L'8 aprile 2021 si è spento a Sarajevo Jovan Divjak. Fu protagonista della difesa di Sarajevo durante l’assedio e fondatore e principale animatore dell’associazione Obrazovanje gradi BiH  (L’istruzione costruisce la Bosnia Erzegovina) che offre borse di studio a studenti dell’intera Bosnia Erzegovina. Fu un grande costruttore di pace. In moltissimi lo stanno ricordando con grande affetto nei Balcani, in Italia e in tutta Europa. Assieme all’Ambasciata d’Italia in Bosnia Erzegovina OBCT invita tutti coloro che hanno conosciuto Jovan Divjak a condividere in questa pagina un pensiero ed eventuali foto. L’intenzione è lasciare in rete un “Libro degli addii”, per riprendere il titolo di un’antologia del poeta bosniaco-erzegovese Izet Sarajlić (1930-2002), che sia testimonianza delle relazioni europee e con l’Italia che Jovan Divjak è riuscito a tessere. Un ulteriore stimolo a percorre il cammino da lui avviato.

I nostri ricordi

11 aprile 2023

L'incontro con questo grande uomo è stato il più emozionante, all'interno di un bellissimo viaggio organizzato dal Circolo ricreativo dell'Università di Trento in collaborazione con l'Associazione Viaggiare i Balcani, a settembre 2019. 

Prima di partire ci erano stati consigliati alcuni libri per avvicinarci alle realtà che avremmo visitato, e tra questi avevo scelto Sarajevo mon amour. Mi ero subito innamorata di quest'uomo capace di scelte coraggiose, sempre dalla parte dei più deboli, convinto sostenitore del valore della cultura e del dialogo.

Incontrarlo dal vivo, nella sede della sua associazione, è stato bellissimo ma ha lasciato una domanda pesante: nessuno a Sarajevo credeva si sarebbe arrivati a quelle atrocità, fino a poco prima dello scoppio della guerra. A tutt'oggi la situazione non è migliorata, anzi le tensioni sono sempre più forti. Possibile che la convivenza e collaborazione tra popoli sia sempre ostacolata? Sono sicura che l'esercito di ragazzi che hanno studiato grazie a Jovan sapranno sempre difendere i suoi valori, e questa è la sua eredità più grande.

Con Jovan Divjak, novembre 2019 - Monica Paoli

 

 
3 maggio 2021

Legenda čika Jovo... 

"Pa kada se vidimo momak?", rekao je umiljatim glasom čim je podigao slušalicu posljednji put kada smo se čuli... nažalost nismo se vidjeli nakon tog razgovora... 

Bio je definicija istinskog ljudskog bića, čovjek čistog srca i bistre duše, bez trunke zla, bez traga pohlepe... 

Humanitarac, mirotvorac, spasilac, vojnik, general...  

Vidite na položaju na kojem je bio devedesetih godina, mogao je imati šta god da poželi pod uslovom da sluša naredbe nadređenih, ali je ipak odlučio iz tog (tako da ga nazovem) "blagostanja" preći na stranu pravde. Dezertirao je i otišao među raju prihvativši da sa njima dijeli sudbinu, glad, patnju, bol, tugu, jad... jer je znao da je to bio jedini pravi put.  

Bio je general, a za sebe je uvijek govorio da je on samo jedan od vojnika. Nije dozvolio sebi da ga savlada pohlepa, te da uživa dok saborci ginu, ili čak da zarađuje na muci naroda, kao što je nažalost činilo većina činovnika. 

Čak naprotiv, do posljednjeg dana života bio je humanitarac, te je sve što je imao dijelio sa drugima, brinuo se za druge, pomagao drugima, podržavao druge... 

Od rata pa do svojih posljednjih dana na ovom svijetu, život je posvetio pomaganju, izgradnji, odgajanju i obrazovanju mladih. Svakom djetetu je pružao istinsku toplinu, ljubav i pažnju koja im je bila potrebna. Svako dijete se osjećalo kao da ga čika Jovo voli jednako koliko i svoje. 

Uvijek je bio skroman, prizeman i jednostavan čovjek. Bio je prava sarajevska raja. Bez straha i bez telohranitelja je hodio svojim gradom, uvijek sa osmijehom, poštovanjem i strpljenjem razgovarao sa sugrađanima, ispijao kafe sa rajom, dijelio zgode i nezgode sa starim saborcima i jednostavno je živio normalno... 

Uvijek sam uživao razgovarati sa njim i bila mi je čast poznavati ga. Oni petominutni razgovori na ulici u prolazu sa njim su vrijedniji nego godine provodene sa nekim ljudima. 

Veoma mi je žao što naš posljednji dogovoreni sastanak nismo održali, ali nadam se da ću opet dobiti priliku da provedem neko kvalitetno vrijeme sa čika Jovom na nekom boljem svijetu. 

Osmog aprila, 2021. godine prije sahrane, razmišljajući o Jovi i planirajući kako započeti drugi oproštajni tekst, shvatio sam da je čovjeka koji je čak i u ratu govorio kako bi volio da mladi umjesto pušaka u rukama drže knjige, najbolje ispratiti citatima. Sa tim mislima su se kontinuirano isprepletali stihovi pjesme Kemala Montena "Pismo prijatelju", koji glase:
"Ako pitaš gdje sam sada
ne idem iz ovog grada
sve je moje ovdje ostalo“. 

Kada dođe taj momenat da morate posljednji put pozdraviti osobu, shvatite koliko je cijenite, volite i poštujete... 

Na sahrani, dok sam se emotivan opraštao od prijatelja, antifašiste, filantropa, humaniste, spasitelja, mirotvorca, vizionara, filozofa, odgajatelja, pisca, vojnika, generala, a prije svega toga velikog čovjeka, čika Jove, slušajući počasnu salvu, a zatim stihove antifašističke pjesme "Bella Ciao", kroz glavu su mi prolazili stihovi Mehmedalije Maka Dizdara:
"Tako tijelo stade
Na putu kroz tminu
Pade al glas jedan
Zvoni kroz tišinu
Al glas jedan zvoni
Glas što vječno leti
K nebu u visinu
Eže vječno leti". 

Kasnije dok sam sjedio i sastavljao drugi oproštajni tekst, prisjećao sam se citata Leonarda da Vinčija, koji glasi: "Kao što dobro iskorišten dan dariva ugodan san, tako i dobro proživljen život dariva smirenu smrt.". 

Tada sam rekao: "Eh čika Jovo, ti sada odmaraj u voljenoj bosanskoj zemlji koju si branio, čiji si heroj postao, te zauvijek ostao, a zatim putuj veliki čovječe, putuj svojom stazom od gnijezda do zvijezda, putuj ponosno, putuj herojski, te budi časno, svečano i veličanstveno dočekan na ljepšim i većim prostranstvima... " 

U ime svih nas, po ne znam koji put, želim da ti kažem: NEKA TI JE VJEČNA SLAVA I HVALA ZA SVE, DRUŽE JOVO!
"Zemlja je smrtnim sjemenom posijana.
Ali smrt nije kraj
Jer smrti zapravo i nema.
I nema kraja.
Smrću je samo obasjana
Staza uspona od gnijezda do zvijezda."
-Mehmedalija Mak Dizdar 

HEROJ BOSNE, HEROJ SARAJEVA, JOVAN DIVJAK (1937. - 2021.) 

-Vječni prijatelj, Nedim Redžović

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Zio Jovo, un mito…

“Allora giovanotto, quando ci vediamo?”, mi ha chiesto con voce tenera appena ha alzato la cornetta l’ultima volta che ci siamo sentiti… purtroppo, da quella conversazione non ci siamo più visti...

Era un vero essere umano, un uomo dal cuore puro e dall’anima limpida, senza un briciolo di malizia, del tutto estraneo all’avidità.

Impegnato in attività umanitarie, pacifista, salvatore, soldato, generale…

Considerando la carica che occupava negli anni Novanta, poteva avere tutto ciò che desiderava, purché obbedisse agli ordini dei suoi superiori, ma decise di rinunciare a quel “benessere” (per così dire), schierandosi dalla parte giusta. Disertò [dall’esercito jugoslavo] per unirsi alla raja [gente comune], accettando di condividere il suo stesso destino, la fame, la sofferenza, il dolore, la tristezza, la miseria… perché sapeva che quella era l’unica strada giusta da intraprendere.

Era un generale, ma diceva sempre di essere solo un semplice soldato, uno fra tanti. Non si lasciò trascinare dall’avidità, non volle abbandonarsi ai piaceri mentre i suoi commilitoni morivano, né tanto meno volle lucrare sulla sofferenza della gente comune, come purtroppo faceva la maggiore parte degli ufficiali.

Al contrario, fino all’ultimo giorno della sua vita è rimasto dedito all’impegno umanitario, tutto ciò che aveva lo condivideva con gli altri, si prendeva cura degli altri, aiutava gli altri, sosteneva gli altri…

Dall’inizio della guerra fino alla fine dei suoi giorni, ha dedicato la vita ad aiutare gli altri, alla costruzione, all’educazione e all’istruzione dei giovani. A tutti i bambini dimostrava sincero affetto, amore e attenzione di cui avevano bisogno. Ogni bambino sentiva che lo zio Jovo lo amava come se fosse suo figlio.

Era un uomo modesto, con i piedi per terra, semplice. Un vero sarajevese. Passeggiava per la sua città senza paura e senza farsi accompagnare da guardie del corpo; sempre sorridente, rispettoso e paziente parlava con i suoi concittadini, si fermava a bere un caffè con la raja, condivideva con i suoi vecchi commilitoni tutto ciò che gli accadeva, bello o brutto che fosse; semplicemente viveva una vita normale.

Per me è sempre stato un piacere parlare con lui e sono onorato di averlo conosciuto. Quelle conversazioni di cinque minuti in cui ci intrattenevamo così en passant, incontrandoci per strada, valgono più degli anni trascorsi con alcune persone.

Mi dispiace molto che l’ultimo incontro che abbiamo fissato non abbia potuto avere luogo, ma spero di avere un’altra occasione per trascorrere del tempo in compagnia dello zio Jovo, in un mondo migliore.

L’8 aprile 2021, pensando a Jovo e riflettendo su come iniziare un’altra lettera d’addio, mi sono reso conto che il modo migliore di dire addio ad un uomo che persino durante la guerra diceva che gli sarebbe piaciuto che i giovani, invece di un fucile, prendessero in mano un libro, era citare parole altrui. Questi miei pensieri si intrecciavano continuamente con i versi di una canzone di Kemal Monteno intitolata “Lettera ad un amico” che recitano così:

Se chiedi dove sono ora

Non me ne vado da questa città

Tutto ciò che è mio è rimasto qui.

Quando arriva il momento di dare l’ultimo saluto ad una persona, vi rendete conto quanto la stimate, amate e rispettate.

Al funerale, mentre, sommerso da emozioni, mi accomiatavo dall’amico, antifascista, filantropo, umanista, salvatore, pacifista, visionario, filosofo, educatore, scrittore, soldato, generale, ma soprattutto da un grande uomo, lo zio Jovo, ascoltando gli spari di commiato e poi i versi della canzone antifascista “Bella Ciao”, mi sono venuti in mente i versi di una poesia di Mehmedalija Mak Dizdar:

Così il corpo si è fermato

Sulla strada attraverso il buio

È caduto ma una voce

risuona nel silenzio

Ma una voce risuona

Voce che vola perennemente

Verso il cielo in alto

Che vola perennemente

 

Più tardi, mentre stavo seduto a scrivere la seconda lettera d’addio, mi sono ricordato delle parole di Leonardo da Vinci: “Come una giornata ben spesa dà lieto dormire, così una vita ben vissuta dà lieto morire”.

Allora ho detto: “Eh zio Jovo, tu ora riposa nella tua amata terra bosniaca che hai difeso, diventando il suo eroe, e lo rimarrai per sempre, poi viaggia grande uomo, percorri la tua strada dal nido verso le stelle, viaggia orgogliosamente, viaggia eroicamente, e sii accolto in modo dignitoso, solenne e grandioso in una terra più bella e grande”.

A nome di tutti noi, voglio dirti, per l’ennesima volta: A TE SIA GLORIA ETERNA E GRAZIE DI TUTTO, AMICO JOVO!

La terra è cosparsa di semi della morte

Ma la morte non è la fine

Perché la morte in realtà non esiste

Come anche non esiste la fine

La morte non fa che illuminare

La strada che dal nido sale verso le stelle

(Mehmedalija Mak Dizdar)

UN EROE DELLA BOSNIA, UN EROE DI SARAJEVO, JOVAN DIVJAK (1937-2021)

Tuo amico per sempre, Nedim Redžović

foto di Nedim Redžović

 
27 aprile 2021

Dal 2001 l’istituto comprensivo Fabrizio De André di Rho (Milano) ha progettato uno scambio culturale con docenti e alunni di due scuole , "Sedma osnovna skola" di Ilidža e "Deveta osnovna skola" di Rakovica: un anno noi a Sarajevo, un anno loro a Rho… uno scambio durato 10 anni, ma le amicizie nate allora non sono mai finite. Nel 2009 toccava a noi andare a Sarajevo: Birsana, la docente responsabile di Ilidža mi dice: vi organizzo un incontro con un generale, con un eroe, con Jovan Divjak.

Io avevo appena comprato e letto il libro "Sarajevo mon amour" che mi aveva letteralmente fulminato.

Non vi dico l’emozione … un breve incontro nella sede della sua associazione, lui superoccupato ha trovato il tempo per questi ragazzi … per brevi intense parole sulla libertà. Ha scherzato con loro, con noi adulti, in una lingua mista di italiano francese bosniaco: una lingua "mista" come siamo "misti" tutti noi. 

A me è rimasto, tra l’altro, la dedica sul suo libro: "a Liliana, credo che quando leggerete questo libro amerete Sarajevo e la Bosnia Erzegovina come la amo io".

Già l'amavo, la Bosnia, e con me tutti quelli che hanno partecipato a questo progetto e l’incontro con Jovan ha rafforzato questo amore e questa vicinanza. Uomini come Jovan sono faro per chi cerca di rimanere umano e crede nella fratellanza e nella solidarietà.

Jovan Divjak e la classe di Liliana Marchi

Jovan Divjak e la classe di Liliana Marchi

 
26 aprile 2021

Abbiamo incontrato Jovan Divjak diverse volte, la prima nel 2015. L’ associazione OGBiH da lui fondata e diretta aveva da poco compiuto 20 anni. Ci accolse con semplicità, come se fosse la cosa piû naturale del mondo parlare con degli sconosciuti. In quel primo incontro, durante il quale ovviamente si parlò della guerra e dell’assedio di Sarajevo, ad un certo punto disse : « Mais ne parlons pas de la guerre, parlons de l’amour ».

È forse l’aspetto più paradossale di Jovan Divjak : il suo profondo amore per Sarajevo, per la Bosnia, per la sua gente, la quale ricorderà sempre quella straordinaria umanità, mostrata e vissuta da un ex generale, un militare di professione, uno che ha fatto la guerra ma che detesta la guerra dal profondo e dona tutto se stesso a coloro che le cicatrici della guerra le porteranno per sempre : ai figli dei caduti, affinchè possano studiare e contribuire ad un futuro migliore, per se stessi e per la Bosnia-Erzegovina.

In occorrenza del 25mo dell’associazione OGBiH avemmo l’onore di essere invitati ai festeggiamenti. Jovan Divjak venne di persona ad accoglierci all’aeroporto di Sarajevo, pur non essendo noi ospiti di particolare riguardo: Ma ciò non contava per lui. Abbiamo passato in quell’occasione ore indimenticabili a contatto con la sua umanità ed in presenza di tantissimi amici dell’associazione venuti da ogni parte d’Europa.

Ora che non c’è più comprendiamo che ai grandi basta poco per lasciare un’impressione profonda. Essa ci lega a tutti coloro che grazie a lui abbiamo conosciuto, con i quali intendiamo impegnarci anche in futuro per la Bosnia-Erzegovina. Sappiamo che ne sarebbe stato felice.

Rocco e Sabine Lioy con Jovan Diviak 2015

Rocco e Sabine Lioy con Jovan Diviak 2015

 
23 aprile 2021

I met zio Jovo last year, a week before the world “closed” for Coronavirus. I was in Sarajevo to collect materials for my History Thesis about the Jugoslav wars.  He was very gentle and clear in answering all my “technical” questions, but what I will remember forever was his straight, transparent and honest minded attitude related to the most important task of life: education, freedom, justice. All his life showed the world that freedom is not a flag, but a moral attitude.Thanks for showing all of us what humanity is.

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Ho conosciuto zio Jovo l'anno scorso, una settimana prima che il mondo “chiudesse” per Coronavirus. Ero a Sarajevo per raccogliere materiale per la mia tesi di storia sulle guerre jugoslave.
È stato molto gentile e chiaro nel rispondere a tutte le mie domande "tecniche", ma quello che ricorderò per sempre è il suo atteggiamento schietto, trasparente e onesto relativo ai compiti più importanti della vita: istruzione, libertà, giustizia.
Tutta la sua vita ha mostrato al mondo che la libertà non è una bandiera, ma un atteggiamento morale.
Grazie di aver mostrato a tutti noi che cos'è l'umanità.

 

Silvia Bacigalupo e Jovan Divjak

Silvia Bacigalupo e Jovan Divjak

 
22 aprile 2021

Dzemat Islamske Zajednice Bosnjaka u Svajcarskoj, Cirih, 13.11.2019

Dzemat Islamske Zajednice Bosnjaka u Svajcarskoj, Cirih, 13.11.2019

 

 
22 aprile 2021

Quando incontri una persona davvero speciale, lo senti subito, lo senti addosso, ti travolge dentro. Non capita spesso e quando ci capita siamo fortunati.Quello che racconto non fa parte della "Storia ufficiale" del Generale Jovan Divjak ma parla di quanti momenti incredibili ho vissuto con lui. Il Generale mi ha travolto anche fisicamente, trascinandomi di corsa per attraversare la Titova in mezzo alle auto che correvano nel centro di Sarajevo, come ragazzini incauti ridendo da matti. Sapete perché? Gli avevo spiegato che soffro di pressione alta. Sembra incredibile ma Divjak, come lo conoscevi, diventava uno di famiglia, e dato che anche lui aveva lo stesso problema, improvvisamente si alzò dal tavolo della birreria e mi trascinò a misurare la pressione di ambedue, nella farmacia dall'altro lato della strada. A ricordarlo sembra un sogno. Era invulnerabile come Superman, in mezzo alle auto in corsa. Entrando in farmacia, si fermarono anche gli orologi, come accadeva continuamente a Sarajevo appena il Generale compariva da qualche parte.Iniziò subito a scherzare nel suo modo coinvolgente, con le farmaciste, ma potevano essere bariste o cameriere, e fortunatamente la pressione andava bene a ambedue. A proposito, la cameriera della birreria cadde nello scherzo del Generale in pieno. Arrivò con quanto avevamo ordinato sul vassoio, con aria emozionata e deferente, lei che probabilmente era una bambina durante la guerra ma sapeva che aveva di fronte una leggenda, e il Generale la guardò con aria sbalordita, accigliato, chiedendole chi avesse ordinato quella roba. La poveretta sbiancò pensando di aver sbagliato tutto l'ordine ma la risata seguente del Generale svelò la celia di Divjak e tutti risero. Passare del tempo con il Generale Divjak, Zio Jovo, mi ha portato a riscoprire due verbi che forse non avevo mai usato prima: celiare e ruzzare. Azzeccati in pieno per descrivere l'animo formidabile con il quale Divjak coinvolgeva chiunque sin dal primo incontro. Era sempre una festa.Arrivò a Firenze, dove lo avevo invitato, per ricordare degnamente il genocidio di Srebrenica, il 24 giugno del 2015, vent'anni dopo. Arrivò in macchina direttamente da Sarajevo, con un giovane amico, passando tutti i confini, interni non scritti e esterni della ex Jugoslavia. Era il 24 giugno, San Giovanni, quando a Firenze si festeggia il patrono con fuochi d'artificio spettacolari. Il generale si tuffò nella grande folla "pe' fochi" come un bambino scatenato e noi dietro a cercare di non perderlo. Dopo i "fochi" volle andare a giro in centro, tra piazza Signoria, Duomo e Ponte Vecchio. Quasi di corsa, entrava in tutti i negozi, si infilava nei gruppi di turisti per farsi fotografare nei loro selfie, tra gli sguardi sbalorditi di chi si chiedeva chi fosse quel signore matto. Come un bambino con il suo sorriso furbo...In quei giorni camminavo a un metro da terra per l'effetto che mi faceva la vicinanza con il Generale. Ero più distratto del solito e accadde una cosa mai capitata prima, né dopo. Per fortuna.Al mattino seguente c'era il primo incontro pubblico su Srebrenica e io andai a prendere Divjak all'albergo. Arrivando, lo trovai con il suo accompagnatore del quale purtroppo non ricordo il nome e mi avvidi che stavano ridendo. Mi accorsi allora che stavo indossando un paio di pantaloni che erano completamente sbranati sul di dietro! Praticamente visto da dietro ero in mutande. Le risate si sentivano da chilometri...Come era potuto accadere? Non era uno strappo, si era sbranato tutto il dietro!Ora come facevo? Eravamo già in ritardo. Sarei dovuto tornare a casa, distante. Allora ecco che il giovane amico che accompagnava Divjak mi condusse nella sua camera dove mi offrì un paio di suoi pantaloni. Il tutto accompagnato da risate di tutti eccetto il sottoscritto, potete immaginare...La misura era esattamente la mia. Avevamo la stessa taglia, io e il nostro amico. Era fatta, avevamo risolto... Incredibile. Resta ancora un mistero come io non possa essermi accorto di aver indossato pantaloni sbranati e come questi si fossero sbranati. Divjak aveva capito che gli eventi per Srebrenica, venti anni dopo, a Firenze, li avessi organizzati praticamente quasi da solo. con pochissimi fedeli amici. Del resto a Firenze è raro anche che si sappia dove si trova la Bosnia Erzegovina. Questo mio appassionato lavoro aveva la sua simpatia e gratitudine e la nostra amicizia era consolidata. Ero entrato a far parte del mondo dei suoi amici, un vero mondo per numero e qualità e lui ricordava ognuno in modo speciale. Lo si capiva bene. Erano tantissimi, oltre all'intera città di Sarajevo, ma erano ognuno un amico personale. Lui, sono certo che ricordasse tutto di tutti.Poi andai a trovarlo a Sarajevo. Grazie al fedele amico Vedran, avevo sempre sue notizie e lui chiedeva di me. Vedran e Divjak sono i "PDV" di Sarajevo... PDV è la sigla che da noi e IVA. In Bosnia Erzegovina l'IVA - PDV è al 15%. Vedran e Divjak facevano parte del 15% di cittadini originari di Sarajevo, rimasti dopo la guerra. Conoscere loro vuol dire conoscere la Sarajevo vera, quella degli anni 70 e 80, quella delle Olimpiadi invernali del 1984, quella che fu scelta perché "Altre città hanno ottimi comitati olimpici ma a Sarajevo sarà tutta la città a organizzare i giochi". Il sogno infranto ma magico che leggi negli occhi dei PDV e del Generale, che cambiò le sorti della guerra fino a impedire all'aggressore di conquistare la capitale. "Loro" ancora si chiedono come sia stato impossibile.Avevamo fissato in un bar del centro. Portai con me una giovane madre con i suoi tre figlioletti, da Kalesija (chi conosce la Bosnia sa che si trova in un angolo disgraziato di una nazione disgraziata). Mi occupavo da quasi venti anni di quella famiglia e nel mio piccolo facevo qualcosa anche io di simile alla attività della associazione fondata da Divjak. Ci vedemmo in centro e lui subito si interessò dei bimbi. In seguito ci vedemmo in sede e sul terrazzo vista Sarajevo che era troppo bello. Sapete che la sede della associazione del Generale si trova a un passo dal confine invisibile con la Serbo-Bosnia? Su una delle colline dalle quali si bombardava Sarajevo. Ci raccontammo delle nostre malattie e ci consolammo con tazze di tea. Grazie Generale. Grazie a lei siamo migliori. Di lei si racconterà per generazioni. La Storia le deve molto.

Jovan Divjak e Claudio Gherardini

Jovan Divjak e Claudio Gherardini

 
21 aprile 2021

Andare in giro con lui per il centro di Sarajevo era un’impresa quasi impossibile: Jovan Divjak non riusciva a fare venti passi che subito si avvicinava qualcuno, lo salutava, lo abbracciava, e spesso, praticamente sempre, lo ringraziava. Ho visto più di un sarajevese portarsi la mano al cuore al solo sentire il suo nome. Una volta addirittura mi capitò in treno da Mostar a Sarajevo, quando una signora seduta di fronte a me vide che tenevo in mano il suo libro «Sarajevo mon amour».Čika Jovo era davvero l’uomo più amato di Sarajevo, e credo che lo resterà per molti, moltissimi anni a venire. Un amore autentico e granitico, temprato da quella prova terribile che la città fu chiamata dalla Storia ad affrontare ormai quasi trent’anni fa.  

Divjak e la sua città d’adozione hanno attraversato insieme l'inferno, e non credo di esagerare dicendo che ne sono usciti in larga parte per merito suo e del suo eroismo.

Perché Jovan Divjak è stato davvero un eroe dei tempi moderni. Una di quelle rare persone che sono disposte non solo a morire, ma anche e soprattutto a vivere per la loro patria.

Non a caso dopo la guerra (anzi, a guerra ancora in corso) aveva fondato la sua associazione Obrazovanje Gradi BiH. Nel tormentato dopoguerra della Bosnia (quello che a volte, ahimé, sembra non aver mai fine) i ragazzi a cui Divjak ha salvato la vita, fornendo loro concreta possibilità di una esistenza migliore, sono forse di più dei cittadini a cui salvò la vita durante l’assedio.  Niente secondo me fa guardare con speranza al futuro della Bosnia più del sentire quegli ex-bambini, ora giovani adulti, che dicono: «da grande voglio essere come lui». 

Ho scoperto solo dopo che non amava essere chiamato Generale (i Generali sono tutti a L’Aja, diceva) e sulle prime ne rimasi sorpresa. Io l’avevo sempre chiamato cosi e non mi sembrava che gli dispiacesse. Poi ho capito: ogni qual volta una donna, di qualsiasi età o nazionalità, dimostrava ammirazione nei suoi confronti, in lui tornava a far capolino quella sorta di indulgente compiacimento da rubacuori balcanico. La galanteria non mancava di certo, in Jovan. Cosi come non mancava quell’incredibile, sferzante sense of humor, che superava il già notoriamente spiazzante umorismo balcanico. Ho sempre pensato che questa fosse una parte costitutiva della sua tempra, e che gli ha permesso di superare i tanti momenti dolorosi in cui è stato chiamato ogni minuto a rendere conto della giustezza delle proprie scelte.

Personalmente, non credo che potrò mai ringraziare Jovan Divjak abbastanza. Alcune delle decisioni importanti della mia vita le devo a lui e a tutto quello che, direttamente o indirettamente, mi ha insegnato. L’unica cosa che posso dire, oltre al fatto che che mi mancherà immensamente, è che proprio come i ragazzi della sua OGBH,  io da grande vorrei essere come lui. Zbogom, Generale! 

Jovan Divjak fotografato da Sara Anderlini sulle colline di Sarajevo nel 2009

Jovan Divjak fotografato da Sara Anderlini sulle colline di Sarajevo nel 2009

 
21 aprile 2021

Prima al cinema del film Ti ricordi di Sarajevo , cinema Meeting Point  / Maggio, 2002.

Dragan Vikic, Jovan Divjak e gli autori del film  i fratelli Sead e Nihad Kresevljakovic e Nedim Alikadic

Dragan Vikic, Jovan Divjak e gli autori del film  i fratelli Sead e Nihad Kresevljakovic e Nedim Alikadic

 

 
21 aprile 2021

Ho vissuto per due anni a Vraca, sopra Grbavica, nella stessa strada dove c’era la sede dell’associazione di Divjak. Andava in ufficio a piedi, l’affetto con cui i sarajevesi lo salutavano, quando passava, bastava a spiegare tutto. Il fatto di essere serbo, e di aver difeso la città dai nazionalisti serbi, era la cosa che più impressionava i giornalisti stranieri. Certo, c’era anche questo. Ma Divjak non era stato il solo a fare questa scelta. E con il tempo, la cosa che più colpiva era la sua libertà di pensiero, la disponibilità a parlare di tutto senza reticenze, fedele alla sua visione del mondo. Una visione del mondo molto chiara, in cui il valore più importante era la difesa dei più deboli. Un giorno gli avevo chiesto come avessero fatto a difendere per 4 anni la città da un esercito così potente. Noi avevamo la superiorità morale, mi aveva spiegato. Spero che la sua associazione continui, è l'eredità che lascia in dono a Sarajevo, e non solo.

 

Dall'archivio di OBCT

Sarajevo, 1997. Viaggio di poeti, scrittori e giornalisti italiani organizzato dal fondo Moravia con Jovan Divjak - foto © Mario Boccia
Mario Boccia
14 aprile 2021

Si è tenuto ieri a Sarajevo il funerale di Jovan Divjak. Se non ci fosse stato il Covid-19, sarebbe stato un moltiplicarsi di abbracci. Un ricordo

Azra Nuhefendić a Sarajevo in compagnia di Jovan Divjak (foto di Luigi Ottani)
Azra Nuhefendić
9 aprile 2021

Rispetto, affetto e cordoglio, per ricordare Jovan Divjak morto l'8 aprile a 84 anni. Un uomo che, per la sua scelta di difendere Sarajevo durante l'assedio, è diventato simbolo della resistenza alla distruzione della Bosnia Erzegovina multietnica

Jovan Divjak (Leontom16, Public domain, via Wikimedia Commons)
Eric Gobetti
9 aprile 2021

Ieri 8 aprile è venuto a mancare Jovan Divjak. Con il suo operato e il suo carisma ha stretto forti relazioni con l'Italia. Ora sono in molti a ricordarlo con emozione

Jovan Divjak (Foto A. Rossini)
Andrea Oskari Rossini
6 settembre 2013

Uno dei comandanti della difesa di Sarajevo da anni guida un'associazione che difende il diritto dei bambini all'istruzione. Il ricordo degli anni '90, la Bosnia oggi: colloquio con Jovan Divjak