Vi può essere futuro a Kragujevac senza la Zastava? Non tutti la pensano allo stesso modo. La quarta puntata del reportage OB sulla grande fabbrica e la sua città. Economia, società e sviluppo locale nelle transizioni
Reportage: Pianeta Zastava - I
Reportage: Pianeta Zastava - II
Reportage: Pianeta Zastava - III
Zastavaland
Il traffico di Kragujevac è un'alternarsi incessante di modelli Zastava. Come da nessun'altra parte in Serbia. I profili elementari della 101, delle yugo, più raramente della nuova Florida, si intravedono ovunque. Questa "grande fabbrica" la si incontra ogni volta che si deve attraversare la strada, uno sguardo a destra ed uno a sinistra. E nei racconti di tutti. Ciascun cittadino di Kragujevac ha lavorato o ha un parente stretto che ha lavorato alla Zastava.
Ma Kragujevac non è solo la Zastava. Se in alcune occasioni - tra acconciature leonine, borselli e geometrie dettate dall'efficienza utopica - si ha l'impressione di essere immersi in un grande Reality Show ambientato trent'anni fa, poi le continue incursioni della modernità riportano alla realtà.
Filiali delle principali banche europee, la disintegrazione dei centri commerciali socialisti in piccoli embrioni di boutique, supermercati lindi e lucenti, con tanto di musica rassicurante. E poi per strada ragazzi in skate board e coppiette che proteggono i loro piccoli in carrozzelle iper-tecnologiche.
"Questa città può fare anche a meno della Zastava" afferma Vladimir Dzenopoljac, assistente universitario presso la Facoltà locale di economia "questa è una città attiva, certo per ora molto rientra nella sfera dell'economia grigia, è grazie a questa che la città sopravvive. E poi grazie alle rimesse dall'estero. Ma questo territorio dà molte opportunità. Non penso alla chiusura totale della Zastava ma ad una sua presenza ridotta, magari potrebbero lavorarvi 200-300 lavoratori".
Poi Milan sorride: "Certo, la situazione non è semplice, all'università mi avevano insegnato che la transizione dura dai 3 ai 5 anni. Ne sono passati ben di più. Occorre che cambi la mentalità della gente ma sono fiducioso, ci sono molti giovani capaci e che sanno cosa fare".
Al suo fianco la sua ragazza, Alexandra, laurea in management aziendale ed un lavoro presso una filiale di una banca europea. "Non penso sia giusto chiedersi Zastava si o Zastava no. La Zastava deve rimanere a Kragujevac ma la sua struttura deve essere ridotta. Così è insostenibile".
Per uno sviluppo che prescinda dalla grande industria lavora anche l'Agenzia regionale per lo sviluppo, organismo istituito a Kragujevac grazie al supporto di varie agenzie internazionali tra le quali il programma dell'UNDP-UNOPS e l'Agenzia Europea per la Ricostruzione.
"Promuoviamo progetti di microcredito, forniamo consulenza a chi vuole aprire una propria attività, cerchiamo di promuovere il dialogo tra le istituzioni ed il settore privato" spiega la direttrice dell'agenzia Jasminka Lukovic Jaglicic, modi di fare eleganti e pacati resi però formali dal suo essere seduta dietro alla propria scrivania "tra i problemi principali le condizioni del credito, insostenibili, con tassi di interesse che non vanno al di sotto del 12%. Le banche forniscono piccoli prestiti per gli acquisti, non per le attività economiche. Poi vi è una scarsa preparazione della forza lavoro". Molti di loro stanno lavorando da anni nel sistema irreale ed assistito della Zastava. Molti altri è da troppo che non lavorano. Secondo le stime dell'Agenzia sarebbero circa 22.000 i disoccupati a Kragujevac.
Più diretto è Dusan Cukic, anche lui dell'Agenzia. Chiacchiera con noi mentre ci accompagna alla sede di un'associazione di imprenditori. "Questa è una città nella quale le piccole e medie imprese possono avere futuro" afferma "c'è un senso di imprenditorialità forte, la gente si da fare. I settori che ritengo importanti? Oltre al terziario anche il tessile, la produzione di scarpe e la produzione di cibi biologici". Per le prime due viene in mente subito lo spettro della Cina, che aleggia anche in Italia, per il terzo invece pochi dubbi sul fatto che è una risorsa da sfruttare, soprattutto considerando il paesaggio che t'accompagna dal confine con la Croazia sino a questa città della Serbia centrale: un susseguirsi di pianura e dolci colline.
"Occorre che venga cambiato il paradigma e che dalla città ci si sposti in campagna" afferma Cole nella sede della Koalicjia Sumadja, partito che presiede "lo sviluppo della Serbia non può prescindere dall'agricoltura. Anzi è da questa che deve ripartire. Occorre una profonda riforma agraria, le aziende agricole vanno ripensate e modernizzate. Ci sono troppi piccoli appezzamenti e bisogna uscire dalla produzione di sussistenza". La campagna che ha fornito un'ancora di salvataggio in questi anni di crisi ed embarghi a divenire volano per lo sviluppo. "La Zastava? Sarebbe stato meglio se i bombardamenti della NATO l'avessero rasa del tutto al suolo" aggiunge in modo volutamente polemico, per sottolineare il peso del "gigante" sullo sviluppo della città. In mente ritornano i racconti di come gli operai all'indomani dei bombardamenti del 1999 hanno subito iniziato a rabberciare la "loro fabbrica" per poter ripartire con la produzione. Cole è consapevole della delicatezza della questione: "Vorrei specificare di essere del tutto contrario all'uso della guerra come mezzo per risolvere i conflitti. Sono stato contro i bombardamenti tanto di Sarajevo e Dubrovnik, che delle città della Serbia".
Il mantra schumacheriano dello "small is beautyfull" non è invece molto condiviso dai dirigenti della Zastava. Difficile aspettarsi il contrario. "Lo sviluppo della piccola e media impresa non può prescindere dalla permanenza della grande industria a Kragujevac. Qui c'è una tradizione che non può essere abbandonata, non tutto è da buttare. Deve essere la grande industria a trascinare gli altri. Attualmente dalla Zastava dipendono 220 altre aziende della Serbia. Se chiude chiudono anche queste ultime", afferma Vladeta Kostic.
"Il problema è che la Zastava in realtà ha poco indotto. Molto veniva prodotto al suo interno. Differente è ad esempio la situazione di altre aree industriali legate all'industria automobilistica" afferma Mario Agostinelli, ex sindacalista ed attento analista del settore auto, da anni impegnato in attività di solidarietà con Kragujevac "si prenda ad esempio l'area di Arese. Le piccole e medie aziende legate alla FIAT hanno sviluppato forte professionalità. Sono esperienza d'eccellenza. Se non potranno più produrre per la FIAT lo faranno per altre grosse case automobilistiche ... non è il caso di Kragujevac".
Anche in municipio alla Zastava non si intende affatto rinunciare. Marmi, legno pregiato. Gli arredi parlano di un passato benestante, la cura con la quale li si mantiene di una caparbietà a non rinunciarvi. Dobrica Milovanovic presiede l'assemblea cittadina. "Stupido buttar via 150 anni di storia nell'industria metalmeccanica" afferma, distratto per un attimo dalla segretaria che ci porta l'immancabile tazza di caffè "certo occorre considerare attentamente le nuove condizioni nelle quali ci troviamo. Per questo come municipio cerchiamo di stimolare lo sviluppo economico mettendo a disposizione di nuove aziende terreni dove costruire i propri capannoni. Vedremo. Resta il fatto che Kragujevac è una città troppo grande perché l'economia decolli nuovamente senza che riparta anche la Zastava".
All'imbocco della strada che porta dalla periferia di Kragujevac al casello dell'autostrada per Belgrado si sta lavorando all'urbanizzazione di un intero terreno ed alla costruzione di alcuni capannoni. Prefabbricati in cemento che sembrano affondare nella terra smossa ed umida. Non troppo voluminosi, solidi. Anche alla Zastava vi sarebbero grandi spazi inutilizzati. Ma è più vantaggioso il nuovo che affrontare i difficili equilibri tra burocrazia e ruggine.