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Il Primo Ministro della RS Ivanic: non firmerò per l'ammissione della BiH nel Consiglio d'Europa

22/10/2001 -  Anonymous User

Il Primo Ministro Mladen Ivanic ha dichiarato davanti al Parlamento della Republika Srpska che si rifiuterà di sottoscrivere il documento dove l'ammissione della BiH viene condizionata all'accordo tra Federazione e RS per la creazione di un'unica forza armata per l'intera Bosnia-Erzegovina.
"Sostengo l'ammissione della Bosnia - Erzegovina - ha dichiarato - ma senza condizionamento di sorta".

Secondo Ivanic la richiesta di costituire un unico esercito va contro gli Accordi di Dayton e contro la stessa Costituzione della Bosnia-Erzegovina. Il Consiglio d'Europa, a detta di Ivanic, avrebbe posto anche altre condizioni: l'approvazione, entro due anni, da parte delle due entità di nuove leggi sulle migrazioni, sulla cittadinanza e sulla procedura penale.
Soprattutto le ultime due incontrano l'opposizione del primo ministro della RS. Rifiuta infatti la costituzione di un registro centrale per i documenti personali che coprirebbe l'intera Bosnia -Erzegovina. "La Republika Srpska deve mantenere un proprio registro ed anche le carte d'identità, pur uguali per RS e Federazione, devono riportare ciascuna il nome dell'Entità dove è stata rilasciata". Per poi aggiungere che " la Bosnia-Erzegovina ha un futuro solo se si agisce rispettando la Costituzione e se le due Entità dalle quali è costituita goderanno degli stessi diritti". Ha inoltre accusato l'Alleanza per il Cambiamento, che ha la maggioranza dei seggi in Federazione, di proporre una visione "idealistica" della BiH ed ha accusato parte della Comunità Internazionale di sbagliare sostenendo quella visione.
Ivanic non ha rinnegato l'appoggio dato in passato all'Alleanza per il Cambiamento pur ribadendo che "non vi è mai stato grande amore tra di noi. Abbiamo dato il nostro sostegno solo poiché dall'altra parte vi erano SDA ed HDZ" (Srna, 10.10).

Stanno venendo dunque al pettine alcune ambiguità presenti negli stessi Accordi di Dayton dove da una parte si sostiene l'idea di una Bosnia-Erzegovina unitaria dall'altra, scendendo a forti compromessi con le élites nazionaliste, si è prevista l'esistenza di due Entità, esistenza che mette da sempre in dubbio l'integrità territoriale del Paese. La Comunità Internazionale sta cercando, con difficoltà, di far emergere una BiH unitaria, spingendo le due entità a stringere il prima possibile, legami rilevanti.

Per una globalizzazione dal basso dei diritti, della solidarietà e della democrazia

22/10/2001 -  Anonymous User

Riportiamo qui di seguito un documento dell'Ufficio di Presidenza dell'ICS, che ribadisce il rifiuto della guerra e la condanna di ogni forma di terrorismo e sottolinea l'impegno dell'ICS con i movimenti della societa' civile. I contenuti del documento nascono da riflessioni favorite dai lunghi anni di attività dell'ICS anche e soprattutto nei Balcani. Non a caso uno degli impegni concreti che l'ICS si propone è quello di favorire la costruzione di un network europeo denominato "Europe from below" che confronti e coordini, proprio a partire dall'appello per l'integrazione dei Balcani in Europa- il lavoro di organizzazioni della società civile dell'est e dell'ovest sui temi della cittadinanza, dell'integrazione, della pace facendo della dimensione europea occasione di confronto e di iniziativa sul terreno dei conflitti e dei diritti e del ruolo dell'Europa nel rispetto alle politiche della globalizzazione e alle iniquità nel rapporto con il Sud del mondo.
IL DOCUMENTO

Dopo l'attacco terroristico agli Stati Uniti dell'11 settembre e l'inizio, il 7 ottobre scorso, della guerra contro l'Afganistan l'ICS ribadisce l'importanza di rilanciare l'impegno e l'iniziativa dei movimenti sociali, pacifisti, ambientalisti rafforzatisi ancora di più dopo la mobilitazione di Genova e dopo la marcia Perugia-Assisi del 14 ottobre scorso- per affermare i principi della democrazia, della convivenza, della solidarietà, della pace.
Alle "ragioni della forza" contrapponiamo la "forza della ragione"; alla vendetta e alla rappresaglia, il perseguimento e la punizione dei colpevoli del terrorismo sulla base della giustizia e del diritto internazionale, anche con l'entrata in funzione del Tribunale Penale Internazionale; al predominio delle alleanze militari e di parte il ruolo delle Nazioni Unite nell'opera di prevenzione, di costruzione di un sistema di "sicurezza comune", di mantenimento e di imposizione della pace. Diciamo di no alla guerra, alle rappresaglie, alle vendette; sì alla giustizia, al diritto internazionale, alla pace. Ribadiamo l¹importanza di una grande mobilitazione per fronteggiare l'emergenza umanitaria sofferta da milioni di profughi afgani in fuga dalla guerra e dalle persecuzioni.

E' questo il momento della partecipazione e della mobilitazione civile e sociale, dell'impegno di ciascuno, del lavoro in ogni città per spezzare la spirale incontrollabile di paura e rassegnazione, di impotenza e disincanto. In questi anni nei Balcani anche nelle situazioni più disperate- abbiamo visto che è possibile riannodare i fili e costruire i ponti di solidarietà e di convivenza, di percorrere le strade della pace, del dialogo, della solidarietà. Mai come in questo momento i principi della pace e della nonviolenza sono attuali e impellenti. Contro un mondo che si vuole sempre più dominato dalla forza delle armi e percorso dalla violenza, il nostro compito è di mettere la pace al primo posto delle relazioni internazionali e di fare della nonviolenza il principio fondante della politica e della società.
Ci impegniamo a combattere ogni violenza e tutti i terroristi nemici della pace e dell¹umanità intera- e a contrastare ogni ricorso alla guerra come metodo per risolvere i conflitti: le guerre colpiscono vittime innocenti, causano immani distruzioni, non risolvono i problemi. Sono come i sconvolgenti attentati di New York e Washington- un "crimine contro l¹umanità". Contrastiamo chi vorrebbe trascinarci in uno "scontro tra civiltà" e ribadiamo il nostro impegno per costruire il dialogo e la convivenza multietnica, mettendo al bando ogni forma di razzismo e xenofobia e favorendo il pieno rispetto dei diritti dei cittadini immigrati. Siamo impegnati contro ogni "balcanizzazione" del mondo, contro la proliferazione di confitti "di civiltà", etnici, nazionali e di conflitti "a bassa intensità" che causano sofferenze, perdite di vite umane e ingiustizie.
Con i movimenti della società civile: il contributo dell'ICS
Crediamo che questo patrimonio di considerazioni e valutazioni sia e debba essere il nucleo dei valori fondanti dei movimenti e della straordinaria esperienza di società civile che è emersa con grande forza a Genova e con la marcia per la pace da Perugia ad Assisi. Un movimento dall'ampiezza straordinaria, composto da tante forze e organizzazioni che costituiscono quella "politica diffusa" caratterizzata dal "fare", dall'impegno concreto, dal volontariato, dall'economia sociale, dalla presenza nelle zone del conflitto. Movimento che ha avuto il merito e la capacità di imporre i temi e le contraddizione della globalizzazione, che hanno costretto i media, i governi e persino l'agenda del G8 a "farci i conti" e a prendere atto dalle distorsioni e iniquità che le politiche economiche dei "grandi" hanno creato al pianeta.

L'ICS come ha fatto già attivamente e pienamente nel GSF fino alle manifestazioni di Genova e come ha fatto in questi anni sostenendo l'impegno della Tavola della Pace- intende sostenere il movimento ampio e plurale impegnato contro la guerra e per una globalizzazione della pace, dei diritti, della giustizia nel rispetto del pluralismo democratico e della diversa articolazione delle esperienze, mettendo al primo posto i contenuti e le proposte sui temi che vedono impegnate le organizzazioni presenti nel movimento. E' per questo che l'ICS parteciperà all'incontro del GSF che si terrà a Firenze il prossimo 20 e 21 ottobre e sostiene tutti i gruppi aderenti che a livello locale stanno partecipando alla formazione del social forum nelle città. Inoltre l'ICS intende rinnovare l'impegno nell'esperienza della Tavola per la pace, per costruire le prossime iniziative in discussione.
Il contributo che l'ICS vuole e può portare deriva dall'esperienza maturata nello scorso decennio nei Balcani e in Italia sul terreno dei conflitti e dei diritti di cittadinanza. Esperienza che mette al centro una lettura oltre ogni vecchio paradigma di tipo ideologico- del rapporto tra globalizzazione, conflitti nazionali e diritti di cittadinanza, che evidenzia l'importanza delle dinamiche specifiche (economiche, politiche, culturali) delle "nuove guerre" (ben 85 nello scorso decennio, di cui 79 "nazionali") e della creazione di una nuova "classe" di perseguitati, i profughi, passati in qualche anno da 4 a 50 milioni. Guerre combattute "su" e "contro" i civili: ben oltre il 90% delle vittime delle guerre degli anni '90. Con la consapevolezza che, oltre a "denunciare" i misfatti nelle guerre dei potenti e degli "imperi", bisogna sperimentarsi sulle alternative politiche e le pratiche concrete. Ecco perché da una parte l'impegno per la riforma dell¹ONU (in grado di gestire la prevenzione dei conflitti e dotato finalmente di un sistema di "polizia internazionale") e di un'Europa sociale e dall'altra la messa in pratica di una "solidarietà dal basso" e di "diplomazia popolare" nelle aree del conflitto rimangono i nostri principali punti di riferimento e di azione concreta.

Il contributo che l¹ICS può e vuole dare in questa direzione si articolerà nei prossimi mesi su tre impegni:
a) la promozione di una campagna nazionale aperta, unitaria, pluralista- per i diritti dei cittadini immigrati, contrastando il DDL del governo Berlusconi sull'immigrazione e richiedendo l'approvazione di una legge sul diritto d'asilo (l'Italia è l'unico paese europeo a non averla), garantito dalla nostra Costituzione; il primo incontro è già avvenuto lo scorso venerdì 12 ottobre a Perugia, nell'ambito dell'"Assemblea dell¹ONU dei Popoli";

b) la costruzione di un network europeo, denominato "Europe from below", che confronti e coordini a partire dall'appello per l'integrazione dei Balcani in Europa- il lavoro di organizzazioni della società civile dell'est e dell'ovest sui temi della cittadinanza, dell'integrazione, della pace facendo della dimensione europea il terreno di confronto e di iniziativa sul terreno dei conflitti e dei diritti e del ruolo dell'Europa nel rispetto alle politiche della globalizzazione e alle iniquità nel rapporto con il Sud del mondo; il network è stato presentato nella scorsa Assemblea dell'Onu dei Popoli;
c) la continuazione del lavoro nelle aree di conflitto in particolare nei Balcani e in Medio Oriente- favorendo percorsi di diplomazia popolare e di pace, di soluzione nonviolenta dei conflitti, di solidarietà concreta, sostenendo le forze democratiche e la società civile e partecipando a fine anno all'iniziativa di pace in Palestina, cui stanno lavorando molte organizzazioni pacifiste e di solidarietà italiane.
Per un movimento ampio, democratico e nonviolento
Se questo è il nostro impegno e contributo chiaro, positivo e costruttivo allo sviluppo di questa mobilitazione che ha caratteristiche di movimento differenziate, vogliamo anche portare un contributo alla riflessione per superare i limiti e le contraddizioni che sono presenti. Noi auspichiamo che vengano messi al primo posto i contenuti evitando le derive politiciste che qualche volta hanno attraversato le diverse esperienze. Molte delle esperienze cui facciamo riferimento hanno sedimentato in questi anni saperi, competenze, capacità di proposta e di alternative concrete sul terreno della globalizzazione che nella dinamica attuale- sono state talvolta sacrificate a favore del confronto sulle "forme della mobilitazione", dei dettagli della convocazione delle manifestazioni, della discussione sugli equilibri politici all¹interno delle strutture di coordinamento.

In secondo luogo crediamo che vada sciolta ogni ambiguità proprio sulla questione delle forme della mobilitazione: la nonviolenza è per noi una scelta fondamentale. Se come è stato detto- l'"antiliberismo" è una pregiudiziale, anche la nonviolenza per noi, come per molte organizzazioni pacifiste- lo è. Non vogliamo imporne i contenuti e la "filosofia" a nessuno. Ma la presenza di una concezione, di un linguaggio e di una pratica "muscolare" o "guerreggiata" dalla politica anche sotto forma della cosiddetta autodifesa o anche nella forma della "rappresentazione simbolica" dello scontro- mette in discussione la possibilità di uno sviluppo unitario di un movimento plurale e pacifico. E' possibile un incontro sulla radicalità dei contenuti; è impossibile sulle forme violenti o muscolari (anche nei linguaggi) della mobilitazione.
Per ultimo su alcuni singoli punti importanti di merito- della mobilitazione del movimento, vogliamo ribadire (oltre ad una non adeguata valutazione dell'importanza della vicenda migrazioni dentro la globalizzazione) la necessità di un diverso approccio sui temi della pace e della guerra, oggi quanto mai attuali e, però, nei mesi passati alquanto in ombra nel movimento di Porto Alegre e di Genova. Anche la recente mobilitazione di Napoli in occasione del (mancato) vertice della NATO ha messo in evidenza ombre e deficit politico-culturali. La denuncia delle responsabilità della NATO, degli imperialismi, della globalizzazione neoliberista non può dimenticare il tema delle alternative politiche per prevenire e fermare i conflitti e per far rispettare i diritti umani (cioè il ruolo di un'ONU riformata e di un'Europa "oltre i muri"), dell'importanza del disarmo, delle pratiche concrete che i pacifisti mettono in campo nel corso dei conflitti (la solidarietà, l'interposizione, la diplomazia, la costruzione di ponti di dialogo, il sostegno alle forze democratiche), ecc. Sempre di più dopo l'11 settembre e dopo la guerra contro l'Afganistan- il binomio "pace-guerra" sarà una chiave di lettura delle contraddizioni della globalizzazione. Ad un approccio sloganistico o ideologico (o puramente di denuncia) bisogna saper proporre i contenuti, le alternative, concrete, le pratiche di una "politica di pace" efficace e sostenibile.

E' per questo che anche a partire dall'esperienza dell'assemblea del 23 settembre a Napoli, incontro promosso dalle organizzazioni pacifiste e soprattutto dopo la marcia Perugia Assisi- auspichiamo che le organizzazioni pacifiste e della solidarietà internazionale possano avviare un proprio percorso di discussione e di proposta che sul terreno dei contenuti e delle forme di mobilitazione- possa dare un contributo allo sviluppo di un movimento plurale, ampio e democratico.
Ufficio di Presidenza dell'ICS

Perugia, 13 ottobre 2001

On-line un nuovo data-base su corsi ed occasioni di formazione

22/10/2001 -  Anonymous User

Corsi di formazione, master, seminari per operatori della cooperazione e volontari. Aggiornamenti sui temi dell'emergenza, dell'aiuto umanitario, dello sviluppo, dell'ambiente... Tutto in un data-base a cura dell'Osservatorio e di Unimondo.

Prijedor: ritrovato probabilmente il corpo di padre Tomislav Matanovic

22/10/2001 -  Anonymous User

In un pozzo a pochi chilometri da Prijedor le autorità bosniache e quelle internazionali hanno rinvenuto cinque corpi, due donne e tre uomini. Uno è il corpo di una suora, un altro quello di un prete. Trovato seminudo ma con ancora il crocifisso al collo e con alcuni paramenti da messa. L'autopsia, che si è svolta oggi a Banja Luka, con tutta probabilità confermerà che si tratta di Padre Tomislav Matanovic, ex parroco cattolico di Prijedor, "scomparso" il 19 settembre del 1995. Secondo un'indagine condotta dall'IPTF, polizia internazionale che fa capo alle Nazioni Unite, il parroco fu arrestato dalle autorità serbe nella notte del 25 agosto del 1995. Nella stessa notte la sua casa fu saccheggiata e la chiesa distrutta. Padre Tomislav fu poi messo agli arresti domiciliari, nella casa dei genitori. Infine il 19 settembre, nella notte, due macchine prelevarono padre Tomislav ed i suoi genitori. Di loro non si seppe più nulla. Ora la tragica scoperta.
Le riesumazioni intanto continuano anche nelle altre fosse comuni rinvenute nell'area di Prijedor. In un clima di grande tristezza da parte dei musulmano e croato-bosniaci ritornati dopo essere fuggiti alle azioni di pulizia etnica e di sostanziale imbarazzo da parte della comunità serba.

Unicredito: per l'antitrust croata la Zagrebacka può essere acquistata

18/10/2001 -  Anonymous User

L'Anititrust croato ha dato il proprio assenso all'acquisto, da parte di Unicredito-Allianz, della Zagrebacka Banka, il primo istituto bancario del Paese. Il via libera è arrivato dopo una riunione dell'Antitrust con i rappresentanti della Banca centrale croata. Si è considerato che la nuova proposta di Unicredito, la seconda in ordine di tempi, dia garanzie sufficienti anche perché Unicredito si è impegnata a cedere in tempi ragionevoli la Splitka Banka, terzo istituto del Paese. La risposta positiva dell'Antitrust arriva dopo una primo esito negativo. Nel maggio scorso le autorità croate avevano infatti ritenuto che l'acquisto della Zagrebacka avrebbe causato troppa concentrazione nel settore bancario croato.
L'Osservatorio sui Balcani aveva già pubblicato, nel giugno 2001, un interessante approfondimento sulla questione "Zagrebacka" firmato da Aleksandra-Sasa Sucur.

Croazia-BiH: notizie sui rifugiati

18/10/2001 -  Anonymous User

I rifugiati serbi originari della Croazia hanno tempo fino al 31 dicembre per consegnare la richiesta per accedere ai programmi di ricostruzione delle proprie case in Croazia. Secondo il Governo croato questo termine ultimo deve essere rispettato essendo definitivo. L'Alto Commissariato per i Rifugiati ha ribadito che possono accedere ai diversi programmi coloro i quali risiedevano in Croazia nel 1991 e che lì possiedono un immobile. Possono accedervi inoltre anche le persone garantite da particolari contratti di affitto.
Le richieste possono essere consegnate in appositi uffici in Croazia, presso le sedi consolari e diplomatiche del Governo croato o negli uffici dell'UNHCR. Al modulo per la richiesta vanno allegati documenti che attestino le intenzioni della famiglia a risiedere nell'immobile ricostruito, che non si siano ricevuti altri aiuti e crediti per la ricostruzione dello stesso e che non si possiedano altri immobili in Croazia (iRADIO, 07.10).
Per quanto riguarda i ritorni delle minoranze interessanti notizie arrivano anche dalla Bosnia-Erzegovina. Le agenzie internazionali che si occupano di questa tematica hanno fatto sapere che, in base ai dati raccolti nell'agosto 2001, in sei mesi la percentuale dei casi risolti di reclami di ex-proprietari per ritornare in possesso di proprietà dovute abbandonare in seguito alle vicende di pulizia etnica durante la guerra è aumentata.
L'indice preso in considerazione da OSCE, OHR ed UNHCR viene calcolato in base alla percentuale di reclami accolti dai tribunali locali ed alla percentuale di proprietà ritornate effettivamente in mano ai legittimi proprietari in seguito a decisioni in tal senso degli organi giudiziari.
In generale è da notarsi un incremento dei casi risolti positivamente dell'11% in tutto il Paese. Come in passato le nuove leggi sulla proprietà, approvate su forti pressioni internazionali nell'ottobre del 1999, trovano più difficoltà ad essere implementate con successo in Republika Srpska che non in Federazione. Infatti in quest'ultima sono stati risolti il 42% dei casi di reclami su proprietà abbandonata mentre la percentuale scende al 22% per quanto riguarda la Republika Srpska.
I miglioramenti nell'implementazione delle leggi sulla proprietà sono costanti ma troppo lenti, affermano le Agenzie internazionali. Per questo propongono ulteriori emendamenti alle leggi stesse in modo da diminuire le fonti di resistenza ed attrito rispetto ad un pieno ritorno delle minoranze e degli sfollati. La maggior parte degli emendamenti riguarderanno in particolare la diminuzione dei diritti di chi ha occupato illegalmente un immobile. Solo le famiglie più vulnerabili verranno tutelate potendo rimanere nell'immobile occupato fino a quando un'alternativa credibile è disponibile.

Il Presidente dell'Assemblea della Vojvodina: Belgrado si comporta ancora da padrone

17/10/2001 -  Anonymous User

Non appena è venuto a conoscenza della decisione della rete nazionale televisiva pubblica RTS in merito ai direttori della filiale di Novi Sad il Presidente dell'Assemblea della Vojvodina, Nenad Canak, si è recato presso gli studi della Radio Televisione della Vojvodina ed ha platealmente strappato dall'entrata la targa della rete nazionale. Calpestandola ha poi dichiarato che non avrebbe permesso più a Belgrado di calpestare i diritti della Vojvodina.
Su suoi ordini il logo della RTS è stato rimosso da entrambe le reti televisive di Novi Sad. Nenad Canak nello specifico contesta che i direttori editoriali della televisione vengano ancora nominati dall'ufficio centrale della RTS a Belgrado e non dall'Assemblea regionale della Vojvodina. Dopo il cambio di governo, che ha portato alla presidenza della Federazione Kostunica, ci si aspettava infatti che l'autonomia della sede locale di Novi Sad della RTS venisse ristabilita ma invece, secondo le dichiarazioni di Canak "Belgrado si comporta ancora da padrone". I diritti che originalmente spettavano all'Assemblea della Vojvodina, fondatrice della NS TV (Radiotelevisione della Vojvodina), erano stati trasferiti all'Assemblea della Serbia quanto la rete locale era stata integrata nella RTS (rete nazionale). Canak ha di fatto dichiarato che la NS TV non farà più parte della RTS e che sarà compito dell'Assemblea della Vojvodina discutere e decidere sul futuro dell'emittente.
Le reazioni a questa dura presa di posizione, che si inserisce in un ampio dibattito in merito all'autonomia, se non indipendenza, di questa relativamente benestante provincia della Serbia, non si sono fatte attendere.
Zoran Zivkovic, uno tra i leader della coalizione DOS, ha affermato di aver trovato strano che la reazione così significativa di Canak avvenga adesso e non quando è stato nominato il consiglio d'amministrazione della RTS. "Avessero scelto il candidato sostenuto da Canak, ha aggiunto, certamente tutto questo non sarebbe accaduto". Si è poi soffermato sulla questione dell'autonomia della Vojvodina: "La Vojvodina ha pieno diritto nella propria autonomia, cosa che tra l'altro è anche prevista dalla Costituzione. Certo è che questo tipo di comportamento rischia di compromettere e render più difficoltoso il cammino verso l'autonomia sulla quale, in generale, siamo tutti d'accordo" (Glas Javnosti, 11.10).E' meno moderata invece la posizione del Partito Democratico della Serbia (DSS) guidato da Vojislav Kostunica. Secondo il Presidente Federale, Canak si sta comportando come se tentasse i primi passi verso un colpo di Sato. La medesima opinione è ribadita in un comunicato da parte del DSS fatto in seguito alla "rumorosa" entrata di Canak nella sede dell'NS TV ed alle minaccie da parte dello stesso di portare parte della compagnia petrolifera nazionale sotto il diretto controllo dell'amministrazione provinciale della Vojvodina.( B92, 10.10).

Kossovo: i serbi per ora non andranno a votare

17/10/2001 -  Anonymous User

La campagna elettorale per le elezioni generali del 17 novembre è definitivamente iniziata senza però che alcun partito o coalizione che rappresenta la comunità serba abbia ad oggi confermato la propria partecipazione. Questo anche dopo l'inaspettata registrazione per votare di 178,000 serbo-kossovari, avvenimento che aveva fatto ben sperare. Dopo l'insuccesso della Comunità Internazionale nel convincere la componente serba della popolazione a prendere parte alle ultime amministrative molti temevano che il totale fallimento si sarebbe infatti ripetuto. Per ora non è ancora così e la situazione permane statica e nessuno conferma in modo definitivo la propria partecipazione.
Nebojsa Covic, a capo dell'apposita commissione creata dalle autorità serbe per gestire la "questione Kossovo", si è recato questa settimana in Italia dove è stato esortato ancora una volta a fare in modo che la comunità serba del Kossovo prenda parte a queste elezioni. Per rassicurare la autorità serbe sono state anche in quest'occasione ribadite le garanzie delle quali la Comunità Internazionale si farà carico: libertà di movimento, accelerare il ritorno degli sfollati ecc.
Ma la comunità serba rimane del tutto indecisa. In un incontro di protesta a Mitrovica, il segretario dell'espressione locale del DSS di Kostunica, Marko Jasic, davanti ad una folla di 4,000 persone ha dichiarato che "...i serbi non dovrebbero partecipare alle elezioni se per muoversi in Kossovo devono farlo all'interno dei blindati della KFOR e se vengono ancora assassinati per le strade...se parteciperemo perderemo tutto, non partecipando ci rimarrà almeno qualche speranza...". Jaksic ha poi terminato chiedendo ai politici di Belgrado di spendere un po' più tempo in Kossovo in modo da rendersi conto delle terribili condizioni di vita alle quali è costretta la comunità serba (Tanjung, 13.10). Intanto il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha esortato, dopo un briefing con i responsabili dell'amministrazione internazionale del Kossovo, i leader albanesi a sostenere gli sforzi per garantire la sicurezza e combattere l'estremismo e gli atti terroristici nei confronti delle minoranze e, come ha affermato l'Ambasciatore irlandese Richard Ryan, ad assumersi "la responsabilità di assicurare delle elezioni pacifiche, democratiche ed inclusive".

Prijedor: la scuola ed il ritorno delle minoranze

17/10/2001 -  Anonymous User

Da Prijedor Annalisa Tommasi

Prijedor, seconda città della Republika Srpska, BiH, se in passato era il simbolo della pulizia etnica inizia ora ad essere riconosciuta come uno dei luoghi in tutta la Bosnia-Erzegovina dove maggiore è stato il rientro delle minoranze, nello specifico dei musulmani-bosniaci. Secondo la stima della Fondazione per la ricostruzione di Prijedor, associazione bosniaco-musulmana che promuove il processo di rientro di sfollati e rifugiati, sono rientrati circa 15.000 bosniaci su una popolazione totale di Prijedor di circa 100.000 abitanti. Quindi oggi circa il 15% della popolazione della municipalità è costituita da bosniaci rientrati. La maggior parte di essi sono anziani o pensioniati in quanto, probabilmente, essi hanno comunque assicurata la pensione, hanno in genere più difficoltà ad inserirsi in un nuovo ambiente e non sentono l'esigenza di cercare migliori condizioni di vita come spesso accade a famiglie con bambini.
Interessante è analizzare il settore scolastico alla luce di questi rientri e della convivenza delle diverse comunità nella municipalità. La scuola è infatti uno degli strumenti principali attraverso il quale la convivenza si costruisce ed una società multietnica e democratica può radicarsi.
Partiamo da alcuni dati sulla percentuale di studenti ed alunni appartenenti a minoranze rientranti rispetto alla popolazione scolastica totale. Tra gli 8099 alunni delle scuole elementari di Prijedor 242 sono sfollati o rifugiati che hanno fatto ritorno in città. Meno quindi del 3% del totale. In alcuni villaggi periferici, come ad esempio Ljublja, dove forte era la presenza della comunità croata e bosniaca vi sono invece circa 80-90 alunni su di un totale di 500 alunni e quindi la percentuale si fa sicuramente più significativa. Nelle scuole superiori di Prijedor la percentuale cala ulteriormente. Su 3832 alunni i 58 rientrati rappresentano meno dell'1,5%. A titolo di esempio nella scuola di economia di Prijedor su circa 800 studenti, 30 sono quelli rientrati e ben 282 appartengono alla comunità serba ma sono sfollati interni da altre zone della Bosnia-Erzegovina o rifugiati dalle Krajne.
L'integrazione scolastica delle minoranze che rientrano non è per nulla scontata ed è spesso un processo difficile. La situazione è particolarmente problematica in alcune aree dove oramai la popolazione è costituita per la maggior parte da bosniaco-musulmani ritornati. E' il caso di Kosarac, ad aluni chilometri dal centro di Prijedor.
La scuola di Kosarac è utilizzata oramai da più di sei anni come centro collettivo per ospitare famiglie serbe originarie delle Krajne, della Bosnia centrale o dell'Erzegovina. Per poter riutilizzare l'edificio come scuola i genitori dei bambini bosniaci si sono organizzati per trovare una sistemazione alternativa ai profughi e rifugiati che stavano ancora vivendo nel centro collettivo. Questo è sicuramente un fatto da giudicare in modo positivo. In tal modo la struttura è stata liberata per gli alunni della scuola dell'obbligo (solo quelli bosniaci nelle loro intenzioni, non anche quelli serbi che vanno attualmente a scuola in un villaggio vicino). Poi si sono trovati i fondi per la ristrutturazione dell'edificio. I lavori dovevano essere terminati per il mese di settembre, cosa non avvenuta proprio per incoprensioni su chi potrà poi frequentare la scuola di Kosarac. I genitori degli alunni bosniaci si sono inoltre organizzati per chiedere l'uso di libri di testo bosniaci (e non quelli in dotazione della RS) e per l'utilizzo del solo alfabeto con caratteri latini. Attualmente i bambini di Kosarac stanno seguendo lezioni condotte da insegnanti bosniaci, pagati dalla Federazione e non sottoposti, per loro scelta, al responsabile didattico di Prijedor. Si stenta quindi ad affermare il principo dell'integrazione scolastica per le reticenze di entrambi i gruppi etnici.
Non sempre per fortuna è così. E' il caso delle due scuole dell'obbligo di Hambarine (Hambarine e Rizvanovici), villaggio a sud di Prijedor, distrutto totalmente dalla pulizia etnica serba durante la guerra, dove vi sono in totale circa 30-40 bambini. Sono totalmente organizzate dal direttore didattico di Prijedor con un'insegnante serba e due bosniache e tutto sembra procedere bene.
La ADL sta lavorando su questo aspetto
L'Agenzia per la Democrazia Locale (ADL) con sede a Prijedor sta lavorando anche su queste tematiche. In particolare il Congresso dei poteri locali e regionali d'Europa sta finanziando un progetto, elaborato dall'ADL in base al suggerimento del gruppo multietnico di donne di Prijedor, con lo scopo di promuovere occasioni di riflessione nelle scuole superiori con insegnanti, genitori e soprattutto studenti, su temi quali i diritti dell'uomo, i diritti delle minoranze, pace, giustizia ed infine il rientro e la questione dei profughi. Tale progetto coinvolgerà 20 insegnanti/animatori giovanili e almeno 500 studenti sia di Prijedor che di Sanski Most, cittadina della Federazione a pochi chilometri dal "confine" con la Republika Srpska nella quale vivono molti degli sfollati bosniaci originari di Prijedor e dove alcuni serbi stanno rientrando (circa 6.500 dei 25.000 che vi abitavano prima della guerra).

E' stata già organizzata una prima tavola rotonda per mettere in evidenza quali siano i problemi dei ragazzi rientrati. Dal confronto è emerso:

1. rispetto ai rientrati sono pochi i ragazzi che frequentano le scuole superiori questo soprattutto per l'età media alta dei rientrati (anziani) ;

2. i programmi didattici diversi e soprattutto l'uso del cirillico rappresentano la maggiore difficoltà per i ragazzi;

3. il rientro in un ambiente dove i ragazzi sono gruppo di minoranza rappresenta in ogni caso una causa di stress per i ragazzi/adolescenti che professori e responsabili dovrebbero tenere in considerazione e sulla quale dovrebbero lavorare. Ma per fare questo a loro volta dovrebbero essere preparati;

4. una novità importante è rappresentata dalla introduzione nelle III e IV superiori (cioè ultimo e penultimo anno) della materia "diritti umani e democrazia";

5. questione insegnanti di etnia non serba: in pochi lavorano a Prijedor ed i direttori, che hanno discrezionalità esclusiva in termini di scelta dei docenti, tendenzialmente non assumono non serbi;

Questi sono quindi alcuni degli aspetti cruciali emersi durante questo primo seminario. Solo se nei prossimi anni verranno positivamente discussi ed affrontati si potrà finalmente fare qualche passo avanti verso una società che ritorni ad essere multietnica.

Serbia: nuova iniziativa dell'Istituto per la difesa della natura

16/10/2001 -  Anonymous User

L'Istituto per la difesa della natura della Serbia ha presentato ieri, in collaborazione con il suo primo partner in questa iniziativa, Medija centar, l'azione "Eko eho", il cui obiettivo è il perfezionamento dei giornalisti nell'ambito della difesa dell'ambiente. Violeta Orlovic, direttrice dei Servizi per la comunicazione e la formazione dell'Istituto, ha ricordato riguardo a ciò che il prossimo anno l' ONU lo ha dedicato alla difesa delle montagne, allo sviluppo del turismo ecologico e sostenibile, e nel 2002 ricorrono anche i 10 anni dal significativo Summit di Rio de Janeiro. Sia quest'anno che il prossimo sono dedicati alla ricerca e all'attenzione della biodiversità, ossia delle diversità biologiche.
L'azione dovrebbe comprendere il collegamento dei giornalisti che si occupano di ecologia, rinforzare l'informazione dei dipendenti dei media, così come la loro inclusione nei trand mondiali. I laboratori, le presentazioni le discussioni e le visite di studio sono solo uno dei modi con cui i giornalisti possono aumentare le loro conoscenze sull'ecologia.L'Istituto per la difesa della natura ha presentato anche la nuova versione del suo sito internet, che a partire da ora è interattivo, "comunica" con i visitatori, che possono inviare le proprie suggestioni, commenti e testi. Il sito di Natureprotection sarà aggiornato quotidianamente. I temi sui quali si discuterà di più, sperano i tecnici dell'Istituto, saranno la biodiversità, gli eco-diritti e gli eco-criminali, l'economia e l'ecologia, la guerra e l'ambiente e molti altri. Affinché l'azione della formazione sull'ecologia possa riuscire, gli organizzatori si appellano ai potenziali partner e finanziatori.

Vedi anche:

UNEP Post Conflict Assessment Unit

Natureprotection

Serbia: Scioperi all'Università di Nis

16/10/2001 -  Anonymous User

I professori e gli assistenti di tre Facoltà dell'Università di Nis sono da oggi in sciopero. Le motivazioni alla base della protesta sono state annunciate già alcuni giorni fa dal Sindacato Indipendente di Nis che ha denunciato la "situazione contrattuale umiliante" alla quale sono costretti attualmente professori ed assistenti. "E' inaccettabile che gli assistenti universitari percepiscano stipendi inferiori a quelli di professori ed insegnati delle scuole elementari e superiori. E' anche inaccettabile che il rapporto tra il salario di un lavoratore manuale non specializzato ed un professore all'apice della carriera sia di 1: 2,44. Come non è giusto - denuncia il sindacato- che vi siano notevoli diseguaglianze tra il livello salariale di posizioni statali equivalenti". Non certo senza sarcasmo il Prof. Radoslav Dimitrijevic, a capo del Sindacato Indipendente, si chiede se sia equa la disparità tra il loro salario e quello percepito dai parlamentari (700 dinari il primo, 1700 il secondo). "Crede forse qualcuno che il lavoro dei parlamentari sia più pesante di quello dei professori universitari?" ha aggiunto alludendo all'inefficienza del Parlamento serbo.
Anche gli studenti hanno annunciato futuri scioperi insoddisfatti delle risposte negative di molte Facoltà ad alcune loro richieste, tra le quali la diminuzione degli esami obbligatori per l'iscrizione dal primo al secondo anno di studi.
La situazione è quindi attualmente molto confusa all'Università di Nis. Sia professori che studenti contestano a Governo e Parlamento di non essere stati in grado di approvare una nuova legge sull'Università. In Serbia vige ancora quella approvata nel 1998 dal regime di Milosevic che rappresentò la definitiva repressione nei confronti del mondo universitario dissidente.

Di ritorno dalla Perugia-Assisi...

16/10/2001 -  Anonymous User

Tra le più di 250.000 persone che l'altro ieri hanno camminato attraverso le belle ed assolate colline umbre per la Marcia della Pace Perugia-Assisi vi erano anche alcuni rappresentanti dell'Osservatorio sui Balcani. Si riteneva importante la presenza proprio perché l'Osservatorio è nato su un forte stimolo della società civile e si propone di favorire lo sviluppo sostenibile ed una vera pace per l'area balcanica. Rappresenta quindi un progetto quanto mai vicino alle molteplici sensibilità presenti alla Marcia, in particolare a quelle che uniscono il "no alla guerra" con il lavoro concreto per la pace e la ricostruzione dal basso.
Grazie ad uno stand in piazza Santa Maria degli Angeli ad Assisi si sono potute incontrare molte realtà che lavorano ed operano nei Balcani ed è stata un'importante occasione per conoscersi e scambiare esperienze. Sono state inoltre distribuite più di 10.000 copie dell'Appello 'L'Europa oltre i confini. Per un'integrazione dei Balcani nell'Unione Europea: rapida, sostenibile, dal basso', cui continuano ad aderire molte personalità da tutta Europa. Tra le ultime firme ricevute anche quelle di Agostino Zanotti del Comitato di Brescia dell'Agenzia della Democrazia Locale di Zavidovici, BiH e Gianfranco Schiavone, responsabile dell'ufficio accoglienza dell'ICS.
Anche il Documento presentato ad Assisi dalla Tavola della Pace in occasione della Marcia richiama con forza il ruolo delle istituzioni europee, UE, in primis, nella costruzione della pace nel mondo, dimostrando una forte consonanza con l'Appello. Si legge ad esempio: "Alla vigilia dell'entrata in vigore dell'Euro, chiediamo al Parlamento, alla Commissione e al Consiglio Europeo, ai Governi e ai Parlamenti dei paesi membri un particolare impegno affinché l'originario disegno pacifista d'integrazione europea torni ad orientare le politiche dell'Unione Europea. In tutto il mondo cresce la domanda di Europa. Un'Europa a servizio della pace, del disarmo e della prevenzione dei conflitti. Un'Europa aperta al resto del mondo, capace di esprimersi con una sola voce nel contesto delle relazioni mondiali per difendere la causa della legalità e della solidarietà internazionale, per portare avanti la realizzazione di un modello di nuovo ordine mondiale coerente innanzitutto coi principi della Carta dell'Onu e del diritto internazionale dei diritti umani. Un'Europa dove la politica e la dimensione sociale abbiano il primato sul mercato. Un'Europa impegnata a colmare il deficit democratico interno tuttora persistente, a sviluppare il dialogo sociale e civile, a orientare la politica di coesione economica e sociale, a promuovere e sviluppare forme di più efficace cooperazione e solidarietà con i paesi del Mediterraneo e i più poveri, ad accelerare l'ingresso nell'Unione dei paesi dell'Europea centrale e orientale".

Studenti serbo-kossovari ritornano in Kossovo

16/10/2001 -  Anonymous User

L'Università di Pristina, spostata nel sud della Serbia dopo la crisi del 1999, verrà trasferita nuovamente in Kossovo. E' stato infatti deciso dal governo serbo che la maggior parte delle Facoltà, a parte quella di Belle Arti che avrà sede a Zvecan, saranno riaperte a Kosovska Mitrovica. Il Governo ha inoltre previsto per chi rifiutasse di continuare i propri studi in Kossovo di poter automaticamente spostarsi in uno degli altri cinque centri universitari del Paese.Alcune agenzie governative hanno già destinato alcuni edifici adeguati a sede della futura Università: per i corsi, per il rettorato e per i dormitori studenteschi.
Le lezioni dovrebbero cominciare nella seconda parte del mese di ottobre ma aleggia molto scetticismo e preoccupazione tra gli studenti, nonostante KFOR ed UNMIK abbiano garantito l'assoluta sicurezza delle locazioni prescelte.
Inoltre le università serbe si sono fino ad ora dimostrate a dir poco riluttanti ad accettare numeri troppo ingenti di studenti provenienti dall'Università di Pristina. Ufficialmente questo è dovuto alle difficoltà, prevalentemente finanziarie, che tutte le università hanno avuto quest'anno ad accogliere un numero accettabile di studenti. Situazione messa ancor' più in crisi dagli studenti provenienti dal Kossovo (in particolare all'Università di Nis).
In via meno ufficiale questa riluttanza è anche da ricercarsi nella scarsa preparazione contestata agli studenti dell'Università di Pristina. Quest'ultima era infatti conosciuta in passato per la corruzione, la mancanza di criteri seri di selezione e per dare rifugio a studenti che non erano stati in grado di terminare i loro studi nelle università di Nis, Belgrado o Novi Sad. Molti ad esempio a Nis temono che l'ammissione di questi studenti potrebbe seriamente danneggiare la qualità dei corsi di studio (Beta, 11.10).

E' on-line una nuova guida sul sistema scolastico nei Balcani

15/10/2001 -  Anonymous User

Di nuovo a scuola: in quali condizioni si apre il nuovo anno scolastico nei Balcani? Ci sono edifici adeguati e riscaldati? E i programmi di studio, sono ancora quelli scritti dai nazionalisti? Una nostra guida sul tema delicato del sistema educativo.

Croazia: ancora reazioni al filmato sui crimini dell''Operazione Tempesta'

15/10/2001 -  Anonymous User

Non si sono ancora sopite le polemiche riguardanti la proiezione in Croazia i primi giorni di ottobre del documentario di Bozo Knezevic sui crimini croati commessi durante l'operazione Tempesta. Il sociologo Drazen Lalic ha dichiarato che anche lui, come il 75% degli spettatori che quel giorno erano davanti alla televisione, si è sentito corresponsabile per quei crimini. Non tanto in quanto croato ma come persona umana che non è stata in grado di impedire che tali atrocità fossero commesse. E' vergognoso, ha inoltre dichiarato, che persone come Maja Freundlich e Zeljko Olujic continuino a relativizzare su atti criminosi così gravi e documentati (Slobodna Dalmacija, 6.10).
In questi giorni sono state inoltre molte le dichiarazioni di solidarietà al direttore della radiotelevisione croata Mirko Galic ed al direttore della trasmissione durante la quale il documentario è stato trasmesso, Denis Latin. Alle richieste di rimozione e dimissioni fatte dai rappresentanti dell'HDZ hanno risposto con la loro solidarietà il sindacato dei giornalisti, l'Associazione dei giornalisti e il Forum 21 (Vjesnik, 6.10). Drago Pilsel, Presidente del Forum 21, ha dichiarato che le richieste dell'HDZ rappresentano una minaccia all'ordine costituzionale della Croazia e sono contrarie alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo delle Nazioni Unite.

Montenegro: i prezzi in marchi e in euro

15/10/2001 -  Anonymous User

A partire da oggi tutti i locali e i negozi del Montenegro dovranno applicare i prezzi nelle due valute, ovvero in marchi e in euro. I prezzi espressi in due valute fanno parte della decisione che il governo ha preso circa una decina di giorni fa e che da oggi entra in vigore.
La doppia indicazione dei prezzi dei prodotti verrà applicata fino al 31 marzo 2002, quando l'euro diventerà la moneta ufficiale in Montenegro e quando verrà messo fuori corso il marco tedesco.
Il ministro montenegrino per il commercio, Ivan Raicevic, ha detto che tutti devono rispettare la parità che è stata concordata, un marco rispetto a 1,955 euro, e che è stata affermata dal Fondo monetario europeo. Secondo le sue parole, a partire dal 1 di dicembre, anche i registratori di cassa dovranno riportare i prezzi nella doppia valuta.
La conversione dei marchi in euro potrà essere eseguita presso la Banca Centrale del Montenegro e nelle altre banche di servizio. I cittadini potranno cambiare in ogni momento i marchi in euro, fino ad un valore di 10.000 marchi, mentre per conversioni di importo maggiore sarà necessario aprire un conto corrente presso una banca.

Serbia: educazione ambientale per bambini e adulti

15/10/2001 -  Anonymous User

L'Istituto per la difesa dell'ambiente in Serbia ha fatto la sua sortita allo stand della fiera di Novi Sad, ovvero della Direzione per la difesa e lo sviluppo dell'ambiente. Il direttore dell'Istituto, Radomir Mandic, ha avuto l'occasione di mostrare un certo numero di filmati prodotti da questo Istituto, che dovrebbero contribuire all'educazione di tutti quando è in questione l'ambiente, a prescindere dall'età. Questi filmati sulla bellezza naturale della Serbia, dalla Stara Planina a Golia, così come anche gli effetti dei bombardamenti della NATO sull'ambiente del paese, sono stati mostrati nell'ambito del Festival per l'educazione degli adulti tenutosi su tutto il territorio della Repubblica dall'11 al 13 ottobre. A parte la partecipazione di molti espositori commerciali che trattano prodotti naturali, dai cosmetici ai rimedi medicinali a base di sostanze naturali, alla fiera hanno partecipato anche alcune organizzazioni non governative che si occupano di ecologia, alcuni movimenti ecologisti, ed infine bambini e club ecologisti delle scuole. Sotto lo slogan "Novi Sad come città ecologica", la Direzione novisadese per la difesa dell'ambiente ha organizzato presso il suo punto parecchi eventi interessanti. Come commenta il direttore della Direzione per la difesa dell'ambiente di Novi Sad, Petar Tatic, al quotidiano Danas, della Direzione "è per esempio l'iniziativa di realizzare un sistema informativo sulla difesa dell'ambiente, dove in ogni momento si potrebbero avere le informazioni necessarie. La banca dati sarebbe a disposizione di qualsiasi cittadino che desiderasse consultare qualche informazione, perché è importante che l'intero processo di difesa dell'ambiente divenga pubblico e trasparente". La Direzione ha già pensato di organizzare un catasto di tutti gli inquinamenti dell'ambiente, e per il momento è disponibile una base di dati sull'inquinamento dell'acqua. Secondo quanto afferma Tatic ci sono molti altri ambienti urbani che si interessano alle attività di Novi Sad nel campo della difesa ambientale, perché sembra che possano imparare molto dalla loro esperienza. Inoltre Novi Sad è nota per altre iniziative riguardanti il tema dell'ambiente, dove i bambini sono l'obiettivo principale dei gruppi che si occupano di educazione all'ecologia.

Vedi anche:

Novi Sad

Educational system in Serbia: lack of funding and resistence to reform

12/10/2001 -  Anonymous User

The education system in the Republic of Serbia, which at the moment comprises more than 1.4 million students and about 120, 000 employees (teachers, pedagogues, psychologists, and administrators), faced a lack of funding and general neglect in all its segments during the last decade. The system, however, continued to operate, but at a lower level. The majority of the schools lack an adequate infrastructure and basic teaching equipment. Furthermore, education is not systematically monitored, and the teaching methods are stagnated. Perhaps this is the most dangerous problem and the hardest one to eradicate. Also, with the democratic changes that have occurred and the new reforms that are to be implemented, there has been significant political interference in the educational system. This political interference affected and continues to affect a number of students educated within this system in the last ten years.
The centralised and almost authoritarian approach to education management was reinforced during Slobadan Milosevic's regime through the closing down of various regional education development institutions whose functions were integrated into the Ministry of Education. Such a centralised atmosphere was suffocating to those not in accordance with Milosevic' s nationalistic policy. The previous regime was spreading lies and xenophobia through the textbooks. The use of minority languages in the education of national minorities living in Serbia was affected by this. It is already well known that the previous regime did everything to convince population living in Serbia that the only official language had to be and needed to be the Serbian language.
This kind of attitude towards the languages of the national minorities led to a great reduction in the number of classes taught in Hungarian, Slovakian, etc. For instance, one of the regional laws in Vojvodina in the 1990' s, placed the minimum number of children needed to form a class in the Serbian language at 9, while the minimum for a class or reading lessons in Hungarian was placed at 15.
Serbian Deputy Minister of Education and Sports, Tunde Kovac- Cerovic, states that now we all know that such an attitude towards education in national minority languages was extremely bad during the rule of Slobodan Milosevic.
"However", she further states that, " it is not an issue that needs to be discussed. The thing I find relevant is to say that at that time nothing was good and everything was wrong, and the time is now to see how, and what needs to be changed in order to improve the situation in the Serbian education."
However, another issue arises when discussing the education of national minorities in their own language. At the moment the main issue is what are the children actually learning about? What is taught in the textbooks and what makes up the educational program? For instance, students in the classes taught in Hungarian language, besides being taught in their mother- tongue, do not have the opportunity to learn anything about the elements of their culture. Important things about their history and culture were out the education programme. Instead, they are taught only Serbian history and culture. When commenting on this, Mrs. Tunde Kovac- Cerovic said that the idea of the Ministry of Education and Sports is only the national frame for educational standards to be followed, and that the context of the educational programme is to be controlled by the local levels of authority. "However it is still not in the law", she explained.
" It cannot be arranged as it was during last ten years, that somewhere in some central ministry the decisions are made under a strange circumstances, in which it is prescribed that something must look like this or that. That kind of manipulation will surely be eradicated, but still it is not sanctioned by law", continued Kovac- Cerovic.
Kovac- Cerovic also said that it is best for the education in the languages of the minority groups to be co-ordinated by municipal levels, because they are the best informed about a certain region and the population inhabiting it. Therefore, they can react in a most proper way. "A lot of things are planned to be integrated in the work of autonomy of schools, local communities, municipalities, etc", said Deputy Minister of Education and Sports. In her statement on the issue of the education in the languages of the national minorities, Serbian Deputy minister Tunde Kovac- Cerovic, concluded by saying that at the moment a lot of discussions are being held about what kind of capabilities will Vojvodina have. Among them will probably be the capability to choose educational programme for the minority groups. She also stated that a lot of things controlled by Belgrade at this moment, would be transferred in Vojvodina, in another one of Vojvodina' s institutions, or structures.

Besides the fact that the democratic changes came already about a year ago, the thing is that the Serbian government with all its' mechanisms and structures was formed in February 2001. That is why Tunde Kovac- Cerovic states that the real improvements and changes in the Serbian education system will become visible not before the next school year, 2002/ 03. She explained a changes in educational system to be a long process because a lot of analysing needs to precede any kind of implementation. Also, teachers need to be prepared for the changes. A number of teachers are very good and they are miserably paid. Therefore, there has to be established some sort of better atmosphere in which teachers will start fostering a child centred approach.
When explaining the forthcoming reforms, Tunde Kovac- Cerovic stated the following stages, as being the most important:

1. Democratisation and decentralisation of the system
By this, as Kovac- Cerovic explained, a new approach towards children and their parents, local communities, and economy, etc. is planned. "The school and education will not exist just for people to have a place to work in, or for a state to have someone to control over, but it will be there for a new generations to be informed about everything that Europe has to offer" stressed Kovac- Cerovic.
2. Improvement in the Education Performance and Quality on all its' levels-
Here, as Tunde Kovac- Cerovic explained, the focus would be put on the structure and context of educational programme, and the developing of an efficient system of monitoring the quality of scholastic achievements at national level, which does not exist at the moment. Therefore it is not possible to keep evidences and make comparisons with education systems in other countries in order to constantly improve all its' segments.
"Also, this includes", said Kovac- Cerovic "developing of integrated professional system of teacher education and professional development through modernising pre- service teacher education".
3. The reorganisation of the schooling system in accordance with the need to efficiently contribute to the economic revival of the country,
and also democratic development, and that European integration.

At the end of the interview, Deputy Minister of Education and Sports, Tunde Kovac-Cerovic commented on the situation of the education of the Roma population. She said that it is often a common occurrence, when speaking about the education in the languages of the national minorities living in Serbia, that the question of Roma education is not discussed. "It is almost always excluded", she commented. She stressed the question of the education of the Roma population, living in Serbia, to be a large systematic question. " They are on the fringes of the society in its every segment," she said. Therefore, the attitude of the society towards this population group, and also the attitude of Roma towards education, and many others obstacles need to changed and removed, in order for them to be properly involved and enrol in schools.

Tunde Kovac- Cerovic gave two examples, which describe this problem:
1. The Roma children are faced with the difficulties at the very beginning of their enrolment in schools. Often they are given a test in Serbian language, with which they are not familiar at a such young age. Therefore their scores are extremely poor, and those children are then sent to the special schools for children with some sort of handicap. These schools are then full of Roma children who can not get an adequate education, and the handicapped children are those who suffer as well, as not having enough space for the special care they need.

2. The other example she gave while commenting on the various projects, for instance trying to establish lessons in Roma language, which are accepted by the director of some school are difficult to implement. However when it comes to its' realisation the factor of intolerance and rejection is often present.
At the very end she said that during the last ten years only the work of NGO' s and individual attempts were helping in this problem, and that now it is of great importance that a national strategy on this matter be established.

-The education of the handicapped children
The Head- teacher of the school "Sava Jovanovic- Sirogojno" in Zemun, a school specialised for the handicapped children, commented that the previous ten years were disastrous related to the expert development in the schools and institutions like this one is. "The aid was coming from abroad, but it was only pins of sardines or flour. No literature, no expert co- operation with Europe. Therefore, there was a lot of stagnation in this field", she explained. She said that this school depends on the aid, offered by various humanitarian organisations. Describing this aid as necessary, she explained that children enrolled are usually coming from very poor families and therefore do not have enough money for a minimum of existence such as food, medicines, etc. (not to mention buying of textbooks, and other school material). "Often", she added, " they are not just mentally handicapped, but extremely ill (diabetes, etc)". Last year this school was receiving aid from organisations like the Red Cross, and ISA. However, they are not on their lists for this year. Therefore at the moment, said the Head- teacher, they are preparing new projects for gaining the necessary help for 235 children that are enrolled in the school " Sava Jovanovic- Sirogojno" at the moment.

In Belgrade there are 6 schools, and 5 institutions with internats for handicapped children. One very young teacher in this school expressed her view on the problems with which handicapped children are faced by saying that an acceptance of these children by our surrounding is very poor. She stressed that the surrounding is not informed enough about these children. "There has to be some kind of education of the people about handicapped children", she explained. "The handicapped children", she continued, "are sometimes placed in specialised classes in ordinary schools and in almost all the cases they are branded with names such as: lunatics, specialists, morons, etc". The Head- teacher also said that it is not a rare case that people here, are ashamed of their children having disabilities in their mental development, and that they will do everything that is in their power not to send them to any of the special schools. "I think that a strong media campaign, and additional education needs occur in order to reduce these stereotypes in people's minds. We need to explain to people that if their children are not enrolled in proper schools on time, they will suffer throughout all their lives, and never be able to enjoy a normal life, find a job, gain friends, etc.", concluded the Head- teacher.
Today, before the implementation of the reforms, the subject on religion was put in the school. It provoked loud discussions all over the country, among all the citizens including politicians, intellectuals, parents, etc. Two deputy ministers for education and sport, Dr. Srbijanka Turajlic and Vigor Majic were about to resign. Both of them, they explain, were not initially against this subject, but against the suspicious procedure under which this regulation was adopted. Dr. Srbijanka Turajlic commented that it is bad to integrate such a subject into the schools without previous opinion and expert polls, and other sorts of necessary preparations. Turajlic also said that it is not possible to integrate this subject into the schools, which do not have the books, teachers, or any kind of programme, in less than a two months time. She commented that this is a political move, not an expert one. (NIN, No 2637, July 12) There were some opinions that Serbian Prime Minister, Zoran Djindjic, came to the decision of bringing back the subject on religion in schools, in order to gain the same kind of treatment by the Serbian patriarch Pavle, as one FRY President, Vojislav Kostunica enjoys. In her article for the magazine " Vreme", July 12, No 549, the journalist Slobodanka Ast asks the question: " Whether in the schools we will have for teachers, priests who were themselves involved in the last decade wars on the Balkans"?

At the end the Serbian Minister for education and Sport gave the following solution. Children enrolled in the first year in Primary and Secondary Schools for this school year 2001/02 will have to choose among three options:1. Subject on Religion ( for all the confessional groups: Orthodox, Muslims, Catholics)
2. Subject on the Civil Society3. And not to choose any of the two mentioned if they do not want to.

How this will affect the society and in what ways, will probably be seen not before the end of this school year 2001/02. After the implementation of the reforms, the real evaluation on whether the Serbian education system, damaged by ten years long isolation, poverty, the influx of almost one million refugees that increased pressure on the system, did really improved. Only then it will probably be easier to compare and see, hoping that there will not be anymore school years like 1998/ 99 and 1999/00 during which the number of schools, enrolments, and employees in all educational institutions declined.

- "Sava Jovanovic- Sirogojno", School for Handicapped ChildrenSvetosavska 22
ZemunSRJ
Tel. +381 11 617 355

The educational system of Serbia in these last ten years

12/10/2001 -  Anonymous User

The system of education in Serbia (and in the present and former Yugoslavia as well) has always been something the locals have boasted about. Intended as a perfect blend of technical education necessary for certain job positions (found in the American system of education) and general-purpose subjects to breed real intellectuals (found in most European systems and in the Slavic tradition of education including Russia), Yugoslav education was indeed a source from which the prosperity of the nation and up to a point the country's fine international reputation stemmed. Or at least it was so until the late seventies, when the approaching dissolution of the country meant the imminent disruption of the joint education system, and its steady, but firm deterioration.
The seventies in the former Yugoslavia meant the abandonment of the system of general-purpose secondary schools, known as 'gimnazija' (roughly translatable as 'grammar school'). After the compulsory eight years of elementary school (age 7-14), talented children were no longer allowed entrance to these general education schools, whose primary purpose was to train those children who would undoubtedly enroll into universities upon graduation. The old system had therefore offered children the choice of these schools which opened up the way to the University, or the choice of technical schools which would train craftsmen, workers, accountants or civil servants. However, at least according to the enraged Serbian media at the time, it was upon the advent of the high Communist Party official from Croatia in charge of education, Mr. Stipe Suvar, in the early eighties that the entire system was turned upside down. The new system meant highly specialized secondary schools in all areas. After the first year of secondary education, common to all professions, children were asked to specialize for their desired profession as early as at the age of 15, in the second year of secondary school. Specialization was even narrower in the third and fourth years, which meant practically two or three different, highly specialized programs in each of the hundreds of secondary schools in the country. This lead to mass confusion among children, disappointment when they faced a number of additional examinations if they wanted to change their specialization, and an explosion of textbooks, many of which were to be used just in a couple of schools in the country. Prequalification of teachers was yet another problem, so that many math or technics teachers now had to teach computer science, while Marxist schools alumni were to give courses in the history of philosophy. The entire mess came to an end when Serbia decided to get back to its old (grammar school / technical schools) system in 1989, which turned out to be a good decision in the long run, although back then it was just one of the hard-line early-Milosevic moves to defy the federal authorities, and, especially to sweep away some Croat communists he had been at odds with, Mr. Suvar included.

Another problem of the former Yugoslav federation was the diversity of programs taught in different republics. The only thing in common was the number of years needed to get proper education (8 years primary school, 4 years secondary school, 4-6 years university). All the rest seems to have been different. The first major obstacle was that the country used three official languages (Macedonian, Slovenian and Serbo-Croat), and the last of the three had at least three officially recognized dialects. Both Cyrillic and Latin letter systems were allowed. Programs in social science and humanities were made up in such a way as to favour the particular majority nation in the area, albeit always in accordance with the prevalent communist ideology. However, even those general subjects, such as mathematics, physics or foreign languages, were taught according to different programs, since this was the jurisdiction of the Republic Ministries of Education and Federal Government had little or no influence on program making. This was a real nightmare for those children often moving house throughout the country (this turned out mainly to be kids of Yugoslav army officers). Some of them, today middle-aged persons, still claim this diversity meant they constantly had to adjust to new systems, so they believe their education had major flaws, some of which are still felt in their lives.
And then came the nineties. Nobody really knows the exact date when the former country broke apart, although the obvious period to look into was between June 1990 (when Croatia and Slovenia declared independence) and April 1992 (when Serbia and Montenegro formed the Federal Republic of Yugoslavia). The runaway republics had already adapted their programs to the changing conditions, and it turned out only Serbia and Montenegro were left with the entire burden of the former country, which included education. This lead to some funny situations, especially in the beginning. In the middle of the war in Croatia, history books still read of "brotherhood and unity of the Yugoslav peoples and national minorities", and long after multi-party system was established in Serbia, the same books still spoke of the "development of self-management and socialist democracy without numerous political parties, since that would not be suitable for our political system." Geography textbooks were changed instantly, in classes, since the country was now considerably smaller than before, and this meant that all the data was changed, including the info on the highest mountain, biggest lake, northernmost point etc. In practice, this meant that geography teachers used markers to lay out the borders of the new country, and thus adapt the big school maps carrying the proud title "Socialist Federal Republic of Yugoslavia". History teachers, themselves taught that, for example, Chetniks (remnants of Serbian Royal Army in World War Two, who fought Germans and Tito's Partisans) were butchers, counter-revolutionaries and traitors, now had to find a new framework to operate in, and most of them instantly moved from communism to stern nationalism (which meant - do not mention Croatia or Slovenia, in any positive context, in your tests, or else your grade might become considerably lower).

Wars were under way, the country was becoming poorer and poorer, and school programs changed little, if any. This brought about disillusionment in children, popular mockery of textbooks (with teachers blushing and not knowing what to do). Numerous strikes, demonstrations and rallies in the country had their effect on high school kids as well, so playing truant (often collectively) became one of the most popular school activities. Not a single opposition rally passed without avid (though unwanted) support of high school students. Many new-age millionaires still sent their kids to schools, which meant young upstarts openly mocking their impoverished teachers in classes, which soon opened up the way to corruption. This meant the decrease of criteria, with many semi-educated, or sometimes almost technically illiterate teenagers coming to universities. And universities have remained poor, as well. The former regime had a motto: "Send them to university in order to keep them off the streets". This resulted in thousands studying all over the country, with the government's regular decision to extend the list of admissions after entrance exams every year (the ratio was usually 1:4, meaning - if your department admits 50 students regularly, the government will make you admit at least 200). The consequence was the enormous number of students (sometimes with no classrooms to put them up), many of whom had about as much knowledge as to enroll in 6th or 7th grade of the primary school. Criteria for passing exams were decreased again, since the pressure to let them enroll into the next year of the studies came both from the Government ("always keep them off the streets! no need for demonstrators!") and from the parents who were unwilling (and often unable) to pay any additional years of their kids' studies. The peak of the mess came after the University Law of 1998 was passed in the Serbian Parliament. In practice, it made the Government the prime and ultimate controller of the University. After this act, Serbian universities were banned from all European High Education associations, and it was obvious the end could not be far away.
After October 2000, and the revolution in Yugoslavia, it has been obvious that any true reform must start with education. The Ministry of Education has had enough problems only with students from Kosovo (for political reasons, the University of Pristina is still active, though displaced in numerous smaller towns in south Serbia, but the oncoming school year opens up the way to many unanswered questions, especially those of security). In addition, the new school year means considerably smaller numbers of students, and higher fees for their education (though unpopular, this seems to be a necessary step, since Serbia cannot do with the alarming numbers of highly-trained 'experts' with university diplomas and virtually no vacancies). As for primary and secondary schools, programs have been revised again - the new 8th grade history, covering the period 1915-present, mentions the events of the last ten years in 3 pages only, without a single name printed (Milosevic included). Primary and secondary school kids have another subject to cover this year - they may choose between 'Religious Education', a highly controversial compromise by the government to the Serbian Orthodox Church, and 'Civic Education', a kind of study of human rights and institutions of modern civic society. Religious education, here known as 'veronauka' (literally, the 'science of faith') will be taught by priests of one of the five most widespread religions in the country (according to the children's' and parents' preference). Arguments for this subject are 'return to our roots and tradition which would have saved us all the harms of the previous 50 years'. Arguments against are obsoleteness, contrariness to the scientific frame of mind otherwise favoured in schools, and the possible discrimination to atheists and members of smaller religious groups. What will turn out of the latest attempt of politicians' poking into Serbian education, remains to be seen.

In general, however, things seem to be looking up. Whether the Serbian education will return to its roots, or it will follow the footsteps of the developed EU countries, it is certain that in charge of it today are some people far more tolerant, rational and responsible than those who covered the entire former country with blood in the previous decades.

Il sistema scolastico in Bosnia-Erzegovina

12/10/2001 -  Anonymous User

Si è spesso affermato che il sistema scolastico della BiH (ma vale anche per le altre repubbliche) ai tempi della ex-Jugoslavia fosse particolarmente complesso. L'educazione obbligatoria durava otto anni durante i quali gli scolari dai sette ai quindici anni frequentavano le scuole "elementari". Le materie insegnate erano le stesse per tutte e sei le Repubbliche con le eccezioni di Slovenia, Macedonia e Kossovo dove era riconosciuta la lingua slovena, macedone ed albanese nonostante restasse obbligatorio anche l'apprendimento del serbo-croato. Gli scolari e studenti della Bosnia-Erzegovina alternavano poi gli alfabeti utilizzati: una settimana si scriveva con caratteri latini, la successiva con quelli cirillici.
Se i programmi di alcune materie, come fisica, matematica e biologia, erano identici, in altre, come ad esempio letteratura, pur studiando poeti e narratori dell'intera Jugoslavia, si dava a volte "precedenza" a quelli locali. Alla scuola dell'obbligo seguiva la scuola superiore, frequentata dai ragazzi tra i quattordici ed i diciotto anni. Il tasso di frequenza all'istruzione superiore era nella ex-Jugoslavia particolarmente alto. Le scuole superiori si diversificavano in diversi indirizzi, si andava dagli studi classici a programmi più specializzati ad esempio nei rami dell'economia e commercio, della medicina, in campo tecnico, industriale ecc.

Al termine delle superiori ci si poteva iscrivere all'Università. Aperta a tutti durava in media quattro anni con l'eccezione della Facoltà di medicina della durata di cinque anni. Non si pagava normalmente tassa di iscrizione, e se ve ne era una era spesso limitata al costo effettivo del solo libretto universitario. Erano presenti borse di studio che garantivano una copertura totale delle spese per gli studenti con i migliori risultati mentre gli altri potevano richiedere un mutuo studentesco a fondo perduto per l'80% del suo valore. (molti, in seguito al crollo dell'ex-Jugoslavia, non dovettero restituire neppure il restante 20%). Inoltre tutti gli scolari e studenti (dalle elementari fino all'Università) erano coperti da assicurazioni garantite dalle ditte dove lavoravano i genitori.

I centri universitari in Bosnia-Erzegovina erano quattro: Sarajevo, Banja Luka, Mostar e Tuzla. Vi si trovavano quasi tutte le facoltà. Da giurisprudenza a ingegneria, da economia a lettere. Questi quattro centri universitari non erano frequentati esclusivamente da studenti jugoslavi ma anche da molti studenti stranieri provenienti da paesi del cosiddetto terzo-mondo.

Con la morte dell'ex-Jugoslavia crollava anche questo sistema scolastico comune e moriva l'insegnamento comune di alcune materie. In Serbia non si imparavano più poesie di poeti bosniaci, in Croazia si dimenticavano quelle di poeti serbi, in Slovenia si ricordavano solo quelli sloveni. La geografia subì ampie modifiche non solo per quanto riguarda i nuovi confini che dividono ora l'ex-Jugoslavia. La stessa sorte subì la storia.
Tutto ciò che veniva memorizzato negli anni precedenti doveva essere dimenticato. Il comunismo dopo essere stato lodato ed incensato per quasi cinquant'anni veniva improvvisamente considerato una dittatura.
Si cominciò con una profonda riscrittura della storia dei Balcani ed i programmi scolastici vennero rivoluzionati. L'insegnamento della religione, prima degli anni '90 limitato agli istituti ecclesiastici, venne introdotto a scuola. Nelle zone croate della Bosnia-Erzegovina l'alternanza tre alfabeto latino e cirillico venne soppressa, a favore del primo, ed in Republika Srpska, nei primi anni del dopoguerra, avvenne lo stesso a favore però dei caratteri cirillici.

E questi sono solo alcuni dei forti cambiamenti subiti dalla scuola bosniaca dopo i lunghi anni di guerra. Altro problema cruciale fu ad esempio quello dell'inserimento scolastico dei profughi. Per i ragazzi bosniaci rifugiati in Croazia nel 1992 vennero organizzate lezioni nei campi profughi stessi. In altri casi dovettero integrarsi nelle strutture scolastiche già esistenti in zona.

Il sistema scolastico attuale riflette pienamente i paradossi della Bosnia-Erzegovina disegnata con gli Accordi di Dayton . Esistono tre sistemi diversi: uno per la Republika Srpska, uno per la cosiddetta Herzeg Bosna a maggioranza croata ed un terzo per la zona musulmana della Bosnia-Erzegovina.
Dove più forti sono i processi di rientro delle minoranze che intaccano le "omogeneità etniche" in cui di fatto è suddivisa la Bosnia-Erzegovina si sta lentamente cercando di fare una scuola che possa essere "per tutti" anche se prevalenti sono le scuole separate a seconda della comunità di provenienza.
Vi sono alcuni progetti che cercano di andare in controtendenza. Il primo è stato iniziato a Brcko dove ragazzi bosniaci e serbi condividono gli stessi banchi e le stesse aule. A Travnik invece ragazzi bosniaci e croati frequentano lo stesso istituto, pur rimanendo in classi distinte e seguendo programmi differenti.
L'introduzione in Bosnia-Erzegovina di un sistema scolastico unico è ancora lontano. La Commissione Europea ha promosso un programma in questa direzione ma dal quale ci si aspettano risultati solo sul lungo periodo.
I libri di testo utilizzati a scuola, pubblicati per la maggior parte negli anni immediatamente successivi alla firma degli Accordi di Dayton, rimangono parziali e basati su una lettura dei fatti, da parte di ciascuna comunità, ancora in chiave nazionalista. Nonostante questo si è iniziato un processo di revisione degli stessi. E' quello che è avvenuto a Sarajevo dove, in questi ultimi anni, alcuni testi hanno subito delle correzioni. Si sono attutiti i toni rispetto alle altre comunità costituenti la Bosnia Erzegovina. Un esempio su tutti la descrizione della vicenda della distruzione del bellissimo ponte sulla Drina, a Mostar. Se nei libri precedenti questo fatto veniva descritto in modo molto duro additandone la responsabilità in particolare all'HVO croata nei libri attuali si afferma che "...il ponte vecchio fu distrutto nei conflitti tra Armija e HVO.." presentando l'episodio in modo molto più neutro.
Contemporaneamente vi è anche uno sforzo dell'Istituto Pedagogico della BiH di creare un clima di rispetto per tutte e tre le principali culture caratterizzanti il Paese e sempre più spesso nei libri di letteratura trovano posto i poeti e narratori provenienti da tutte e tre le comunità. Questi sforzi hanno in ogni modo suscitato scalpore venendo presentati, secondo una parte dell'opinione pubblica bosniaca-musulmana, anche autori serbi e croati considerati troppo nazionalisti. C'è chi pensa ancor'oggi ad esempio che il "Ponte sulla Drina" di Ivo Andric sia un libro contro la comunità musulmana. Lo stesso vale per Aleksa Stanovic, Jovan Ducic ed altri.
Ma, nonostante le polemiche, questi autori sono stati pubblicati in libri di testo utilizzati a Sarajevo mentre quelli stampati a Belgrado ed a Zagabria presentano esclusivamente i "loro" autori. Sembra però che con il tempo anche queste resistenze verranno superate.

Ancora non è stata superata invece la divisione tra scuole normali e scuole speciali, frequentate da scolari afflitti da ritardi mentali o handicap fisici. L'eliminazione delle scuole speciali e l'integrazione dei ragazzi in difficoltà in un unico sistema comune è ancora lontano. L'esistenza di scuole speciali è, per tutti i Paesi nati dall'ex-Jugoslavia, un'eredità legata al loro comune passato. Nell'ex-Jugoslavia esisteva ad esempio una Facoltà specializzata nella formazione degli insegnanti che avrebbero lavorato con ragazzi "particolari".

Stupisce comunque che questioni riguardanti la scuola vengano trattate molto poco dalla carta stampata in Bosnia-Erzegovina. L'opinione pubblica sembra essersi abituata e considerare normale il sistema tricefalo e contemporaneamente, nei confronti delle nuove indicazioni e regole imposte (come quasi sempre) da Wolfgang Petrisch mirate al raggiungimento di un sistema scolastico unitario, tutti tacciono.