Politica

Per una Serbia delle regioni

25/10/2001 -  Anonymous User

Dalla Sumadija, regione della Serbia centrale, un documento programmatico a favore della regionalizzazione del Paese. Ed intanto ancora caldo il clima politico in Vojvodina.

Federazione Jugoslava: nuova proposta di legge sulle forze armate

24/10/2001 -  Anonymous User

E' stata approvata dal governo federale una nuova proposta di legge sulle forze armate. Scarsa la voce in capitolo della società civile.

L'OSCE: nelle scorse elezioni politiche in Albania vi furono pesanti irregolarità

23/10/2001 -  Anonymous User

L'ODHIR, istituzione dell'OSCE che si occupa di democratizzazione e diritti umani, ha presentato la relazione conclusiva sulle elezioni politiche in Albania dello scorso 24 giugno.

Croazia: scandalo nel Sabor

23/10/2001 -  Anonymous User

Anto Kovacevic, dell'HKDU, ha pesantemente insultato in Parlamento la Presidente dell'HNS Vesna Pusic. Dure le reazioni di partiti e società civile.

Il Primo Ministro della RS Ivanic: non firmerò per l'ammissione della BiH nel Consiglio d'Europa

22/10/2001 -  Anonymous User

Il Primo Ministro Mladen Ivanic ha dichiarato davanti al Parlamento della Republika Srpska che si rifiuterà di sottoscrivere il documento dove l'ammissione della BiH viene condizionata all'accordo tra Federazione e RS per la creazione di un'unica forza armata per l'intera Bosnia-Erzegovina.
"Sostengo l'ammissione della Bosnia - Erzegovina - ha dichiarato - ma senza condizionamento di sorta".

Secondo Ivanic la richiesta di costituire un unico esercito va contro gli Accordi di Dayton e contro la stessa Costituzione della Bosnia-Erzegovina. Il Consiglio d'Europa, a detta di Ivanic, avrebbe posto anche altre condizioni: l'approvazione, entro due anni, da parte delle due entità di nuove leggi sulle migrazioni, sulla cittadinanza e sulla procedura penale.
Soprattutto le ultime due incontrano l'opposizione del primo ministro della RS. Rifiuta infatti la costituzione di un registro centrale per i documenti personali che coprirebbe l'intera Bosnia -Erzegovina. "La Republika Srpska deve mantenere un proprio registro ed anche le carte d'identità, pur uguali per RS e Federazione, devono riportare ciascuna il nome dell'Entità dove è stata rilasciata". Per poi aggiungere che " la Bosnia-Erzegovina ha un futuro solo se si agisce rispettando la Costituzione e se le due Entità dalle quali è costituita goderanno degli stessi diritti". Ha inoltre accusato l'Alleanza per il Cambiamento, che ha la maggioranza dei seggi in Federazione, di proporre una visione "idealistica" della BiH ed ha accusato parte della Comunità Internazionale di sbagliare sostenendo quella visione.
Ivanic non ha rinnegato l'appoggio dato in passato all'Alleanza per il Cambiamento pur ribadendo che "non vi è mai stato grande amore tra di noi. Abbiamo dato il nostro sostegno solo poiché dall'altra parte vi erano SDA ed HDZ" (Srna, 10.10).

Stanno venendo dunque al pettine alcune ambiguità presenti negli stessi Accordi di Dayton dove da una parte si sostiene l'idea di una Bosnia-Erzegovina unitaria dall'altra, scendendo a forti compromessi con le élites nazionaliste, si è prevista l'esistenza di due Entità, esistenza che mette da sempre in dubbio l'integrità territoriale del Paese. La Comunità Internazionale sta cercando, con difficoltà, di far emergere una BiH unitaria, spingendo le due entità a stringere il prima possibile, legami rilevanti.

Il Kosovo si prepara alle elezioni

18/10/2001 -  Luka Zanoni

Tra mille polemiche, rifiuti di partecipare alle elezioni e scontri tra le diverse fazioni politiche in campo, tra un mese circa il Kosovo affronterà la prima tornata elettorale parlamentare del dopo guerra. Le elezioni sono state fissate per il 17 di novembre e da queste verrà eletto un parlamento con 120 rappresentanti, dei quali, dieci spetteranno di diritto alla minoranza serba ed altri dieci alle altre minoranze che compongono la regione. Per i 120 posti nel futuro parlamento si calcolano 26 tra partiti, associazioni e coalizioni>. Il futuro del Kosovo rimane comunque nelle mani dell'amministrazione internazionale e nella fattispecie nelle mani di Hans Haekkerup.

I serbi kosovari alle elezioni

Una massiccia campagna di informazione riguardante la registrazione dei cittadini di nazionalità serba era iniziata questa estate, dopo che i politici di Belgrado si sono accordati con i rappresentati della comunità internazionale. Numerosi ed enormi cartelloni pubblicitari comparivano nelle vie di Belgrado, così come sull'intera facciata delle pagine centrali dei quotidiani. Una cartina del Kosovo ed in sovrimpressione una mano con l'indice puntato, in alto una scritta riportava: "pokazi sta je tvoj, da vidimo koliko nas ima" (mostra ciò che è tuo, per dimostrare quanti siamo).
Cosicché la registrazione dei serbi del Kosovo, dopo le incertezze iniziali e dopo gli inviti di Kostunica e la stessa registrazione del Patriarca Pavle, ha richiamato un largo numero di cittadini. In totale si parla di 178.296 serbi ufficialmente registrati (dato pubblicato dal quotidiano Danas, 6-7 ottobre 2001) riuniti nell'unica coalizione di partiti serbi dell'Iniziativa civile "Povratak" (il ritorno), che ancora non ha fornito la lista dei candidati (il termine di presentazione è stato prorogato al 25 ottobre). Secondo quanto affermato da Nebojsa Covic, presidente del Centro di coordinamento per il Kosovo e Metohija, "È stato dimostrato che i serbi presenti in Kosovo sono circa il 15% della popolazione e non il 3,5% come qualcuno voleva insinuare, ma addirittura se si fossero registrati tutti quanti i serbi presenti - aggiunge Covic - si sarebbe raggiunto almeno il 18,5% della popolazione complessiva" (Danas, 8-10-2001).
Tuttavia la partecipazione della componente serba alle prossime elezioni è ancora oggetto di dibattito. La seduta della presidenza della DOS fissata per martedì 16 ottobre è stata fatta slittare al martedì successivo (cfr. Beta, B92, 16-10-2001), pertanto l'effettiva partecipazione alle elezioni da parte della componente serba, rimane per il momento in sospeso. Le indecisioni legate alla partecipazione alle urne sono un tasto ancora delicato che divide i partiti politici sia in Serbia che in Kosovo. Esiste infatti una corrente dei serbi kosovari, guidata da Rada Trajkovic, rappresentate del Kosovo centrale e vice presidentessa del Partito Democristiano, che propende per un dialogo aperto con l'amministrazione internazionale e con gli albanesi. Mentre esiste una corrente, guidata da Marko Jaksic, rappresentate del Kosovo settentrionale (Kosovska Mitrovica) e vice presidente del DSS (partito di Kostunica), che è più incline a non presentarsi alle elezioni del prossimo novembre, con la motivazione che andando alle elezioni si legittimerebbe il potere degli albanesi e si perderebbe definitivamente il Kosovo, anche se la risoluzione 1244 dell'ONU di fatto non prevede l'indipendenza della regione.
In un interessante dibattito tra i due pubblicato dal settimanale Danas Vikend (6-7 ottobre 2001) si leggono bene i differenti punti di vista. Da un alto, la Trajkovic teme che la non presenza alle urne possa di fatto comportare la separazione del Kosovo, abbandonando quindi le enclavi serbe del Kosovo centrale al proprio destino, ossia sganciate dal nord della regione, e lasciate senza rappresentanza in parlamento perché appunto non riconosciuto. Dall'altro, il non riconoscimento del prossimo assetto politico-parlamentare del Kosovo è sostenuto da Jaksic, che preferirebbe non presentarsi alle elezioni per non, come più volte ha affermato, consegnare il paese agli albanesi. Perché di fatto ci sarà un presidente albanese e l'esecutivo sarà formato da una maggioranza o quasi di albanesi.
Ma aldilà di queste ultime sottolineature che hanno il netto sapore del nazionalismo, l'effettività del non riconoscimento del nuovo parlamento potrebbe veramente condurre, e non solo in termini politici, alla spaccatura del paese in due entità: l'una con un parlamento dove i serbi non sono rappresentati e dove ciononostante vi abitano, e l'altra che farebbe capo al governo centrale, o forse sarebbe meglio dire della Serbia.
L'ipotesi delle due entità è stata sostenuta recentemente proprio da Marko Jaksic, il quale considera che i serbi del Kosovo settentrionale hanno un proprio piano che abbraccia l'ipotesi delle due entità al posto di una ipotetica cantonalizzazione. Quest'ultima è stata invece avanzata da Momcilo Trajkovic, presidente del Comitato federale per il Kosovo e leader del Movimento di resistenza serbo (SPOT). In un documento dove si presenta la cantonalizzazione della regione, e che è stato presentato alla presidenza della DOS, si specifica che il Kosovo potrebbe essere diviso in cinque regioni, ovvero: centrale, settentrionale, la regione della Morava, della Sar Planina e della Metohija. Secondo Trajkovic questo programma non è per nulla un'artificiale multietnicità, né un parallelismo, ma bensì la coesistenza e la possibilità offerta alla comunità internazionale, così come ai serbi del Kosovo e agli albanesi e allo stato, per fermare le persecuzioni dei serbi e della popolazione non albanese (Danas Vikend, 6-7 ottobre 2001).

Cosa dice la comunità internazionale

Quest'ultima nelle espressioni di alcuni dei suoi rappresentati, quali Owen Masters, capo della missione osservatrice del Consiglio europeo per le elezioni in Kosovo, oppure l'ambasciatore americano in FRJ, William Montgomery, continua a rassicurare i vari partiti politici che il Kosovo rimarrà parte della Federazione di Jugoslavia così come sancito dalla risoluzione dell'ONU. In particolare l'ambasciatore americano durante un'intervista per il primo programma di Radio Beograd ha insistito sulla partecipazione dei serbi alle elezioni, dichiarando che "i serbi del Kosovo devono votare nel maggior numero possibile, in modo di assicurare ai propri rappresenti di avere ancora a disposizione tutte le possibilità politiche". Riguardo la situazione in Kosovo Montgomery ha ribadito che "gli estremisti di entrambe le parti impediscono completamente ogni sforzo nella creazione di una società multietnica, per questo credo che sia necessario moltiplicare gli sforzi per combattere gli estremismi". Montgomery ha infine aggiunto che i serbi "commetteranno un grosso errore se diranno che non voteranno a causa della mancanza di condizioni", necessarie alla loro presenza alle urne (Danas, 15-10-2001).
Anche il capo missione dell'unione Europea per le elezioni in Kosovo, Owen Masters, ha dichiarato in un'intervista al quotidiano Politika che i serbi non avranno nulla da perdere dalle elezioni, anzi avranno solo da guadagnare e che l'indipendenza voluta e sostenuta dai partiti albanesi fa solo parte di una propaganda preeletorale, dal momento che non avrebbero così tanti voti se non si dichiarassero per l'indipendenza del Kosovo, ma ciò è contrario alla risoluzione 1244. Masters dichiara di comprendere pienamente la difficile situazione dei serbi del Kosovo, "capisco la loro preoccupazione. Già dal luglio 1999 visito le comunità serbe del Kosovo e so in quali pericoli si imbattono. Benché riconosciamo che la loro vita non sia sicura, crediamo che sia molto importante la loro partecipazione alle elezioni e i luoghi delle elezioni saranno organizzati in modo che la loro partecipazione (o la loro votazione tramite posta) saranno completamente al sicuro. Ai serbi sono stati garantiti dieci posti nel futuro parlamento e in caso in cui tutti i 175.000 serbi registrati andranno alle elezioni, potranno ottenere altri quindici e forse altri venti posti in questo parlamento" (Politika, 15-10-2001).

I cittadini di altre nazionalità (ovvero non serbi e non albanesi)

Come è noto in Kosovo sono presenti altre minoranze che non sono né serbe né albanesi, si tratta in maggiornaza di Bosgnacchi, Turchi, Gorani, Rom e Askalija. I Bosgnacchi si sono dichiarati in due partititi, che sono rappresentati da Hilmija Kadic e Numan Balic, mentre in un solo partito si sono raggruppati i Turchi, i Rom e gli Askalija. Le differenze di vedute sono presenti anche in questi piccoli partiti. Infatti non dello stesso parere sono i due partiti bosgnacchi, l'"Azione democratica dei bosgnacchi del Kosovo", guidata da Numan Balic che propende per l'indipendenza della regione e il "Partito dei Bosgnacchi", di Hilmija Kadic, che invece è in disaccordo con la linea politica di Balic e l'indipendenza del Kosovo. Questo è infatti uno dei motivi per cui i bosgnacchi non si sono presentati insieme in un'unica coalizione. Il partito di Kadic insiste sul ritorno dei bosgnacchi che sono stati scacciati e sulla ricostruzione delle loro abitazioni. Kadic si impegna inoltre per una formazione scolastica esclusivamente nella lingua madre. Sebbene i turchi abbiano dichiarato il loro partito alle elezioni sotto il nome di "Partito democratico dei turchi kosovari", sembra che tuttavia siano propensi a boicottare le elezioni (cfr. Politika, 16-10-2001).

La struttura politica del Kosovo dopo il 17 novembre

Dopo il 17 novembre il Kosovo, come sancito dalla Cornice costituzionale per l'autogoverno provvisorio del Kosovo, avrà un parlamento, un presidente, un premier e nove ministeri. I nove ministeri saranno: il Ministero dell'economia e delle finanze, il Ministero del commercio e dell'industria, della cultura, della gioventù e dello sport, il Ministero dell'educazione, della scienza e della tecnologia, il Ministero del lavoro e della protezione sociale, il Ministero della sanità, della difesa dell'ambiente e della pianificazione territoriale, il Ministero dei trasporti e delle comunicazioni, il Ministero degli affari pubblici, il Ministero dell'agricoltura, delle foreste e dello sviluppo rurale. Come si può notare da questo elenco, rimangono fuori da questi ministeri, ovvero rimangono di gestione dell'UNMIK, l'ordine e la legge, la politica estera e la difesa. Tuttora il Kosovo è amministrato dall'UNMIK e dal suo capo missione Hans Haekkerup, e fino al 3 ottobre, data di inizio della campagna preelettorale, esisteva il Consiglio di Transizione del Kosovo e il Consiglio di Amministrazione di cui facevano parte i rappresentanti serbi e albanesi. Ma questi organi voluti dalla comunità internazionale e dove vi partecipano i rappresentati delle varie comunità che compongono il Kosovo, non sembra che finora abbiano prodotto nulla di più di liti interne, utilizzando quindi le riunioni settimanali per esporre le personali frustrazioni (AIM, 9 -10-2001, la versione in italiano è disponibile sul sito di Notizie Est). Attualmente vi sono 20 dipartimenti che regolano le attività amministrative della regione, ma dopo le elezioni verranno ridotti ai soli nove ministeri summenzionati. Gli ufficiali della missione Onu in Kosovo hanno motivato questa riduzione dicendo che serve a razionalizzare i ministeri. Mentre le funzioni dei nuovi organi così come i loro limiti e le loro competenze sono stati decisi dal capo missione dell'ONU, Haekkerup, nell'ultimo Decreto.

Il vero vincitore delle elezioni: Hans Haekkerup

Come commenta, Rahman Pacarizi, per l'AIM di Pristina>, "non è difficile concludere che il vincitore delle elezioni sarà Hans Haekkerup, mentre i partiti che avranno il maggior numero di voti rimarranno in effetti 'partner' dell'ampia coalizione di governo, con Haekkerup che manterrà la chiave amministrativa: la difesa e l'ordine, la giustizia e la politica estera. Nelle sue competenze rimarranno anche la politica fiscale, la riscossione delle imposte e la nomina dei giudici e dei magistrati" (AIM, cit.).
In sostanza il capo della missione civile in Kosovo potrà: annullare qualsiasi decisione che non sia in accordo con i documenti approvati, risolvere la crisi parlamentare sciogliendo il parlamento, destituire il presidente del Kosovo o il suo premier. "Per fare un semplice confronto, - sottolinea il giornalista di AIM - l'autorità dell'amministratore del Kosovo può essere commisurata come minimo ai due terzi del parlamento del Kosovo che sono necessari per eleggere coloro che sono incaricati delle funzioni di cui sopra. Di conseguenza, l'amministrazione internazionale del Kosovo, con queste elezioni e con la creazione di organi centrali del potere, si spoglierà in una certa misura della responsabilità di alcune funzioni esecutive che non sono poi molto importanti per una decisione politica dei cittadini del Kosovo riguardo allo status finale di quest'ultimo" (AIM, cit.).
Da notare è inoltre che "nell'ambito delle strutture di governo funzioneranno anche alcune cosiddette agenzie esecutive, come l'Autorità per l'emissione di decreti nel campo della farmaceutica, l'Ufficio per la statistica, l'Ente del catasto, nonché tutta una serie di altre agenzie simili, che verranno create ex novo e saranno dirette da rappresentanti internazionali" (AIM, cit.).
Ci si renderà conto quindi che il Kosovo lungi dal godere di una situazione chiara e definita, rimane, come ben si evince dalle pressioni della comunità internazionale sui kosovari serbi, ma soprattutto dal potere effettivo nelle mani della stessa, un grande protettorato internazionale con la parvenza di un assetto parlamentare democratico sul quale è immaginabile che verranno scaricate le difficoltà concernenti la convivenza multietnica e l'implementazione di una pace che, ad oltre due anni dalla guerra umanitaria, ancora sembra un miraggio.

Vedi anche:

UNMIK

Notizie Est

ICS Italia

AIM Pristina

Il Presidente dell'Assemblea della Vojvodina: Belgrado si comporta ancora da padrone

17/10/2001 -  Anonymous User

Non appena è venuto a conoscenza della decisione della rete nazionale televisiva pubblica RTS in merito ai direttori della filiale di Novi Sad il Presidente dell'Assemblea della Vojvodina, Nenad Canak, si è recato presso gli studi della Radio Televisione della Vojvodina ed ha platealmente strappato dall'entrata la targa della rete nazionale. Calpestandola ha poi dichiarato che non avrebbe permesso più a Belgrado di calpestare i diritti della Vojvodina.
Su suoi ordini il logo della RTS è stato rimosso da entrambe le reti televisive di Novi Sad. Nenad Canak nello specifico contesta che i direttori editoriali della televisione vengano ancora nominati dall'ufficio centrale della RTS a Belgrado e non dall'Assemblea regionale della Vojvodina. Dopo il cambio di governo, che ha portato alla presidenza della Federazione Kostunica, ci si aspettava infatti che l'autonomia della sede locale di Novi Sad della RTS venisse ristabilita ma invece, secondo le dichiarazioni di Canak "Belgrado si comporta ancora da padrone". I diritti che originalmente spettavano all'Assemblea della Vojvodina, fondatrice della NS TV (Radiotelevisione della Vojvodina), erano stati trasferiti all'Assemblea della Serbia quanto la rete locale era stata integrata nella RTS (rete nazionale). Canak ha di fatto dichiarato che la NS TV non farà più parte della RTS e che sarà compito dell'Assemblea della Vojvodina discutere e decidere sul futuro dell'emittente.
Le reazioni a questa dura presa di posizione, che si inserisce in un ampio dibattito in merito all'autonomia, se non indipendenza, di questa relativamente benestante provincia della Serbia, non si sono fatte attendere.
Zoran Zivkovic, uno tra i leader della coalizione DOS, ha affermato di aver trovato strano che la reazione così significativa di Canak avvenga adesso e non quando è stato nominato il consiglio d'amministrazione della RTS. "Avessero scelto il candidato sostenuto da Canak, ha aggiunto, certamente tutto questo non sarebbe accaduto". Si è poi soffermato sulla questione dell'autonomia della Vojvodina: "La Vojvodina ha pieno diritto nella propria autonomia, cosa che tra l'altro è anche prevista dalla Costituzione. Certo è che questo tipo di comportamento rischia di compromettere e render più difficoltoso il cammino verso l'autonomia sulla quale, in generale, siamo tutti d'accordo" (Glas Javnosti, 11.10).E' meno moderata invece la posizione del Partito Democratico della Serbia (DSS) guidato da Vojislav Kostunica. Secondo il Presidente Federale, Canak si sta comportando come se tentasse i primi passi verso un colpo di Sato. La medesima opinione è ribadita in un comunicato da parte del DSS fatto in seguito alla "rumorosa" entrata di Canak nella sede dell'NS TV ed alle minaccie da parte dello stesso di portare parte della compagnia petrolifera nazionale sotto il diretto controllo dell'amministrazione provinciale della Vojvodina.( B92, 10.10).

Kossovo: i serbi per ora non andranno a votare

17/10/2001 -  Anonymous User

La campagna elettorale per le elezioni generali del 17 novembre è definitivamente iniziata senza però che alcun partito o coalizione che rappresenta la comunità serba abbia ad oggi confermato la propria partecipazione. Questo anche dopo l'inaspettata registrazione per votare di 178,000 serbo-kossovari, avvenimento che aveva fatto ben sperare. Dopo l'insuccesso della Comunità Internazionale nel convincere la componente serba della popolazione a prendere parte alle ultime amministrative molti temevano che il totale fallimento si sarebbe infatti ripetuto. Per ora non è ancora così e la situazione permane statica e nessuno conferma in modo definitivo la propria partecipazione.
Nebojsa Covic, a capo dell'apposita commissione creata dalle autorità serbe per gestire la "questione Kossovo", si è recato questa settimana in Italia dove è stato esortato ancora una volta a fare in modo che la comunità serba del Kossovo prenda parte a queste elezioni. Per rassicurare la autorità serbe sono state anche in quest'occasione ribadite le garanzie delle quali la Comunità Internazionale si farà carico: libertà di movimento, accelerare il ritorno degli sfollati ecc.
Ma la comunità serba rimane del tutto indecisa. In un incontro di protesta a Mitrovica, il segretario dell'espressione locale del DSS di Kostunica, Marko Jasic, davanti ad una folla di 4,000 persone ha dichiarato che "...i serbi non dovrebbero partecipare alle elezioni se per muoversi in Kossovo devono farlo all'interno dei blindati della KFOR e se vengono ancora assassinati per le strade...se parteciperemo perderemo tutto, non partecipando ci rimarrà almeno qualche speranza...". Jaksic ha poi terminato chiedendo ai politici di Belgrado di spendere un po' più tempo in Kossovo in modo da rendersi conto delle terribili condizioni di vita alle quali è costretta la comunità serba (Tanjung, 13.10). Intanto il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha esortato, dopo un briefing con i responsabili dell'amministrazione internazionale del Kossovo, i leader albanesi a sostenere gli sforzi per garantire la sicurezza e combattere l'estremismo e gli atti terroristici nei confronti delle minoranze e, come ha affermato l'Ambasciatore irlandese Richard Ryan, ad assumersi "la responsabilità di assicurare delle elezioni pacifiche, democratiche ed inclusive".

Croazia: ancora reazioni al filmato sui crimini dell''Operazione Tempesta'

15/10/2001 -  Anonymous User

Non si sono ancora sopite le polemiche riguardanti la proiezione in Croazia i primi giorni di ottobre del documentario di Bozo Knezevic sui crimini croati commessi durante l'operazione Tempesta. Il sociologo Drazen Lalic ha dichiarato che anche lui, come il 75% degli spettatori che quel giorno erano davanti alla televisione, si è sentito corresponsabile per quei crimini. Non tanto in quanto croato ma come persona umana che non è stata in grado di impedire che tali atrocità fossero commesse. E' vergognoso, ha inoltre dichiarato, che persone come Maja Freundlich e Zeljko Olujic continuino a relativizzare su atti criminosi così gravi e documentati (Slobodna Dalmacija, 6.10).
In questi giorni sono state inoltre molte le dichiarazioni di solidarietà al direttore della radiotelevisione croata Mirko Galic ed al direttore della trasmissione durante la quale il documentario è stato trasmesso, Denis Latin. Alle richieste di rimozione e dimissioni fatte dai rappresentanti dell'HDZ hanno risposto con la loro solidarietà il sindacato dei giornalisti, l'Associazione dei giornalisti e il Forum 21 (Vjesnik, 6.10). Drago Pilsel, Presidente del Forum 21, ha dichiarato che le richieste dell'HDZ rappresentano una minaccia all'ordine costituzionale della Croazia e sono contrarie alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo delle Nazioni Unite.

Bosnia-Ervegovina: Jelavic rieletto presidente dell'HDZ

10/10/2001 -  Anonymous User

Ante Jelavic è stato riconfermato presidente del HDZ, il partito nazionalista croato della Bosnia Erzegovina.

Presidente della RS in visita alla comunità serba di Bocinja (FBiH)

04/10/2001 -  Anonymous User

Il Presidente della Republika Srpska, Mladen Ivanic, ha visitato il 21 settembre scorso la comunità serba residente nel villaggio di Bocinja, nella Federazione BiH. Prima della guerra vi vivevano circa 3000 serbi. Fuggiti durante le ostilità ne sono ritornati solo 300 che ora si trovano ad affrontare condizioni di vita difficili. "Solo 21 delle nostre case sono state ricostruite grazie a fondi del Governo olandese" hanno denunciato ad Ivanic. Le altre rimangono distrutte, come distrutta è la scuola elementare locale tant'è che i bambini nel villaggio non stanno frequentando alcuna lezione. Tutto questo con un tasso di disoccupazione molto alto e con pochi investimenti fatti sul settore agricolo, quello dal quale la maggior parte delle famiglie di Bocinja trae i pochi mezzi che garantiscono loro la sussistenza.
Anche la sicurezza di questa piccola comunità è spesso messa a repentaglio e la permanenza di sette famiglie di Mujahedins nel villaggio certo non aiuta ad abbassare le tensioni. Sono stati denunciati infatti più volte attacchi ed intimidazioni da parte di questi ultimi alla minoranza serba.
Ivanic ha però voluto rassicurare i cittadini di Bocinja. "il Governo della Republika Srpska provvederà a finanziare la ricostruzione di 10 case - ha assicurato - e ritornerò il prima possibile, questa volta accompagnato dal primo ministro della Federazione BiH Alija Behmen e da rappresentanti della Croce Rossa Internazionale, per vedere cosa si possa fare per garantirvi maggiori diritti e condizioni migliori di vita".
Il Presidente della RS ha inoltre concordato sulla necessità che, per evitare ulteriori incidenti, le famiglie dei Mujahedins lascino il villaggio (Glas Srpski, 22-23/09).

L'integrazione europea vista dalla Serbia

01/10/2001 -  Anonymous User

Though, in principle, the decision to the dilemma seems quite obvious, since staying out of where all the rest are heading is equal to political suicide and economic disaster, there are still dissenting voices in the country. The recent open clash with most western governments over Kosovo has made some of the population additionally xenophobic. One cannot expect majority of people to get too inspired with the idea of democracy and values common to major western powers (most of which are European) after experiencing cruise missiles and smart bombs as heralds of the very democracy. In view of that fact, an average Serb can be even described as pretty tolerant: here one should remember the words of the American ambassador to Belgrade, Mr. William Montgomery, who recently stated he never actually believed an American would be able to freely walk in the streets of Belgrade so soon after the bombings ended. Since Americans top the list of villains in the eyes of the common folk, then Europeans are in a still better situation. No European, even a German, traditionally (and sometimes unfairly) seen as a long-time enemy of the Serbs, has had any particular problems with the citizens of Serbia, even those most radical ones.

Opinion Polls

Asked whether they believe integrating into Europe would be the best solution for the country, a majority of those taking part in the polls have said yes (the figures reached 91% according to the Markplan marketing agency). However, when asked which country Serbia should turn to as a long-term ally, dissenting voices could be heard. Most elderly people and former regime supporters would pin point Russia, although historians often remind the population here that Russia's affinity to Serbia has long been just a tempting myth of Slavic unity and that this country has never actually sided with Serbs when it was needed most. Out of the EU countries, France is often described as "the biggest disappointment" due to its very active support of the hardline policy against Serbia in the years behind us. As already mentioned, Germany is traditionally seen as an "occupational" force, and its recent active role in support of Slovenia's and then Croatia's independence is also often pointed out. However, some (a minority) believe cooperation with Germany has always been historically productive, and there is a number of intellectuals and, especially businessmen, led by prime minister Djindjic, who have been working on close ties with this country. Italy is seen as much more tolerant of Serbian mischiefs in the previous years, but it is also not considered very influential in key decision making. Finally, smaller EU countries, such as Greece or Portugal are perceived by the population as very friendly, but with no influence whatsoever on major issues in the EU. As for the 'Balkanite integrations', that is the idea that there should be a 'Balkan union' first which would then collectively be integrated into EU one day, most Serbs are skeptical. Apart from the elderly again, who incorrectly view this as a revival of the idea of the former Yugoslavia, most people are wary. Although the common answer on the street is that "no Croat or Slovene would ever agree to any kind of reunion" it seems that this is only a pretext which hides the Serbs' equal reluctance to reunite, even only economically. Economic interests are, however, dominant and there have been numerous visits by businessmen from the neighbouring countries (Croatia included) and initial contacts have been made so far in order to make Balkans a "customs free zone". Not much, but, knowing the situation, a good start.

Parties' Opinions

When asked when they believe Serbia (or Yugoslavia if it remains united) would enter the EU the answers in a last year's poll ranged from optimistic (5-7 years, around 20% of the subjects), through reasonable (about 10 years, 47%) to pessimistic (at least 20 years or more, 33%). Since this research is a bit outdated, it would be fair to connect today's support of the parties and coalitions on the Serbian political scene with the voters' view of European integrations. Socialist Party of the former president Milosevic is said to be supported by around 10% of the voters today. Alongside this party, today's opposition also comprises the hardline Serbian Radicals and the uninfluential Yugoslav Left. Together, they are supported by 16% of the population, most of whom share their well-known views of Serbian foreign policy, described as "cooperation - yes, surrender - no", which implies the notorious North-Korea-like fear of world conspiracy, stern anti-Americanism and the appeal for sovereignty in the 19th century sense of the term.
The results of such a policy are well known, so, luckily, most Serbian voters today see the future of their country in Europe, rather than in Russia, China or India. Among these, around 30% support Democratic Party of Serbia of president Kostunica. This party is seen as moderately nationalistic, and it seems this attitude is still dominant in most Serbs. Its foreign policy program reads "... Serbia must fight for its national and state interests with no confrontation with the world, but without accepting unnecessary concessions which would hinder its national and state interests..." This could be seen as a rigid view, although not hardline - at least open confrontation is to be avoided. But, since DSS's program defines Serbia as a national state, too obvious inclination towards the EU is not to be found in their policy. Democratic party of prime minister Djindjic and its allies in the ruling DOS coalition are today supported by around 15% of the voters (although their real influence in the country is crucial, which is the source of wrangles in DOS every now and then). They are clearly in favour of a new Serbia within the EU: "... The Democratic Party sees the future of the Serbian people and all the citizens of our country only in the European integrations...", its program says. By this they mean economic integration primarily, and this is what younger and more educated Serbian voters favour. Finally, within DOS coalition there are even more radical supporters of this tendency, lead by the Movement for Democratic Serbia, whose president is a former Yugoslav Army general, who believe Serbia should enter Partnership for Peace as soon as possible (incidentally, the Federal Government last days decided to consider applying for this program). In addition, the New Democracy party, a centrist one lead by police minister Dusan Mihajlovic has more than once insisted that Serbia should enter NATO outright - the sooner the better. But this kind of hurry is not seen as either commendable (having in mind the most recent history) or rational (knowing that any country cannot enter NATO just because it wants to right away).

NGOs' Opinions

NGOs in Serbia work on the idea of European integrations as well. Although projects directly aimed at launching Serbia into the EU very soon are practically nonexistent, it would be fair to notice that, in a more general way, the long term goal of all NGO activities in the country today is to make Serbian civil institutions live up to the European standards, and therefore, make the country capable of joining the integrations in the near future. Solving refugee problems, integrating them into the new environment, working on human rights issues (including ethnic minorities, but also women, children, the disabled etc.), organizing schools for democracy and workshops cherishing tolerance - all these activities help the country develop standards long respected in the democratic world.
There are some programs, however, which can more directly be seen as aiming at the integration process. The Committee for Civic Initiative in Nis, an NGO gathering University professors and assistants in humanistic sciences, has launched a couple of projects in this direction. The approach is by definition piecemeal. The program School for Democracy, organized in cooperation with Fund for Open Society, consisted of a series of 52 lectures whose purpose was to introduce basic concepts of a democratic society to the population. 'Politics from A to Z' was a project whose aim was to give basic training to young political party members from the local boards. They were taught dialogue conducting, rhetoric, basic logic and specialized English. A similar project is pending in which young journalists from numerous local TV and radio stations should be trained in the view of changing conditions in society. Modern politicians and journalists are perhaps a key to a near future in which public activities will be conducted in the democratic spirit, and in accordance with the principles and values of the European Union.
However, the most important project currently planned is the School of Social Sciences, where in cooperation with the Faculty of Philosophy in Nis a specific kind of studies, primarily aimed at social science postgraduates, would be introduced. It would comprise compulsory courses in societies in transition (privatisation, reform, political parties, trade unions, civic society, social policy) and multiculturalism (culture, multiculturalism, interculturalism, models of cultural policy in the CEE countries) and some optional courses in the realm of human rights. The idea is that the serious education of young people in the area of values mostly cherished in Europe today would in the long run help the entire country live up to the standards imposed by the EU and thus be accepted one day as a full-fledged member of the European community of nations. This project is still in need of funders.
It seems, finally, that the tendency to develop Serbia in such a way as to make it closer to the European integrations is obvious. It also seems there is a general agreement in the population that this is necessary. However, how this will be done, and how much time and hard work it will take, is still not quite clear.

L'integrazione europea vista dalla Bosnia Erzegovina

01/10/2001 -  Anonymous User

Tra gli eurocrati di Bruxelles c'è una lobby che crede sia meglio per l'Europa favorire l'integrazione dei Balcani, anziché ghettizzarli ai propri margini. E' vero che il Patto di Stabilità non ha ancora fatto granché, ma è incoraggiante già solo il fatto che l'Europa inizi ad occuparsi di questo problema. In Bosnia Erzegovina il pensiero più diffuso riguardo all'integrazione è che sarà un percorso molto lungo e molto lento, e che i paesi balcanici entreranno in Europa come paesi singoli anziché tutti insieme su base regionale. Così la pensa ad esempio Maria Todorovna, nota sociologa bulgara, in un'intervista
rilasciata il 10 agosto scorso a Slobodna Bosna.

Ma la gente comune si augura che non sia proprio così, cioè che la strada per l'Europa sia meno lunga e che si riesca ad entrarci assieme, o per lo meno prima della (attuale) Jugoslavia e non dopo la Croazia. La nuova/vecchia competizione prosegue...

Il Consiglio d'Europa, almeno...

Proprio in questi giorni doveva giungere la risposta alla richiesta della Bosnia di entrare nel Consiglio d'Europa. Ma la persona incaricata di scrivere il rapporto sulle condizioni del paese per l'entrata nel Consiglio d'Europa, Laslo Surjan, non ha potuto partecipare alla riunione del 3 e 4 settembre a Tbilisi. Il suo rapporto perciò è pronto, ma non è ancora stato presentato ai membri
della 'giuria' e sembra addirittura che la decisione definitiva si possa avere solo nel gennaio del 2002. Nel frattempo, tutti i tre presidenti della Bosnia, il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Presidenti dei Parlamenti faranno una dichiarazione scritta, nella quale si assumeranno la responsabilità di garantire tutte le condizioni imposte dal Consiglio d'Europa.

A questo proposito sembra che un passaggio molto importante sia stato compiuto pochi giorni fa. Dopo vari tentativi, infatti, il Parlamento ha approvato una nuova legge elettorale, condizione essenziale per potersi candidare al Consiglio d'Europa. Certo, non tutti sono rimasti soddisfatti, alla fine ha vinto il compromesso, ma quello che conta è soprattutto il risultato: l'approvazione della legge elettorale. Questo, per quanto riguarda le istituzioni politiche e il loro impegno.

Cosa ne pensa la gente?

Ma la gente in Bosnia, cosa pensa dell'integrazione? Si interessa soprattutto dei risvolti pratici e
non vede l'ora che cadano le tante barriere ancora esistenti. "Quello che ci disturba sempre di più - dicono i cittadini bosniaci - sono i visti. E' una umiliazione: devi andare a fare la fila per 200 metri, aspettare giorni e giorni, e poi chi sa se te lo danno, il visto. Prima, nel periodo di Tito potevamo viaggiare in tutta l'Europa senza il visto. Oggi ci sentiamo così piccoli!". E poi c'è la rabbia perché, ad esempio, con il passaporto croato si può entrare nei paesi Schengen senza visto, mente con quello bosniaco serve il visto.

La difficoltà di muoversi crea molti altri problemi, anche economici. Gli imprenditori di tutti i paesi entrano in Bosnia Erzegovina senza problemi, mentre un imprenditore bosniaco fatica ad uscire dal paese per realizzare i suoi affari. In questi ultimi mesi, poi, la situazione è peggiorata. I pochi consolati (come quello italiano) che, ancora un paio di mesi fa, non erano così rigorosi, ora lo sono
diventati. "Ti chiedono l'impossibile" si lamentano i cittadini.

Certo, la gente pensa alle cose pratiche. E per questo ci vuole l'Europa: per non essere allo sbando, per non sentirsi isolati. I paesi ex jugoslavi sono stati devastati dalla guerra ed hanno un'economia a terra. Oggi per la gente di qui Europa significa soprattutto benessere, prospettiva, vita normale. E' quello che manca. Ma il viaggio verso l'Europa per i Bosniaci è ancora molto lungo. E non dimenticate il visto, vi prego!

Transizioni post-coloniali e post-socialiste. I Balcani e le integrazioni

01/10/2001 -  Anonymous User

Sunto dell'intervento alla Conferenza "Di-Segnare l'Europa. I Balcani tra integrazione e disintegrazione", Padova 5 maggio 2001.

"Transizione" è una parola che è tornata in uso dopo la caduta del Muro di Berlino, per caratterizzare la cosiddetta transizione post-comunista. Prima di ciò il termine era stato usato per descrivere le transizioni dalla dittatura alla democrazia. Tale parola risulta comunque non ben definita, e di solito ha in sé una certa dose di trionfalismo per la restaurazione del capitalismo occidentale.
Vorrei parlare più dell'integrazione europea all'interno del contesto della globalizzazione, che della sola transizione post-comunista che è veramente un¹espressione limitativa per varie ragioni. Lo è non solo perché il Muro è caduto da entrambe le parti e non solamente da una, ma anche perché la dicotomia della guerra fredda Est-Ovest, Capitalismo-Comunismo, ha ricevuto un colpo e non si può dire che il Comunismo sia fallito da solo: si è rotto l¹intero equilibrio di vasi comunicanti. Il termine ³¹transizione² è limitativo anche perché l¹integrazione dell¹Europa deve essere vista nel quadro più grande della globalizzazione nel suo insieme, sia quella di Davos, sia quella di Porto Algre nel 2001.

Il mio lavoro sul post-colonialismo in alcuni paesi, sulla divisione del subcontinente indiano e sulle divisioni comprate, mi ha convinto che le transizioni post-coloniali assomigliano alle transizioni post-comuniste, o comunque che le difficoltà di sviluppo del Terzo Mondo assomigliano sempre di più a ciò che noi vediamo in alcuni paesi dei Balcani e dell'Europa dell'Est, se non in tutti i paesi dell¹Europa centro-orientale. Possiamo allora imparare qualcosa da quell'esperienza.



Rada Ivekovic - University of Paris-8;

La Croazia dopo l'11 settembre 2001

18/09/2001 -  Anonymous User

Un veloce resoconto del nostro corrispondente da Zagabria sulle reazioni croate all'11 settembre. Sdegno generalizzato e paure per le ricadute economiche negative.

Istria: terra di brava gente (slogan per le elezioni locali del maggio 2001)

02/07/2001 -  Anonymous User

L'uscita dell'Ids (Dieta democratica istriana) dalla coalizione di governo modifica per la prima volta dopo un anno e mezzo gli equilibri politici in Croazia. I risultati delle elezioni locali di maggio rappresentano il momento di disgregazione e di conflitto più esplicito tra il partito istriano e gli altri membri della coalizione di centro-sinistra.
Articolo di Emilio Cocco.

Articolo

30/06/2001 -  Anonymous User

A quattro giorni di distanza dalla domenica elettorale in Albania si definisce il quadro dei risultati. La Commissione Centrale Elettorale ha comunicato i seguenti risultati: su cento zone elettorali 30 sono state attribuite al primo turno al PS e 19 al PD, 9 zone non sono ancora definite a quindi si profilano 41 ballottaggi.
Rispetto a questi dati i socialisti si dicono sicuri di vincere ai ballottaggi perché esisterebbe una tradizione che favorisce al secondo turno i vincitori del primo. In secondo luogo i socialisti sostengono che un buon indicatore del risultato del secondo round e' che il PD ha perso zone che tradizionalmente gli appartenevano come Kukes e Shijak.
Il PS ha poi usato frasi sibilline circa la configurazione degli alleati al ballottaggio: se si profila con molta chiarezza un sostegno al PS da parte del Partito Social Democratico, dell'Alleanza Democratica e del Partito per i Diritti Umani, non sembra che il fronte della destra sia compatto. Le affermazioni si riferiscono al Nuovo PD, partito scissionista del PD che si e' affermato come terza forza politica albanese.
Dal canto loro i democratici sembra che contesteranno i risultati solo in alcune zone e che non metteranno in discussione l'intero processo elettorale. A questo proposito le dichiarazioni degli attori della comunità internazionale e degli osservatori dell'OSCE sono chiare: le elezioni albanesi rispettano gli standard dell'OSCE ed inoltre hanno dimostrato un netto progresso verso gli standard internazionali.
in ogni caso il PD ha consegnato a Gustavo Selva e al vice primo Ministro italiano Gianfranco Fini un dossier sulle irregolarità nel processo elettorale a carico del PS. Le dichiarazioni di Fini riportate in calce da Shekuli sono state: "Il governo italiano sta seguendo con attenzione il processo delle elezioni in Albania. La destra e il governo italiano sono decisi a dare pieno sostegno agli albanesi per superare questo momento molto delicato e molto importante per il futuro del paese".
La grossa partita che sembra profilarsi all'ombra del ballottaggio e' rappresentata dalle elezioni del Presidente della repubblica del prossimo anno. Il PD darebbe per scontata la propria sconfitta al ballottaggio e il raggiungimento del 51% da parte del PS che può tranquillamente fare il governo. L'obbiettivo del PD sarebbe a questo punto quello di ottenere il più alto numero di seggi possibile in modo da impedire agli avversari di raggiungere da soli la quota necessaria per poter eleggere il Presidente della Repubblica ossia la maggioranza dei 3/5. Il PD necessita di 55 deputati, con essi potrebbe bloccare per 4 votazioni successive l'elezione del Presidente e ciò comporterebbe per legge il ricorso ad elezioni anticipate.
E' proprio dietro questa partita che si staglia il ruolo del Nuovo PD. Questo partito dichiara apertamente di non aver deciso ancora chi sostenere l'8 Luglio ai ballottaggi e non e' detto che i loro voti non diventino preziosi al PS per le elezioni del Presidente.
Il complesso meccanismo elettorale ed in particolare l'attribuzione di seggi al proporzionale, che favorisce i partiti che hanno avuto meno voti al maggioritario, potrebbe favorire i disegni del PD.
Il Nuovo PD per il momento prende le distanze da Nano e Berisha e comunque si schiera all'opposizione di un governo socialista.


Ernesto Bafile - country coordinator ICS - Albania
© ICS - Osservatorio sui Balcani

La Macedonia preoccupa l'Europa e la NATO

28/06/2001 -  Anonymous User

Dopo i gravi incidenti accaduti lunedì scorso alla sede del Parlamento di Skopje la situazione ha raggiunto una tensione altissima. Stati Uniti e Gran Bretagna hanno autorizzato il personale non essenziale delle ambasciate ad abbandonare il paese. Ieri le forze di sicurezza macedoni sono entrate nel villaggio di Aracinovo, dopo che i guerriglieri albanesi l'avevano abbandonato nei giorni scorsi. Le truppe macedoni sono state seguite da osservatori internazionali e alcuni reporter, come previsto dagli accordi sulla smilitarizzazione di Aracinovo. Il villaggio dopo tre giorni di intensi bombardamenti è ridotto piuttosto male. Case sventrate e animali morti per le strade. Immagini dei combattimenti vengono trasmesse dalle televisioni che, dopo mesi di silenzio e dopo gli incidenti al Parlamento di Skopje, finalmente si sono accorte che è in atto (già dalla fine del mese di gennaio) una guerra.Le possibilità di soluzione sono legate ad un filo. Nella giornata di oggi è atteso a Skopje il neo eletto rappresentate europeo, l'ex ministro francese della difesa Francois Leotard.
Tuttavia l'uscita in pubblico di Leotard, come riferisce l'Ansa, è già stata macchiata da una sorta di equivoco. Leotard avrebbe dichiarato in un primo momento di considerare la partecipazione dell'Esercito di Liberazione albanese alle trattative, però il governo di Skopje aveva replicato immediatamente che se tali dichiarazioni fossero confermate, "Leotard non sarebbe ben visto". Ciò probabilmente ha indotto l'ex ministro francese a rimangiarsi qualche ora dopo quanto aveva detto escludendo qualsiasi dialogo politico con l'UCK e ad affermare che "i guerriglieri albanesi non avranno posto al tavolo della trattativa, che dovrà invece essere portata avanti solo con i legittimi rappresentanti dei partiti".
Una accordo sulla soluzione della crisi è atteso anche dalla NATO per poter far intervenire una task force di 3.000 uomini chiesta dal presidente Trajkovski per il disarmo dei guerriglieri. L'operazione della NATO, denominata "Essential harvest", secondo quanto dichiarato, non avrà compiti di interposizione, ma solo di raccolta delle armi dei guerriglieri, ed entrerà in azione solo se, e quando, verrà raggiunto un accordo tra il governo di Skopje e i leader degli estremisti albanesi. Il presidente americano George Bush, dopo aver approvato un decreto che impedisce a cittadini americani di finanziare gli attivisti albanesi di Macedonia e pone delle restrizioni alle visite degli stessi negli USA, ha dichiarato che non esclude un invio di truppe americane nella ex Repubblica jugoslava.
È scaduta, nel frattempo, alla mezzanotte di ieri sera la tregua che l'UCK aveva dichiarato il 15 giugno scorso al fine di facilitare il dialogo tra le parti in conflitto. Anche se l'impressione è che la tregua sia stata violata più volte, l'Esercito di Liberazione Nazionale ha dichiarato di aver aperto il fuoco "per autodifesa".
Sono in molti a temere un attacco diretto alla capitale Skopje. L'UCK, tramite colui che viene chiamato comandante Hoxha, ha fatto sapere di essere già all'interno della città con due battaglioni di civili che sono "pronti a compiere azioni per difendere la nostra gente". Lo scoppio di una guerra civile in Macedonia è - come ha affermato il coordinatore del Patto di Stabilità, Bodo Hombach - "sospeso a un filo".

Articolo

28/06/2001 -  Anonymous User

I leader dei tre partiti di opposizione del Paramento serbo, Branislav Ivkovic (SPS), Vojislav Seselj (SRS) e Borislav Pelevic (SSJ) hanno firmato, ieri, durante una conferenza stampa, nella stanza dei giornalisti del parlamento repubblicano l'Accordo dei tre partiti sulla richiesta per indire nuove elezioni su tutti i livelli (federale e repubblicano).
Alla conferenza stampa i leader dei tre partiti si sono impegnati a lasciare il lavoro parlamentare fino a quando non verrà presa una decisione sulla costituzionalità del Decreto del governo federale, riguardo la collaborazione del Tribunale dell'Aja. Pelevic ha inoltrato un appello al presidente Jugoslavo affinché annulli il decreto, mentre Seselj ha sottolineato che l'SRS non tollererà il capriccio del potere.
Ai giornalisti è stato distribuito il testo della richiesta per indire la prossima sessione del Consiglio dei cittadini del Parlamento federale, con un unico punto in agenda: la Proposta della legge sull'abolizione del decreto sulla collaborazione con il Tribunale dell'Aja.

Articolo

28/06/2001 -  Anonymous User

Il presidente del Partito popolare socialista (SNP) del Montenegro, Predrag Bulatovic ha annunciato che il Comitato principale di questo partito, durante la seduta che probabilmente avrà luogo lunedì, deciderà se il primo ministro federale Zoran Zizic e altri sei membri del Governo federale che provengono dal SNP consegneranno le dimissioni. L'SNP offrirà comunque l'appoggio alla DOS per un governo di minoranza.
Nella dichiarazione per la TV montenegrina la sera dell'altro ieri, Bulatovic non ha formalmente detto che il Comitato principale accetterà la restituzione del mandato da parte del primo ministro e dei ministri federali, ma ha sottolineato che tale decisione "arrotonderà la posizione politica" che l'SNP ha avuto dall'inizio riguardo la collaborazione con il Tribunale dell'Aja, e che il Comitato principale si incontrerà con la difficile questione su quali sono le ragioni per non accettare le dimissioni.

Articolo

27/06/2001 -  Anonymous User

VOA: allora cominciamo. Buonasera sig. Nano, buonasera sig. Berisha.
Nano: Buonasera sig. Elez, buonasera dottore.
Berisha: Buonasera.
VOA: Sig. Nano, in quanto partito al potere, ritenete di aver adottato tutti i provvedimenti necessari ad un corretto processo elettorale? Avete creato per gli altri partiti politici le condizioni per una concorrenza uguale?
Nano: penso che questo problema sia stato risolto. Abbiamo dato a tutti un'opportunità per un libero, corretto processo elettorale. Questa volta abbiamo il vantaggio del Codice Elettorale che si adegua agli standard europei. Abbiamo delle istituzioni e una credibile gestione delle elezioni, che non sono oggetto di contestazioni, abbiamo un registro con le liste degli elettori, realizzato con il contributo di tutti, inclusa l'opposizione, e penso che avremo un normale e tranquillo processo elettorale.
VOA: Dottor Berisha, quale sono le sue preoccupazioni per il processo elettorale e qual è il suo ruolo per garantire un normale processo elettorale? Siete stati accusati di voler creare problemi?
Berisha: i maggiori problemi delle elezioni di oggi sono: innanzi tutto, l'articolo 66 del codice elettorale, (denunciato anche dagli osservatori internazionali e da 10 partiti politici); stilato e difeso solo dai socialisti, che vogliono rubare il voto dei candidati indipendenti e turbare la rappresentatività dei voti dei cittadini albanesi, violando un principio molto importante. Mi auguro che la Commissione Elettorale trovi la forza per decidere oggi e per salvare il processo elettorale. Secondo, le liste sono un vero caos, e voglio ripetere quanto ho già detto alla comunità internazionale: nella circoscrizione 84, a Pogradec sono state registrate dodicimila persone, che non risiedono in questa zona, ma per la maggior parte sono militanti del PS. Io vi assicuro che stiamo facendo di tutto per risolvere questa anomalia, in modo che gli albanesi abbiano un corretto e libero processo elettorale.
VOA: sig. Nano, se confrontata al '97, l'Albania ha fatto dei progressi ma affronta ancora seri problemi, che secondo i vostri avversari, sono il risultato del mal governo socialista. La trasparenza con il pubblico non è stata assoluta e qualificante. Perché pensate che gli albanesi debbano darvi un secondo mandato di quattro anni?
Nano: Io penso che la trasparenza sia sempre esistita, non soltanto adesso in campagna elettorale. Dovunque vada, prima o dopo il dottore, i cittadini comprendono che noi abbiamo trovato un'inflazione al 43% e l'abbiamo ridotta al 4%. Abbiamo aumentato gli stipendi del 100% e le pensioni del 60%. Abbiamo assunto circa 150mila persone, abbiamo speso circa 1.5 miliardi di dollari per coprire il debito pubblico lasciatoci da Berisha, abbiamo costruito 150 km di autostrade e superstrade e abbiamo riparato 1500 km di strade rurali. Il problema è che, per quanto dice Berisha, vedo che è preparato a perdere le elezioni.
VOA: sig. Berisha, l'Albania sta affrontando ancora i problemi della crisi del '97. Come potete convincere gli elettori che il PD merita di ritornare al potere? Perché pensate che la vostra alternativa e quella di "Unione per la Vittoria" siano le migliori?
Berisha: penso che la nostra alternativa sia senz'altro la migliore. Oggi la disoccupazione in Albania è del 50%, su due albanesi uno è disoccupato: noi abbiamo un piano straordinario per l'occupazione degli albanesi. Penso che la riduzione delle tasse, che sono state raddoppiate, darà maggiore spazio e incentivi alla libera impresa in Albania. Noi abbiamo un programma che mira alla lotta alla povertà. Oggi l'Albania è uno tra i tre o quattro paesi più poveri del mondo, il cui reddito è un dollaro pro-capite, secondo la Banca Mondiale. Pretendere di aver aumentato gli stipendi e le pensioni è soltanto un' illusione. Per la verità i prezzi sono aumentati del 150%. Il nostro programma garantisce agli agricoltori l'esenzione dalle tasse, e i prodotti agricoli saranno protetti dal contrabbando. Nel nostro programma economico prevediamo la ristrutturazione dello Stato, degli investimenti stranieri. Noi non arricchiremo gli albanesi, saranno loro da soli ad arricchirsi, se noi riusciremo a lottare contro la povertà. Essi stanno aspettando con ansia il 24 giugno per esprimere il loro verdetto.
VOA: sig. Nano, lei e il sig. Berisha siete le due figure principali della politica albanese. I vostri avversari vi accusano di essere i fautori della tensione politica. Come si difende lei personalmente da queste accuse?
Nano: io non credo che a me sia rimasto altro da aggiungere sul mio ruolo di moderatore della politica albanese, sul mio ruolo nella moderazione delle tensioni tra la maggioranza e l'opposizione, anche quando ero in prigione a causa di Berisha, sul mio ruolo nella democratizzazione del PS e nella costruzione di una coalizione progressista orientata ai valori euroatlantici, a ciò che l'opinione pubblica dei Balcani e internazionale riconosce. I miei inviti e le possibilità di collaborazione non hanno ricevuto risposta, infatti i posti dell'opposizione nelle tavole di lavoro nazionali per l'integrazione euroatlantica sono rimasti vacanti fino ad oggi. Siamo decisi, anche dopo il 24 giugno quando Berisha sarà di nuovo all'opposizione, a continuare a lavorare con lui perché è veramente una delle maggiori personalità del paese.
VOA: Proseguiamo con la stessa domanda sig. Berisha, si dice che lei e Nano stiate tenendo in ostaggio l'Albania essendo il maggiore ostacolo ad una svolta. Di lei personalmente si dice che siate un politico che ama le proteste estreme e non accetta oppure non rispetta le forme istituzionali? Come risponde alle accuse e come dobbiamo intendere l'appello ad un "nuovo inizio"?
Berisha: sarò molto breve poiché ho stabilito una regola, una mia decisione, in questa campagna: di occuparmi del mio programma e non dei miei avversari. Nel caso in cui essi vogliano leggere in stile cinese dieci oppure quindici punti contro Berisha, io rido nel sentirli e mi occupo del mio programma. Per quanto riguarda la questione che Nano ha menzionato, non ha fatto bene a ricordare la prigione perché il perdono è sacro. Io ho perdonato il compagno Fatos Nano e l'ho perdonato davvero....
Nano: dopo quattro anni, compagno Sali
VOA: Proseguiamo con un'altra domanda. Sig. Nano, l'Albania è considerato un paese ad alto rischio per gli investimenti stranieri. Addirittura si dice che diversi clan e gruppi del crimine organizzato siano riusciti a controllare diversi settori dell'economia e più del 60% delle attività economiche sono illegali e irregolari. Come pensate di risolvere questi problemi?
Nano: ho capito. Noi siamo impegnati a collaborare con le istituzioni finanziarie internazionali e con le istituzioni specializzate dell'UE, dei governi occidentali che operano in Albania, al fine di realizzare quei programmi che permettano al paese, all'economia, alle istituzioni, all'amministrazione pubblica, di raggiungere i criteri richiesti per l'adesione all'Accordo dell'Associazione-Stabilizzazione e poi per realizzare le condizioni per l'integrazione europea. Queste attività sono pubbliche, trasparenti ed efficaci, tanto che sono aumentati gli investimenti stranieri. Solo nel corso del 2000 sono stati investiti 200 milioni di dollari. Per il 2001 si prevedono circa 240 milioni di dollari in investimenti stranieri, e circa un miliardo di dollari sono stati stanziati per interventi sulle finanze pubbliche nei prossimi quattro anni. Da questo punto di vista la guerra contro la corruzione sta dando dei risultati, la guerra contro i traffici illegali altrettanto. Ormai il progresso in tutti i campi ha indotto l'UE al Consiglio di Goteborg a sostenere l'avvio dei negoziati per l'Accordo dell'Associazione e Stabilizzazione.
VOA: le leggi per la lotta al crimine organizzato e la corruzione ormai esistono. Se il suo partito prende il potere quali sono i provvedimenti che intraprendete? Pensate che avrete la volontà di risolvere questi problemi?
Berisha: senza dubbio che la corruzione è il cancro vero di una società. La guerra contro la corruzione è una delle nostre priorità. Durante i quattro anni del nostro governo abbiamo lottato contro la corruzione, una guerra forte, abbiamo condannato i colpevoli, licenziato ministri e vice ministri, governatori e deputati del PD. Il Partito socialista ha sfruttato le privatizzazioni per pagare i debiti dei suoi governanti, e non c'è stato nessun investimento straniero. Il dicastero che affideremmo all'opposizione è il controllo dello stato.
VOA: sig. Nano, le previsioni indicano che i piccoli partiti non riusciranno ad ottenere buone percentuali nelle elezioni del 24 giugno. Quindi o il PS o il PD domineranno. Se il suo partito vince che cosa farete per intraprendere e per assicurare un nuovo inizio, perché anche l'opposizione sia inclusa nel governo del paese e non ne rimanga esclusa?
Nano: io riinvito Berisha, che se dopo il 24 giugno continuerà ad essere all'opposizione, continuerà lo stesso ad avere il Controllo sullo Stato, a collaborare con più amor patrio alla realizzazione di una strategia nazionale di alternanza, che permetta il passaggio di potere senza grosse fratture, per il progresso del paese.
VOA: sig. Berisha, la stessa domanda anche per lei?
Berisha: prima di tutto ci sarà un governo di dieci partiti. Oggi ho dichiarato che nel governo ci saranno anche il PAD, il PDU, e il partito democristiano. Questa divisione del potere implicherà un ridimensionamento della posizione dell'opposizione. Dai contatti con Bruxelles e Goteborg io ho constatato che loro non hanno dato a questo governo il privilegio della firma per tre motivi principali: il traffico degli schiavi del sesso, nel quale sono implicati direttamente dei governanti albanesi, la corruzione e le elezioni amministrative. Siccome in quattro anni questi compagni non ne hanno realizzato le condizioni, le speranze sono davvero poche, ma io non voglio occuparmi di questo, loro se ne stanno andando via...Io garantisco ai cittadini albanesi che noi realizzeremo tutte le condizioni e che il due gennaio l'Albania firmerà l'apertura dei negoziati.

Articolo

27/06/2001 -  Anonymous User

Il rapporto analizza l'Esercito di Liberazione Nazionale, i guerriglieri albanesi che combattono in Macedonia contro l'esercito regolare. In esso, secondo il rapporto, starebbero almeno cinque tipi di combattenti: ex-combattenti dell'UCK, gia' veterani delle guerre in ex-Jugoslavia contro i Serbi in Croazia e Bosnia, opportunisti che puntano a raggiungere posizioni di potere tramite la guerriglia, albanesi kosovari e macedoni che perseguono tramite la guerra la loro visione panalbanese, giovani albanesi ingenui e romantici che considerano giustificato combattere dato il fallimento del governo nell'affrontare qualsiasi politica di riforma per il progresso della minoranza albanese, mercenari stranieri. L'Esercito di Liberazione Nazionale sarebbe, proprio come i suoi componenti dimostrano, un misto di interessi mafiosi e di potere, ingenuo romanticismo nazionalista e violento irredentismo panalbanese.

Il governo di unita' nazionale e' il secondo focus del rapporto dell'ICG. Tale governo si dibatte nella contraddizione fra la dura risposta militare e la necessita' di essere prudenti per non creare martiri civili a tutto favore della guerriglia, la quale comunque continua a guadagnare consensi nella pericolosa situazione di stallo politico e militare.

La proposta del mediatore dell'OSCE, l'ambasciatore americano Frowick, e' ampiamente analizzata dal rapporto e viene considerata un'ottima base di partenza da parte dei ricercatori dell'ICG. Essa si articola nei seguenti punti: immediata cessazione del fuoco e amnistia per i combattenti dell'NLA, alcune misure di confidence-building volte al riconoscimento dell'albanese come lingua ufficiale della Repubblica, accesso all'istruzione superiore e una maggiore rappresentanza albanese nelle istituzioni dello stato. Alla fine di questo processo i maggiori leader dell'NLA, pur non riconosciuti all'inizio delle trattative come interlocutori ufficiali, sarebbero integrati con piena dignita' nella vita politca del paese. La proposta di Frowick e' stata spazzata via dalle polemiche seguite alla pubblicazione di una foto fra il 23 e il 25 maggio su tutti i maggiori media macedoni, che ritraeva i due leader albanesi del DPA e del PDP Xhaferri e Imeri (i due maggiori partiti albanesi ora insieme nel governo di unita' nazionale) assieme al leader politico dell'NLA Ahmeti a Prizren in Kosovo, nell'atto di firmare una Dichiarazione dei leader albanesi di Macedonia per la pace e i processi di riforma nella Repubblica di Macedonia, che riprendeva i punti principali del piano Frowick. Le polemiche scatenate dai leader macedoni slavi che hanno accusato Xhaferri e Imeri di attentare all'integrita' territoriale del paese dal momento che si erano incontrati con uno dei leader dell'NLA, hanno destituito di valore la proposta Frowick, che a quel punto non ha piu' avuto nemmeno il supporto degli USA e dell'Europa, che secondo ICG non avrebbero il coraggio di prendersi le proprie responsabilita' in Macedonia.
A complicare la situazione ci sarebbe anche una "Hidden Agenda", del primo ministro Georgievski, il quale non avrebbe nessuna intenzione di arrivare a riforme costituzionali per accordare maggiori diritti agli Albanesi e starebbe aspettando solo nuove elezioni da indire nel settembre di quest'anno. Alcune dichiarazioni di Georgievski sono state molto ambigue fra maggio e giugno. Egli infatti si e' dichiarato risolutamente contrario al progetto dell'Accademia delle Scienze di Skopje che riguarderebbe uno scambio di territori e popolazione tra l'Albania e la Macedonia, in modo che vengano cedute all'Albania alcune aeree della Macedonia abitate dalla popolazione albanese e viceversa. Nello stesso tempo pero' lo stesso Georgievski non avrebbe lesinato commenti molto approfonditi in varie interviste sul piano stesso ed in piu' occasioni, tramite varie dichiarazioni, avrebbe fatto intendere di essere d'accordo col principio della spartizione etnica del paese. Secondo l'ICG avrebbe "suggerito pubblicamente per la prima volta che la popolazione albanese e' piu' di un terzo di quella totale piuttosto che il quarto stabilito dal censimento del 1994. Egli ha fatto cosi' leva sulla molto profonda paura dei macedoni slavi per la quale gli Albanesi li starebbero sopravanzando in termini di natalita' facendoli diventare la nuova minoranza del paese". Per l'ICG non c'e' dubbio che il gioco di Georgievski sia quello di incolpare i socialdemocratici - anch'essi al governo e favorevoli alle riforme - di ogni cedimento nei confronti degli Albanesi; ed e' chiaro che per cedimento intende le riforme costituzionali previste come punto principale di ogni processo di pace. Ormai si puo' quindi definire senza speranza l'esperimento del governo di unita' nazionale dal momento che ogni partito ha idee completamente diverse sul significato di processo di pace ed ognuno pensa a come meglio attrezzarsi per le nuove elezioni politiche.

Il rapporto si sofferma anche sulla dimensione regionale del conflitto macedone. I recenti avvenimenti hanno visto un sempre piu' stretto rapporto di allenanza fra Serbia e Macedonia, unite dal problema dell'irredentismo albanese nella valle di Presevo e nel nord della Macedonia. Tale alleanza sta preoccupando non poco la Bulgaria che storicamente era sempre stato l'alleato dei Macedoni in chiave anti-serba a partire dalle Guerre Balcaniche del 1912-1913. La Grecia invece e' preoccupata per il prolungarsi della crisi che metterebbe a rischio i cospicui investimenti fatti per la costruzione del Corridoio 10 da Salonicco a Belgrado. Inoltre la Grecia ha sempre aperto con la Macedonia il contenzioso sul nome, che ancora sembra non arrivato a soluzione. ICG sottolinea inoltre come il non ancora definito status del Kosovo sia la causa principale dell'instabilita' in tutta l'area balcanica e quindi invita la comunita' internazionale, in particolare il G8, a trovare un accordo politico finale sulla provincia.

Riportiamo per intero le conclusioni del rapporto:

The country faces an insurgency that is largely domestic, which means that thefighters know the terrain, are committed to their cause and, without a political solution, are likely to fight on despite losses. The Macedonian military andmuch of the public believe a victory was won in Tetovo at the end of March 2001. Yet the guerrillas were undefeated. Without a political solution, the NLAcan reprise the Tetovo or Kumanovo scenario elsewhere in the western part of the country.
The international community wants to avoid establishing another protectorate.They want to see reform but are unwilling to accept full responsibility for the problem. The international troika of Patten, Solana and Robertson rightlypushed the Macedonians and Albanians to form a national unity government; but the political momentum has stopped. The Macedonians could not get to the negotiating table by themselves, and itappears unlikely that they will be able to shape the reform agenda on their own. The shortsighted approach to reform means that the EU and NATO will haveexpended all their political muscle for an inert national unity government that accomplishes little else than holding early elections. As seen from Macedonia,the United States has been absent from the high level political negotiations. The Bush Administration¹s avoidance of new U.S. commitments in the Balkans has left the Europeans in charge of negotiations. Ethnic Macedonians and Albanians both fear that the Europeans are incapable of delivering any sustained political, economic and military assistance. The European Union and the United States must undertake much strongeraction to prevent the destruction of Macedonia. Macedonians and Albanians alike have exercised enormous restraint in ignoring the calls for war. The smalland inadequate Macedonian Army cannot defeat well-supported and well-funded guerrilla insurgents who are bent on destroying the country. Indeed, itsclumsy operations are more likely to recruit new members to the NLA than the opposite, while also incurring losses among its own ranks that will raise ethnictensions, as has happened three times already in Bitola. At time of writing, NATO has ruled out direct military intervention in Macedonia to stabilise the situation, at least in the absence of a political settlement, butpressure is rising - which ICG strongly supports - for NATO assistance at least in monitoring the disarmament of the NLA guerrillas as part of such anagreement. NATO teams have been shuttling in and out of the capital for the past two weeks. Both neighbouring Greece and nearby Turkey have called onallied governments to consider immediately deploying international peacekeeping troops inside Macedonia. Whatever its present reluctance, only NATO can guarantee Macedonia¹s securityafter a political settlement is achieved, as it also does that of Bosnia and Kosovo. NATO should stand prepared to play an active military role in support ofthe Macedonian security forces against further rebel activity, if the situation so demands and the Macedonian government so requests. Even before a political settlement is reached, NATO must prevent the NLA andother ethnic Albanian extremists from operating freely in Kosovo, and it must provide better training assistance if the Macedonian army is to be more effectivein preventing the NLA from operating freely inside Macedonia. The Macedonian army and police have received training, intelligence information and weaponsfrom Alliance members. This assistance should be systemised as part of a
longer-term guarantee. NATO has set up a new structure (NATO Coordination and Cooperation Centreor NCCO) in the region to better facilitate the exchange of information and coordinate military and bilateral support to Macedonia. KFOR troops havetightened border security between Macedonia and Kosovo but the long porous border with Kosovo has not been sealed airtight. Many Macedonians and Albanians (and probably a few Europeans) believe thatU.S. disengagement from the region has contributed to the crisis. As one Macedonian leader put it, ³The United States always has a black and whiteapproach, but it is so much easier to deal with them after they have made a decision. The Europeans are too flexible this is the Balkans, we know how toplay with them and use their national interests to our advantage. The NLA has put key Albanian grievances front and centre on the agenda. They have stimulated serious engagement by the international community to resolveissues that had been previously rhetorical and passive. The NLA in absolute political terms may achieve in a few months what the two Albanian parties could not deliver in ten years. Their goal, however, appears to be ethnic separationwithin Macedonia. The importance of implementing critical reforms is to dissuade the Albanians in Macedonia from joining the NLA and to stop themfrom dreaming about a new Greater Western Macedonia. The NLA will not disappear, and the only way to stop them from gaining a permanent foothold in the country is stop them from setting the country¹spolitical agenda. This does not require the unity government to make a place for
the rebels at the table. But it does mean that the elected Albanian leaders in thegovernment must be able to have contact with the rebels and represent their concerns. It will also mean NATO contact with the NLA. When the military crisis ends, important changes will have occurred inMacedonia. It is important to remember that all the citizens of Macedonia must be involved in the radical political changes that will be necessary to preserve theunique and multiethnic character of the country. Many of the reforms, such as amending the constitution, decentralising the government and officialrecognition of the Albanian language can be achieved. The way in which these changes are introduced will determine their acceptance.
Skopje/Brussels, 20 June 2001

Vedi anche:

Diachiarazione politica e ultimatum militare

Articolo

27/06/2001 -  Anonymous User

Il rapporto descrive la situazione attuale dell'Albania, con particolare attenzione alle relazioni con i paesi vicini dei Balcani: Kosovo, Montenegro, Macedonia e Grecia. La recente ondata di combattimenti nella Valle di Presevo e in Macedonia ha danneggiato la reputazione di tutti gli Albanesi ed ha ancora una volta alimentato lo spettro della Grande Albania. Conseguentemente il governo albanese si e' impegnato con ogni mezzo nel sottolineare di non appoggiare assolutamente i ribelli albanesi e di desiderare il mantenimento dell'integrita' territoriale della Macedonia. A questo proposito Tirana ha richiesto l'assistenza della NATO per il controllo del confine fra Albania e Macedonia, e ha rivolto un appello per una soluzione politica, tramite il dialogo, della crisi.
Il governo di Tirana a guida socialista ha il difficile compito di convincere la comunita' internazionale di non alimentare in nessun modo l'irredentismo panalbanese e nello stesso tempo di non essere visto dagli stessi Albanesi come un governo che mette a rischio gli interessi nazionali nell'area balcanica. Alla fine del 2000 il premier Ilir Meta ha condotto una storica visita in Kosovo per promuovere lo sviluppo degli interessi socio-economici nella provincia e per rafforzare i legami fra Tirana e la leadership albanese del Kosovo. Nel Gennaio 2001 sono state inoltre ripristinate le relazioni diplomatiche fra l'Albania e la Repubblica Federale di Jugoslavia. Questa mossa e' stata criticata da molti albanesi kosovari come prematura; infatti ha rafforzato la loro percezione secondo la quale l'impegno del governo di Tirana per la cosiddetta "questione nazionale" sia debole.

Questo rapporto si concentra in particolare sulle relazioni con la Grecia e sulla delicata posizione della minoranza greca - l'unica minoranza sinigificativa in Albania. I tentativi della Grecia di disegnare un ruolo di ponte fra i due paesi per la minoranza greca si stanno dimostrando molto problematici. Alcuni albanesi sono preoccupati che la Grecia utilizzi la minoranza per dare incremento all'ellenizzazione del sud dell'Albania, mentre alcuni elementi all'interno della minoranza accusano Tirana di ignorare le istanze della minoranza, cercando di appropriarsi delle terre della minoranza, e tentando di forzarle a diventare albanesi.
La politica interna e' dominata dai preparativi per le imminenti elezioni del 24 giugno. Il Partito Socialista al governo si trova ad affrontare le pericolose lacerazioni all'interno della sua coalizione, e il maggiore partito di opposizione, il Partito Democratico, sta cercando di reinventare se stesso per sopravvivere. Mentre la sicurezza interna e' stata notevolmente migliorata, il crimine organizzato internazionale e' notevolmente peggiorato negli ultimi anni. E' diventato infatti molto piu' sofisticato e difficile da identificare, e dunque l'Albania ha bisogno di una maggiore assistenza internazionale per combatterlo.


a cura di Claudio Bazzocchi
© ICS - Osservatorio sui Balcani

Articolo

27/06/2001 -  Anonymous User

Pubblichiamo un commento di Ernesto Bafile, coordinatore ICS per l'Albania a Tirana, sulla situazione nel paese, due giorni dopo la tornata elettorale del 24 giugno scorso.

Il "paraesercito macedone" intima agli albanesi di andarsene: ecco il comunicato

26/06/2001 -  Anonymous User

MACEDONIA PARAESERCITO 2000 ORDINA: Ordiniamo a tutti gli schipetari termine peggiorativo per albanese - N.d.T. che hanno oggetti in vendita-sono negozianti qui e intorno al mercato Kvantaski, di andarsene entro tre giorni, mentre per gli schipetari di Aracinovo il termine è di 24 ore. Dopo tale termine, tutti i negozi verranno bruciati e se qualcuno cercherà di proteggerli, verrà anch'egli ucciso senza preavviso. Informiamo gli schipetari della Repubblica di Macedonia che per ogni ufficiale di polizia o soldato ucciso, 100 schipetari che non hanno la cittadinanza o che hanno preso la cittadinanza dopo il 1994 verranno uccisi. Per ogni ufficiale di polizia o soldato reso disabile, verranno uccisi 50 schipetari. Per ogni ufficiale di polizia o soldato verranno uccisi 10 schipetari, senza tenere conto del loro genere o della loro età. Informiamo gli schipetari che non hanno la cittadinanza o la hanno ottenuta dopo il 1994 che devono abbandonare la Macedonia prima del 25 giugno di quest'anno, a mezzanotte. Dopo tale termine, cominceremo con la pulizia -- "La notte più lunga", offerta da Macedonia Paraesercito 2000. Ordiniamo a ogni macedone, turco, Roma, Torbes, Bosgnacco e agli altri di non effettuare compere nei negozi albanesi mentre la guerra è in corso, perché con tali azioni viene fornito direttamente supporto ai narcogangster terroristi schipetari. In caso contrario, tutti i negozi di coloro che commerciano con gli schipetari verranno bruciati. Ordiniamo a tutti di affiggere questo opuscolo sui propri negozi al fine di consentire un'informazione di massa. Le abitazioni che riceveranno questo opuscolo e non lo mostreranno in un luogo visibile saranno potenziali obiettivi, indipendentemente da chi sono i loro proprietari.
L'opuscolo recava un sigillo di gomma rossa con l'immagine di un leone e la scritta M P 2000 intorno al sigillo.

© HUMAN RIGHTS WATCH;

L'accordo raggiunto in Macedonia non piace a tutti

26/06/2001 -  Luka Zanoni

Secondo quanto riportano le agenzie, sembrerebbe che proprio l'accordo, stretto tra i rappresentanti internazionali (NATO e UE) e i guerriglieri dell'UCK per la smilitarizzazione di Aracinovo, sia stato la miccia che ha scatenato l'assalto al parlamento di Skopje la notte scorsa Il governo macedone che inizialmente non si era dimostrato disponibile ad accettare l'accordo per il ritiro delle truppe dell'Esercito di Liberazione Nazionale dal villaggio di Aracinovo, ha dovuto infine cedere alla pressioni internazionali che minacciavano di bloccare il flusso di aiuti.
Occore però aggiungere che alcuni indizi, come la distribuzione di volantini minacciosi ad opera del macedone Paraesecrito 2000, così come la presenza di uomini in uniforme che hanno marciato sul parlamento, lascia pensare che si sia trattato di un'azione pianificata da tempo. Il folto numero di riservisti e agenti delle forze di polizia, armati e in uniforme, ai quali si sono uniti in seguito i civili, ha assaltato la sede del parlamento di Skopje. La protesta, iniziata durante la prima seduta degli incontri tra partiti albanesi e macedoni per cercare di trovare un'intesa politica che ponga fine alla crisi in corso da almeno quattro mesi, è sfociata con atti di violenza da parte dei manifestanti. Divelte le transenne la folla ha fatto irruzione nell'edificio del parlamento e grazie alla pressoché assenza del servizio d'ordine, i dimostranti hanno iniziato a saccheggiare alcuni uffici dell'edificio, quando i politici presenti se ne erano ormai andati dalla porta di servizio.
Il culmine della protesta nazionalista macedone è stato poi raggiunto quando i dimostranti entrati nel parlamento hanno strappato la bandiera macedone che è stata sostituita con il vecchio vessillo nazionale con il sole a sedici raggi, proibito dal 1993 al termine di un lungo contenzioso con la Grecia. I manifestanti tra urla e spari hanno infine esortato il presidente macedone e il capo del governo a presentarsi di fronte alla folla per "dare spiegazioni sull'accordo con i terroristi albanesi".
Civili macedoni avevano inoltre bloccato il convoglio di 15 autobus con il simbolo dell'UN e alcuni camion della compagnia americana "Brown and Root" con i quali più di cento tra guerriglieri albanesi armati e civili hanno lasciato Arcinovo. Il convoglio è riuscito a passare solo dopo che alcuni militari statunitensi hanno sparato in aria alcuni colpi di fucile.

Si aggrava la crisi macedone

26/06/2001 -  Luka Zanoni

La crisi macedone si acuisce di giorno in giorno. Dalla seduta di ieri del vertice europeo dei ministri degli esteri a Lussemburgo non è uscito un granché. Da parte macedone era presente solo il ministro degli esteri Ilenka Mitreva, mentre ci si aspettava la presenza del premier di governo o del presidente Trajkovski. La Mitreva ha dichiarato che passi avanti si stanno facendo, nonostante le critiche e le riserve della presidentessa di turno per la UE Anna Lindh.
La parte albanese era presente col vice rappresentante dell'Uck per l'Europa, Florin Ramadani, che ha dichiarato "Noi vogliamo la Nato in tutto il territorio macedone, ma senza creare zone cuscinetto che dividano le due comunità". Più volte, sostiene Ramadani, l'UCK ha esortato le forze di sicurezza macedoni a cessare il fuoco, ma - aggiunge il rappresentante - l'esecutivo di Skopje "ha preferito usare il modello Milosevic".
L'insoddisfazione dei ministri della UE è stata espressa nella minaccia di cessazione degli aiuti finanziari alla Macedonia. Si parla di circa 80 milioni di euro, dei quali 30 sono già stati stanziati. La preoccupazione dei quindici ministri è motivata dall'impiego degli aiuti finanziari come approvvigionamenti militari. Gli aiuti erano stati stanziati dopo la firma dell'Accordo di associazione e stabilizzazione con la UE, da parte della Macedonia, primo paese balcanico a sottoscrivere tale tipo di accordo.
In conclusione, i ministri europei addossano una pesante responsabilità a tutti i leader politici del paese ed invocano il rispetto dell'accordo sulla smilitarizzazione di Aracinovo e sul ritiro delle truppe dell'UCK, ciò inoltre "deve essere seguito rapidamente da un cessate il fuoco per l'intero paese e da ulteriori progressi nelle misure di rafforzamento della fiducia". Tutto ciò verrà fatto con la presenza di mediatori internazionali e a tal proposito è stato nominato l'ex ministro della difesa francese Francois Leotard come rappresentante permanente dell'UE a Skopje, sotto le direttive di Javier Solana.

Il bilancio dell'attacco macedone

25/06/2001 -  Anonymous User

Al termine di un week-end che ha visto duri scontri tra le forze macedoni e l'Esercito di Liberazione Nazionale (UCK), nei quali sono stati impiegati dall'esercito macedone, alcuni elicotteri, armi pesanti e per la prima volta aerei da ricognizione (si è trattato di "caccia Suhoi-25" come confermato dal portavoce dell'esercito Blagoja Markovski), e che ha lasciato sul campo alcune vittime e parecchi feriti, sembra che si sia raggiunto una sorta di accordo.
Da parte del governo macedone ciò è stato immediatamente interpretato come una disfatta dei ribelli albanesi, mentre il comandante della guerriglia albanese, noto come Hoxha, ha fatto sapere di aver ricevuto "dallo stato maggiore l'ordine di sospendere il fuoco. Noi non ci siamo arresi - ha aggiunto - i macedoni hanno subito perdite enormi ma è possibile che il nostro comando ci ordini il ritiro perché sono in corso negoziati internazionali". Sembra infatti che l'UCK non abbia per niente gradito il modo in cui il governo macedone ha presentato questa nuova tregua, ovvero come una disfatta. L'esercito di liberazione nazionale ha infatti inteso la resa come "un gesto di buona volontà politica" e Solana ha dichiarato che la tregua è stata possibile "grazie alla disponibilità delle due parti".
L'Uck dovrebbe, a partire da oggi, iniziare a il ritiro delle truppe verso la cittadina di Lipkovo, nella Macedonia settentrionale, mentre ad Aracinovo sono entrati i rappresentanti dell'OSCE, della NATO e della Croce Rossa Internazionale.
Nella giornata odierna è anche previsto il vertice europeo in Lussemburgo durante il quale verrà affrontata la crisi macedone e dove saranno presenti alcuni rappresentanti macedoni.

Articolo

25/06/2001 -  Anonymous User

Con un'affluenza alle urne di circa il 60% degli aventi diritto si sono concluse ieri le elezioni in Albania.
Nonostante l'incertezza dei risultati preliminari, sembrerebbe che il Partito Socialista di Gramoz Ruci, sia riuscito a conquistare la maggioranza dei seggi nel paese. Il segretario generale del partito ha ammesso di aver perso 17 zone elettorali, ma di averne vinte 45 su 100, mentre le restanti andranno al ballottaggio fra due settimane. Il centro destra di Berisha ha protestato duramente per lo svolgimento irregolare delle elezioni, durante le quali - sempre secondo il Partito Democratico di Berisha - molti cittadini non avrebbero potuto votare perché i loro nomi non erano presenti nelle liste degli elettori. Ad ogni modo le operazioni elettorali sono state monitorate sia da osservatori internazionali che locali e nei prossimi giorni verranno pubblicate le valutazioni sul corretto svolgimento delle elezioni.

Articolo

23/06/2001 -  Anonymous User

(23.06.2001)
Giornata elettorale domani in Albania. Tutto sembra procedere tranquillamente e ciò è una buona notizia per la popolazione che ricorda le violenze che hanno accompagnato le elezioni del 1997. Per buona parte delle scorse quattro settimane gli albanesi hanno tenuto le dita incrociate, nella speranza che questa tornata elettorale passasse senza violenza.
I due maggiori partiti albanesi (SPA del primo ministro Fatos Nano e il DPA di Sali Berisha) hanno organizzato degli incontri tranquilli in differenti zone di Tirana. Tuttavia non sembra che la popolazione badi molto agli appuntamenti organizzati dai vari partiti: "C'è un raduno? E chi ci bada? Per la popolazione è più importante il bel tempo delle elezioni", commenta un negoziante di Tirana.
I partiti politici hanno prestato maggior attenzione alla qualità dello stile delle loro campagne elettorali, mettendo più soldi e sforzi nella presentazione della linea politica.
Gli slogan dei partiti, in particolare i manifesti della campagna elettorale, sono stati stimati in un costo che, per entrambi i partiti, si aggira sui sette milioni di dollari. "Se il tuo cuore va a Sinistra, vota per SPA" dichiara un manifesto e "Bush, Berlusconi e Berisha uguale l'Unione per la Vittoria" dice un altro.
Le elezioni verranno monitorate da una commissione dell'OSCE.