Clima d’incertezza e timori in Turchia alla vigilia delle elezioni politiche anticipate di domenica 1 novembre. Società polarizzata e rischio di conflitti interni. Un’analisi
Governo dell’AKP o coalizione? Sistema presidenziale di fatto o democrazia parlamentare? Con questi interrogativi la Turchia si appresta ad andare a elezioni anticipate domenica prossima, dopo soli 5 mesi dalle consultazioni del 7 giugno. Le elezioni, fortemente volute dal presidente Recep Tayyip Erdoğan, sono soprattutto una prova per il Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp), che nelle consultazioni precedenti ha perso la maggioranza per governare da solo il Paese dopo 13 anni al potere, privando al contempo il presidente della possibilità di avviare un cambiamento nel sistema di governo del Paese, passando da una forma di governo parlamentare ad una presidenziale.
Nella tornata elettorale precedente la questione centrale era il superamento da parte del Partito filo-curdo HDP (Partito democratico dei popoli) dello sbarramento elettorale del 10%. L’HDP con il 13% delle preferenze non solo ha superato lo sbarramento ma è diventato anche il principale responsabile della “sconfitta” dell’AKP (che si era attestato al 40,8%, riportando una perdita di 9 punti percentuali rispetto alle politiche del 2011).
Gli altri partiti entrati in parlamento sono stati il CHP (Partito repubblicano del popolo, con il 25% dei voti) e il MHP (Partito di azione nazionalista). Ora la questione centrale è se l’AKP riuscirà ad ottenere la maggioranza (276 su 550 seggi) necessaria per governare il Paese da solo. Perché se è vero che l’obiettivo presidenzialista di Erdoğan non sembra potere realizzarsi con un cambiamento costituzionale, per cui sarebbero necessari almeno 330 deputati, il capo dello Stato (cui la legge turca attribuisce una funzione essenzialmente rappresentativa) sembra intenzionato ad ottenere la maggioranza per avvallare quello che poche settimane fa ha chiamato un “sistema presidenziale di fatto”. Una situazione che sarebbe legittimata dal fatto di essere il primo presidente della Repubblica eletto a suffragio universale.
Tuttavia, gli ultimi sondaggi (finora dimostratisi sempre attendibili) nella stragrande maggioranza dei casi prospettano un risultato elettorale molto simile a quello del 7 giugno. Mentre il superamento dello sbarramento elettorale questa volta è dato per certo per l’HDP (che dovrebbe mantenere la stessa percentuale delle elezioni precedenti) e gli altri partiti d’opposizione oscillano di qualche punto percentuale, sembra che l’elettorato, ancora una volta, non voglia assegnare all’AKP la maggioranza per governare da solo, salvo colpi di scena dell’ultima ora.
Polarizzazione
Ma alla luce di una profonda polarizzazione che domina la società da diversi mesi, della ripresa (dallo scorso luglio) dello scontro armato tra l’esercito e il PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan) dopo due anni e mezzo di interruzione, degli attacchi terroristici degli ultimi mesi, nonché delle recenti rinnovate pressioni e censure ai media dell’opposizione, l’atmosfera elettorale è segnata da un profondo stato di ansia. Non è inoltre chiaro cosa potrebbe accadere dopo le elezioni, nel caso in cui si dovesse ripresentare nuovamente lo stesso scenario. Per quanto il premier Ahmet Davutoğlu lo escluda, pur senza troppo convincimento, l’opinione pubblica si chiede se in caso di mancato raggiungimento di una maggioranza governativa il presidente Erdoğan, insisterebbe per andare ad una terza tornata elettorale. Una situazione di indefinitezza che numerosi analisti definiscono velenosa per il Paese.
Tutti questi fattori contribuiscono a rendere l’atmosfera elettorale anche estremamente spenta. I partiti (tranne l’AKP), non hanno più denaro per finanziare una nuova campagna elettorale e questo si riflette anche dalle pubblicità televisive delle varie formazioni politiche. Molti partiti, in particolare l’HDP, dopo l’attentato di Ankara, hanno deciso di limitare o cancellare i comizi, per motivi di sicurezza. Una questione questa che sta segnando profondamente il processo elettorale.
Sicurezza
La questione “sicurezza” è particolarmente sentita nel Paese, in particolare nelle regioni sudorientali a maggioranza curda. Il governo ad interim ha deciso che nella giornata elettorale presteranno servizio 255mila poliziotti e 130mila gendarmi, inviati per la maggior parte nelle regioni orientali e sudorientali. Il portavoce dell’HDP Ayhan Bilgen, denuncia la diffusione, nell’ultimo periodo, di “controlli da parte della polizia, a voler creare una pressione psicologica per le strade, per influenzare le scelte degli elettori”.
Intanto i partiti, cercano di far girare l’ago della bilancia dalla loro parte operando soprattutto in alcune province, che risultano decisive per ottenere un numero più alto di deputati. In particolare, una recente ricerca apparsa sul quotidiano Hürriyet, indica che esistono 39 circoscrizioni elettorali critiche, situate in 35 province. “Un mutamento tra lo 0,39 e il 3% dei voti può fare la differenza qui”, riferisce la ricerca. Se, ad esempio, l’AKP dovesse ottenere 258 deputati anche questa volta, gli sarebbero necessari 18 seggi e queste sedi sarebbero essenziali per raggiungere l’obiettivo, aggiunge la ricerca. Il cambio di un centinaio di candidati parlamentari dell’AKP (a fronte del numero inconsistente nella modifica dei candidati realizzati dagli altri partiti) risponderebbe a questa strategia.
Sempre secondo i sondaggi si potrebbe verificare uno spostamento dei voti del Partito nazionalista all’AKP, tra cui gli analisti rilevano una simile “matrice socio-culturale”, dove il nazionalismo tende a sovrapporsi e a identificarsi con l’islamismo. Il MHP, risulta infatti il primo partito con cui l’AKP potrebbe allearsi, nell’eventualità di una coalizione. Il leader MHP Devlet Bahçelioğlu, ha infatti affermato che sarebbe disposto a venire a patti per una coalizione, sia con l’AKP che con il CHP, ricordando le proprie 4 condizioni, tra cui la riapertura del fascicolo corruzione AKP e la fine dei negoziati di pace con il PKK.
Una condizione quest’ultima già realizzata, dal momento che l’AKP e Erdoğan hanno messo il processo “nel congelatore” da oltre tre mesi, ma è una prospettiva catastrofica per il Paese secondo molti, che aprirebbe la strada ad una vera e propria guerra civile. È quello che pensa anche Taha Akyol, giornalista di Hürriyet e commentatore di posizioni centriste e moderate. “Il problema più grande della Turchia è la questione curda. Ed è la più difficile da risolvere. Se si potesse eliminare la paura derivante dall’autoritarismo del governo la polarizzazione della società si attenuerebbe. Perché l’AKP è diventato autoritario per via delle scelte di Erdoğan, non perché è un partito conservatore. E purtroppo in Turchia esiste il rischio di una guerra civile. Anche se a dirlo mi viene la pelle d’oca”.