Un commento basato sulle dure parole dello scrittore albanese Ismail Kadarè: chi ha messo il Kosovo a ferro e fuoco, colpendo il principio della multietnicità, ha spazzato via i sogni immediati di indipendenza
Ora che il caos della scorsa settimana in Kosovo è finito, si lascia posto alle riflessioni per capire veramente quel che è successo e perché. Una cosa è certa: in quei tre giorni di folle violenza, in Kosovo ha perso la causa albanese. A denunciarlo è stato lo scrittore albanese Ismail Kadarè, diverse volte candidato al premio Nobel per la letteratura, il quale ha usato toni durissimi contro gli albanesi kosovari. L'ondata di violenza esplosa nella provincia ha prodotto "un danno enorme a tutta la causa albanese nei Balcani, colpendo gravemente la più grande vittoria che era stata raggiunta in tutti questi anni, e cioè la nostra alleanza con l'Occidente, calpestata in quei tre giorni", ha detto. Commentando l'accaduto in una intervista telefonica per TV Klan, Kadarè afferma che "Albania e Kosovo hanno fatto passi indietro verso l'isolamento, e questo è stato il sogno della Serbia e del dittatore comunista Enver Hoxha". Secondo lo scrittore, "per la Serbia, l'avvicinamento degli albanesi all'Alleanza atlantica era stata un'enorme sconfitta, come lo sarebbe stata agli occhi di Enver Hoxha se fosse ancora vivo".
Kadarè ha accusato i kosovari di aver attaccato vigliaccamente gli alleati della loro causa balcanica. "In modo cieco - ha detto con tono rabbioso - è stata colpita la libertà del Kosovo e il suo futuro, e in maniera vigliacca sono stati colpiti i nostri alleati, e quindi non vedo ragione per controllare le mie parole". Nonostante dica di capire bene i loro problemi, Kadarè non trova giustificazioni alla violenza dei kosovari, i quali, secondo lui, sono caduti in trappola: "Io capisco bene tutti i loro problemi e in molte cose hanno ragione. Ma niente può giustificare il modo in cui sono caduti in questa trappola, facendo in pratica il gioco dei serbi". Gli albanesi devono riparare il male che è stato fatto - prosegue lo scrittore- "e penso che il solo modo per farlo è che oggi gli albanesi capiscano che hanno commesso un errore intollerabile e quasi irreparabile quando hanno assaltato le case dei serbi e incendiato le loro chiese, quando hanno colpito gli alleati, la comunità internazionale e le sue bandiere, e devono capire che le teste calde non devono mai anteporre l'ira agli interessi nazionali e della libertà".
Anche Kadarè pensa che la violenza esplosa in Kosovo la scorsa settimana sia stata organizzata, affermando che in essa "sono stati coinvolte persone ingenue, ma anche persone colpevoli, come servizi segreti stranieri, avventurieri albanesi e nostalgici del comunismo".
Lo scrittore ha concluso il suo commento con un appello agli albanesi: "devono immediatamente prendere le distanze da tutte le parti oscure del Kosovo e con coraggio separarsi da questo male, per ridarsi un volto di popolo civilizzato che in questi giorni non hanno mostrato".
Qual è la causa albanese nei Balcani e perché ha perso?
È quella causa che unisce gli interessi degli albanesi che vivono in Albania, in Kosovo, in Macedonia e in Montenegro. L'Albania punta ora come mai ad aderire all'Alleanza atlantica entro il 2007 e più in là nell'Unione Europea. E per questo ha bisogno di una mano dall'Occidente. L'obiettivo del Kosovo è sicuramente l'indipendenza, e anche in questo caso l'opinione della comunità internazionale al riguardo conta molto. Invece, quel che desiderano gli albanesi in Macedonia e Montenegro sono più diritti e maggiore coinvolgimento nella vita politica e sociale dei rispettivi Paesi nei quali vivono.
La violenza esplosa in Kosovo ha dato un duro colpo a questa causa semplicemente perché ha creato negli occhi dell'Occidente un'immagine degli albanesi come un popolo pericoloso, violento, che non accetta le diversità etniche e per di più ingrato verso quelli che negli ultimi anni l'hanno aiutato sostenendo la loro causa. Ed è per questo che ora si rischia ciò che Kadarè ha chiamato "isolamento", cioè un periodo di tempo indefinito per testare la classe politica albanese sia a Pristina che a Tirana e a Skopje. Una classe politica che, nei primi giorni del caos, ha avuto un atteggiamento ambiguo, condannando "la violenza", senza però nessun riferimento specifico alle case e ai luoghi di culto dei serbi andati alle fiamme.
Ma se c'è una causa albanese nei Balcani, sicuramente ce n'è anche una serba. E quest'ultima ha avuto i suoi sostenitori da sempre: Russia e Grecia, con un denominatore comune, la religione ortodossa. I suoi interessi vanno contro quelli della causa albanese ed è per questo che Kadarè parla di "un danno enorme".
A chi interessava la violenza?
In questi giorni, in molti - tra giornalisti, analisti e opinionisti - si sono affrettati a dire che chi ha scatenato tutto quel putiferio in Kosovo voleva l'indipendenza in tempi ancora più rapidi. Però, pensandoci bene, è proprio il contrario: chi ha organizzato l'ondata di violenza voleva allontanare "il pericolo dell'indipendenza" che ultimamente cominciava a diventare più concreta.
Persino la comunità internazionale negli ultimi mesi sembrava non vedere più l'indipendenza come un tabù. Al punto da promettere che, entro il 2005, se Pristina avesse raggiunto gli standard posti dall'Onu, si sarebbe potuto iniziare a discutere sullo status definitivo della provincia. E tutti in Kosovo sapevano che l'unico status possibile era proprio l'indipendenza. Lo sapeva bene anche Belgrado: il neo Premier Vojislav Kostunica solo poche settimane fa aveva proposto una cantonizzazione della provincia, consapevole che, restando zitto, avrebbe rischiato di perderla per intero. Con gli ultimi sviluppi che facevano ben sperare (i primi ritorni dei profughi serbi, la ripresa del dialogo tra Pristina e Belgrado), a tremare in Kosovo erano anche quelle frange estremiste, le quali, con una possibile futura indipendenza avrebbero perduto quella libertà che il protettorato dell'Onu gli consente ancora oggi.
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