a casa. E’ Mohammed, rifugiato siriano che ha perso i genitori durante il viaggio in gommone.
In tutti i paesi del suo “ex” paese, la Jugoslavia, la sua morte è stata vissuta come la perdita di un “Maestro”.